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Reggio Emilia, 25 settembre 2018 - Due persone sono state arrestate ieri con l’accusa di minacce aggravate in concorso tra loro a un corpo giudiziario, per le intimidazioni rivolte al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti, nonché membro del collegio giudicante delprocesso Aemilia contro le infiltrazioni di ‘ndrangheta.

Le misure cautelari sono state eseguite nei confronti di Aldo Ruffini, 74 anni, già finito nei guai di recente per una maxi evasione fiscale e don Ercole Artoni, 88 anni, storico fondatore del centro sociale Papa Giovanni XXIII a Reggio Emilia.

Ruffini si trova in carcere, mentre il religioso è ora agli arresti domiciliari.

Secondo i giudici del tribunale di Ancona che hanno emesso l’ordinanza, per competenza, al magistrato reggiano arrivarono anche minacce di morte del tipo «stai lontana dalle finestre dell’ufficio»;

Beretti faceva parte anche del collegio inerente alle misure patrimoniali adottate nei confronti dell’indagato Ruffini.

Dopo le minacce e fino a oggi al giudice Beretti è stata applicata la scorta per la sua protezione.

Un commerciante finito nei guai per un’evasione fiscale e un sacerdote sono stati arrestati per minacce al giudice Cristina Beretti, presidente del tribunale di Reggio Emilia e componente del collegio del processo di ‘ndrangheta Aemilia. Le misure cautelari, chieste dalla Procura di Ancona, sono state eseguite nei confronti di Aldo Ruffini, 74 anni, e don Ercole Artoni, 88 anni. Il primo è in carcere, il secondo ai domiciliari. Rispondono di minacce a corpo politico, amministrativo o giudiziario.
Delle misure cautelari, eseguite ieri su ordine del Gip del tribunale di Ancona, competente sui procedimenti che vedono coinvolti magistrati dell’Emilia-Romagna, ha dato notizia la Gazzetta di Reggio e la circostanza è confermata in ambienti investigativi.

Beretti faceva parte del collegio che giudicò le misure patrimoniali adottate nei confronti di Ruffini e dopo le intimidazioni subite e fino a oggi al giudice è stata applicata una scorta per la sua protezione.

«Sa che a Reggio Emilia c’è un braccio speciale dove sono detenuti gli imputati di Aemilia? Uno di loro mi ha detto di venire da lei e di dirle di stare molto attenta e soprattutto di stare lontana dalle finestre dell’ufficio (…) un altro di loro ha detto di stare attenta che sanno dove studia suo figlio». Parole che avrebbe pronunciato don Ercole Artoni il 18 dicembre 2017 presentandosi nell’ufficio del giudice di Reggio Emilia Cristina Beretti. Le frasi sono citate nell’ordinanza del Gip di Ancona. «Dicono che lei – aggiunse in quella circostanza il religioso arrestato – nel collegio di Aemilia ha molta influenza sugli altri giudici e che praticamente decide lei e in più per le cose che ha fatto in passato (…)».

Secondo l’accusa il sacerdote, 88 anni, fondatore a Reggio Emilia del Centro sociale Papa Giovanni XXIII, in concorso col commerciante Aldo Ruffini a cui erano stati sequestrati i beni per una vicenda di evasione fiscale, fece giungere minacce anche di morte al magistrato “al fine di impedire e turbare in tutto o in parte la regolarità dell’attività processuale e ottenere il dissequestro o l’assoluzione».

Il prete, dunque, su mandato di Ruffini, andò nell’ufficio del giudice dicendole che alcuni detenuti nel processo di ‘ndrangheta “Aemilia” parlavano male di lei e che doveva stare attenta, aggiungendo che doveva restituire le cose sequestrate a un coimputato di Ruffini.

Le frasi citate negli atti furono dunque pronunciate il 18 dicembre, quando Artoni, che era già andato da Beretti a maggio-giugno 2017, tornò a dicembre, con il pretesto di fare gli auguri di Natale e facendo intendere di essere a conoscenza delle minacce, in quanto volontario spirituale all’interno del carcere. Ruffini, invece, attorno al 27 gennaio 2018, è accusato tra l’altro di essere andato in un bar vicino alla casa del giudice, locale frequentato da lei quotidianamente, e di aver chiesto al gestore notizie sul magistrato.

