Gestivano un potente sistema di compravendita di sentenze il cui prezzo variava tra i 500 e i 1000 euro e sono stati tratti in arresto per corruzione in atti giudiziari, falso e truffa in concorso ben quattro giudici tributari,
D’Avolio, Merra, Ventura e Cerase, con l’accusa di aver aggiustato le sentenze delle Commissioni regionali e provinciali di Foggia dietro il pagamento di mazzette. L’inchiesta, denominata giustizia privata, ha portato agli arresti di altri sei tra dipendenti delle commissioni tributarie e commercialisti.
Indagato anche il PM Nicastro, in servizio alla Procura di Matera, accusato di falso in atto pubblico e truffa per aver falsificato 168 sentenze dal 2015 al 2017, in qualità di giudice della Commissione Tributaria di Foggia, procurandosi un ingiusto profitto.
Ed altri 40 indagati tra cui altri giudici tributari, commercialisti e imprenditori del settore alberghiero, edile e della ristorazione.
La cupola, pilotando la cause, faceva risparmiare milioni di euro di tasse agli imprenditori che pagavano la tangente.
Per gli inquirenti alcuni dipendenti delle commissioni tributarie erano il riferimento dei commercialisti che in cambio di decisioni favorevoli versavano le mazzette evitando ai clienti di pagare allo Stato le imposte dovute.
Un meccanismo perfetto con al centro il profitto: alcuni funzionari amministrativi, in cambio di denaro o altra utilità, indirizzavano le cause sui giudici compiacenti o svogliati.
Alcuni, infatti, emettevano decisioni favorevoli al contribuente in cambio di somme di denaro; altri frodavano l’amministrazione tributaria delegando completamente la giurisdizione a funzionari che deliberavano secondo il proprio tornaconto personale (tangenti o altri vantaggi), limitandosi alla sola firma della sentenza con introito delle indennità previste per l’attività decisoria.
Un funzionario infedele era direttamente a libro paga di un commercialista che gli versava uno stipendio mensile di 400 euro in cambio di favori. Tutti gli arrestati sono ai domiciliari.
9 novembre 2017