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Tubercolosi, torna la paura: "Recrudescenza legata a immigrazione"

Sono 31 i pazienti ricoverati al Sant’Orsola di Bologna, più 36 registrati nelle varie strutture bolognesi. Il picco più alto si era raggiunto nel 2017, ma quest’anno è caratterizzato dall’incremento di contagi fra italiani

È allarme tubercolosi, ed a diramarlo è il policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.

Stando a quanto riferito dall’ospedale, infatti, soltanto nei primi 6 mesi del 2018 i casi registrati nella singola struttura sono 31. Questi, sommati agli altri 36 segnalati nel territorio bolognese, danno un totale di ben 67 persone contagiate in 6 mesi.

L’anno scorso, definito come annus horribilis, solo a Bologna i pazienti affetti da Tbc erano stati 193, di cui 89 riferiti dal Sant’Orsola, e 104 dalla Ausl. Il 2018, tuttavia, non si è ancora concluso, perciò bisogna attendere la fine dell’anno per poter fare una valida comparazione.

Certo è che la diffusione della malattia sta a mano a mano cambiando. Se fino al passato 2017 erano prevalentemente i cittadini stranieri ad essere colpiti dal micobatterio, adesso la malattia comincia sempre più ad interessare anche gli italiani.

L’anno precedente, ad esempio, dei 193 contagiati solo 35 soggetti erano nostri connazionali. Ad oggi, invece, la Ausl di Bologna registra 11 italiani affetti da Tbc e 25 stranieri. Mentre il Sant’Orsola riferisce che dei 31 pazienti ammalati, 20 sono stranieri ed 11 italiani.

Tutto ciò è emerso grazie ad un’interrogazione avanzata dai rappresentanti regionali di Forza Italia, ragionevolmente allarmati dai numeri riportati. La tubercolosi, del resto, è una patologia che il nostro Paese ha visto ridursi fino alla totale debellazione nell’ormai lontano secolo scorso.

“Una recrudescenza legata all’immigrazione, con i casi che aumentano di pari passo con i flussi migratori.”, afferma senza mezzi termini il deputato di Forza Italia Galeazzo Bignami, come riportato da “Il Resto del Carlino”.

Non si tratta di parole campate in aria, basta leggere i numeri per confermare le dichiarazioni del parlamentare, che guarda con preoccupazione anche all’hub di via Mattei, sempre più prossimo alla chiusura. "Non si può non legare questo fenomeno all’aumento dell’immigrazione in città. I migranti, una volta sbarcati in Italia, vengono sottoposti a una prima visita sanitaria sommaria. Tuttavia, i veri controlli vengono effettuati una volta smistati nei centri di accoglienza delle varie regioni, tra cui quello bolognese, dove vengono sottoposti ad accertamenti più approfonditi. Una questione che ha un costo, sia in termini sanitari, come si evince dai dati sulla Tbc, che economici. Si parla di un milione e mezzo di euro, che pesa tutto sulla collettività, di cui soltanto 523mila euro per le prestazioni sanitarie, il resto per pagare il personale medico, infermieristico e amministrativo".

Federico Garau - Mar, 18/09/2018 - 13:39

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Atti osceni davanti a una minorenne. Il giudice assolve l'albanese: "Non è reato". E Salvini scrive a Bonafede: "Rivedere la depenalizzazione voluta dal Pd"

Masturbarsi in pubblico non è più reato, nemmeno se la belva lo fa davanti a una minorenne.

 

A deciderlo è stato il governo di centrosinistra. Risultato: un 28enne albanese che si era toccato davanti a una ragazzina non avrà conseguenze penali ma solo una multa. Un'ingiustizia che ha spinto Matteo Salvini a scrivere al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per chiedergli di rimediare, al più presto, a "un altro regalo del Pd agli italiani a cui cercheremo di rimediare".

"Giù le mani dalle donne e dai bambini!". Salvini ora vuole andare fino in fondo. Affinché un altro episodio, come quello raccontato la scorsa settimana dal Gazzettino di Venezia, non capiti nuovamente. I fatti risalgono a quattro anni fa, quando a San Donà di Piave una ragazzina, che si era riparata dalla pioggia nell'androne di un palazzo, era incappata nell'albanese che, dopo essersi abbassato i pantaloni, avava iniziato a masturbarsi proprio davanti a lei. Venutolo a sapere, i genitori lo avevano portato a processo per atti osceni nella speranza che la giustizia potesse fare il suo corso e assicurare l'orco dietro alle sbarre. Ma così non è stato. Perché, se fino a qualche anno fa il reato di atti osceni in luogo pubblico veniva punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni, nel 2016 un decreto legislativo voluto dal precedente governo lo ha depenalizzato. Adesso gli atti osceni "in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico" vengono puniti con una semplice sanzione amministrativa.