Ai due indagati è contestata anche l’aggravante di aver fatto le minacce valendosi della forza intimidatrice derivante dalla segreta associazione esistente o comunque supposta in quanto facevano riferimento agli associati della ‘ndrangheta cui fanno a capo i Grande Aracri, processati in Aemilia, processo presieduto anche da Beretti.

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culturaUna “rivoluzione narcotizzante” si è compiuta silenziosamente sotto i nostri occhi ma noi non ce ne siamo quasi accorti: la “mediocrazia” ci ha travolti. I mediocri sono entrati nella stanza dei bottoni e ci spingono a essere come loro, un po’ come gli alieni del film di Don Siegel “L’invasione degli ultracorpi”.

Nel lavoro “devitalizzato” il mediocrate individua la capacità fondamentale nel fare propria con naturalezza l’espressione: alti standard di qualità nella governance nel rispetto dei valori di eccellenza. E, in ogni ambito, rileva certi tic verbali come «stare al gioco», «sapersi vendere», «essere imprenditori di se stessi». Insomma, è vero, non c’è stata nessuna presa della Bastiglia ma l’assalto è avvenuto: i mediocri hanno preso il potere.

Il mondo è governato dai mediocri. Sarà che è un assunto non difficile da sperimentare - e anche consolatorio per spiegarsi certi successi o insuccessi ugualmente distanti dalle vette del genio e dagli abissi dell’indegnità - verrebbe da dire che la caratteristica principale della mediocrità sia il conformismo, un po’ come per il piccolo borghese Marcello Clerici, protagonista del romanzo di Alberto Moravia, “Il conformista”.

Comportamenti che servono a sottolineare l’appartenenza a un contesto che lascia ai più forti il grande potere decisionale. Alla fin fine, si tratta di atteggiamenti che tendono a generare istituzioni corrotte. E la corruzione arriva al suo culmine quando gli individui che la praticano non si accorgono più di esserlo. Essere mediocri non vuol dire essere incapaci. Anzi, è vero il contrario. Il sistema incoraggia l’ascesa di individui mediamente competenti a discapito di competenti eccellenti e degli incompetenti. Questi ultimi per ovvi motivi (sono scarsi), i primi perché rischiano di mettere in discussione il sistema e le sue convenzioni. Ma comunque, il mediocre deve essere un esperto. Deve avere una competenza utile ma che non rimetta in discussione i fondamenti ideologici del sistema. Lo spirito critico deve essere limitato e ristretto all’interno di specifici confini perché se così non fosse potrebbe rappresentare un pericolo. Il mediocre, insomma deve «giocare il gioco».

Se la dittatura può essere definita psicotica, la mediocrazia è perversa. Psicotica perché la dittatura non ha alcun dubbio su chi deve decidere. Hitler, Mussolini, Tito sono stati tutti personaggi iper-visibili, affascinanti, che schiacciano con le loro parole; la mediocrazia è perversa perché cerca di dissolvere l’autorità nelle persone facendo in modo che la interiorizzino e si comportino come fosse una volontà loro. 

Giocare il gioco vuol dire accettare i comportamenti informali, piccoli compromessi che servono a raggiungere obiettivi di breve termine, significa sottomettersi a regole sottaciute, spesso chiudendo gli occhi. Giocare il gioco vuol dire acconsentire a non citare un determinato nome in un rapporto, a essere generici su uno specifico aspetto, a non menzionarne altri. Si tratta, in definitiva, di attuare dei comportamenti che non sono obbligatori ma che marcano un rapporto di lealtà verso qualcuno o verso una rete o una specifica cordata.
È in questo modo che si saldano le relazioni informali, che si fornisce la prova di essere “affidabili”, di collocarsi sempre su quella linea mediana che non genera rischi destabilizzanti. Piegarsi in maniera ossequiosa a delle regole stabilite al solo fine di un posizionamento sullo scacchiere sociale è l’obiettivo del mediocre.
I mediocrati chiedono a persone impegnate nel servizio pubblico di gestirlo come se fosse una organizzazione privata, così si trovano in conflitto perché avevano un’etica diversa; chiedono a ingegneri di progettare oggetti che si rompano in maniera deliberata perché vengano sostituiti, chiede ai medici di diagnosticare malattie che potrebbero diventare davvero pericolose a 130 anni… Senza parlare della manipolazione dei consumatori da parte del mercato. 

“Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista,qualunquista.”                                                                                                                           (Pier Paolo Pasolini)

Le nostre scuole sono strutturate sulla mediocrità medio – bassa. I programmi sono fatti, si direbbe, per babbei. Nelle classi sono stati introdotti gli handicappati. Nessuno vuole discriminarli, ma messi in classi differenziali starebbero meglio loro e decisamente meglio i loro compagni: la scuola serve per studiare, non per agonismo sociale.

Ma così come esistono, o dovrebbero esistere, le classi differenziali per i meno dotati, se non in Occidente almeno nel resto del mondo sicuramente, così dovrebbero esistere classi differenziate per ragazzi con intelligenza e voglia di applicarsi sopra la norma. L’esempio cinese è evidente ed altrettanto lo sono i risultati. Gli studenti migliori sono messi in apposite classi e le eccellenze in collegi regionali.
Ma tutto questo potrà avverarsi in Occidente solo quando questa piatta società mediocre fatta da mediocri che vogliono restare mediocri, ove tutto è un immenso modulo burocratico non compilabile, bene, questa società scompaia nel nulla da cui proviene.

Ecco come La Treccani definisce la mediocrità: “Condizione media; stato di ciò che è o si tiene ugualmente distante dai due limiti estremi …. spesso riferita, con allusione al sign. seguente, a chi si ritiene presuntuosamente pago della propria mediocrità morale e spirituale …. persona d’ingegno e di capacità mediocri, soprattutto con riferimento a chi si dedichi ad attività che per sé stesse richiederebbero doti non comuni d’ingegno e d’intelligenza: essere una mediocrità.”

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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Il generale dei carabinieri Leonardo Alestra è il nuovo direttore dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Alestra ha alle spalle una lunga esperienza in Calabria, dove è stato comandante provinciale dei carabinieri a Reggio Calabria.

 

La sua nomina è stata resa nota dal vicepremier, Luigi Di Maio.

«Alestra è stato comandante provinciale dei carabinieri in Calabria, terra di mafia e caporalato, e capo di tutte le specialità dei carabinieri tra cui quella del nucleo tutela del lavoro.

È la prima volta nella storia che la direzione di un ispettorato va ad un carabiniere.

Ne siamo orgogliosi perché con questa nomina abbiamo voluto dare un importante segnale contro il lavoro nero e il caporalato».

«Così, finalmente, - prosegue Di Maio - finirà il tempo della vessazione delle imprese per fare numeri e ci si dedicherà alle cose serie».

Nato a Firenze nel 1956, Alestra ha fatto l'Accademia Militare di Modena, si è laureato in “Scienze della sicurezza interna ed esterna”, ed ha seguito il Corso di Alta Formazione presso Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizie.

Tra i vari i incarichi: ha comandato il plotone e la compagnia allievi sottufficiali a Velletri tra il 1983 e il 1986 ed ha guidato la compagnia di Padova fino al '91.

Nel '93, Alestra è tornato a Roma, dove fino al 2001 è stato a capo della sezione dell’ufficio personale ufficiali presso il comando generale.

Dall’agosto del 2001 ha assunto l’incarico di comando provinciale dei Carabinieri di Arezzo e, a seguire, il Reparto Operativo del Comando Provinciale di Roma.

Risale al 2007 il suo arrivo in Calabria dove è nominato comandante Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria.

La promozione a Generale di brigata arriva nel 2012.

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