All'epoca dell'aggressione la ragazzina aveva sedicenne. L'orco che si è masturbato davanti a lei adesso è libero di rifare la stessa schifezza con altre ragazzine. "Il governo del Pd che nel 2016 ha voluto depenalizzare gli atti osceni evitando così una pena di tre anni a malati sessuali o depravati - ha commentato il vice presidente del Senato, Roberto Calderoli - ha di fatto lasciato liberi di colpire potenziali stupratori". Salvini ha promesso che intende rimediare all'ennesimo errore commesso dal Partito democratico. Nei prossimi giorni scriverà al Guardasigilli per chiedergli di cancellare la depenalizzazione dei reati approvata dalla sinistra.

Sergio Rame - Mar, 18/09/2018 - 12:05

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Per dieci giorni la nave Diciotti non ha trovato un porto in cui sbarcare i migranti salvati al largo di Malta.

A Lampedusa no.

A Catania neppure.

Alla fine tutti sono scesi a terra: prima i minori non accompagnati e le donne da curare, poi tutti gli altri.

Chi ha dato lo stop, chi ha impartito gli ordini, chi ha consentito lo sbarco?

La «catena di comando» sembra avvolta dalle nebbie.

Un ordine formale non è stato mai impartito.

Nessuno sembra avere detto chiaramente al comandante della nave, il capitano di fregata Massimo Kothmeir, quale rotta seguire e come gestire i migranti trattenuti a bordo, a parte l'assistenza umanitaria.

Una spiegazione non si trova tra le carte e le testimonianze dell'inchiesta sul ministro Matteo Salvini, unico indagato per sequestro di persona aggravato.

Il Tribunale dei ministri, presieduto da Fabio Pilato, si trova così di fronte a un nodo aggrovigliato e fumoso.

Non il primo comunque.

Da giorni i giudici stanno cercando di dare una soluzione al problema della competenza.

Resterebbe a Palermo se il luogo in cui è arrivato lo stop fosse, come finora si è creduto, il mare di Lampedusa.

Si sposterebbe a Catania se si accertasse che la disposizione sia invece arrivata in quel porto, dove la Diciotti è poi attraccata.

La questione è aperta perché l'inchiesta non è ancora risalita lungo la scala gerarchica attraverso la quale l'ordine del blocco si sarebbe diramato fino ad arrivare al comandante della nave.

Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, si è convinto che anche in assenza di un ordine formale la responsabilità del blocco sia del ministro Salvini che sin dall'inizio si era politicamente schierato contro lo sbarco immediato e prima di un accordo sulla distribuzione dei migranti.

Salvini sarà sentito ma solo nella fase conclusiva dell'inchiesta quando il quadro delle responsabilità dovrebbe essere più chiaro.

Al momento la mancanza di un ordine comporta, come conseguenza inevitabile, un allungamento dei tempi.

I giudici stanno infatti programmando, sui vari fronti della vicenda giudiziaria, una lunga attività istruttoria.

Sul tavolo c'è la richiesta messa a punto dalla Procura distrettuale di Palermo di una serie di esami testimoniali attraverso i quali si cercherà di dare un senso ai contatti di routine tra la Diciotti, i comandi della Guardia costiera e il ministero dell'Interno.

Il nome del comandante della Diciotti, dal quale il tribunale si attende un decisivo contributo chiarificatore, apre la lista delle persone da sentire.

A palazzo di giustizia gira un elenco non ufficiale e neppure definitivo.

Comprende, tra gli altri, il capo di gabinetto di Salvini, Matteo Piantedosi, che la Procura di Agrigento aveva qualificato come indagato mentre per quella di Palermo è un teste.

E poi i comandanti delle capitanerie di porto di Porto Empedocle e di Catania, il responsabile dell'ufficio circondariale marittimo di Lampedusa, il capo del Dipartimento delle libertà civili, Gerarda Pantalone, e il suo vice Bruno Corda.

L'elenco potrebbe diventare più nutrito in relazione alle esigenze di approfondimento e di riscontro dell'inchiesta del Tribunale dei ministri.

Dopo l'interrogatorio di Salvini, che chiuderà la fase degli accertamenti, il passaggio successivo sarà l'archiviazione del caso oppure la richiesta di autorizzazione a procedere da inviare al Senato. In tutto i giudici hanno 90 giorni di tempo.

Il Mattino > Primo Piano > Cronaca

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