
Lo ha deciso il Tribunale penale vaticano, nella sentenza di primo grado, con un processo lampo di appena due giorni. Davanti ai giudici della Santa Sede l’ex consigliere della nunziatura vaticana a Washington, accusato di detenzione e scambio di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità, ha subito ammesso tutte le sue colpe.
Il pm vaticano aveva chiesto una condanna a 5 anni e 9 mesi di reclusione e 10mila euro di multa. Ai magistrati il diplomatico di 51 anni, nato a Milano ma con origini emiliane, ha in qualche modo cercato di giustificare il suo comportamento spiegando di essere entrato in una profonda crisi, “un conflitto interiore”, quando, il 23 giugno 2016, è stato trasferito da Roma, dove aveva lavorato a lungo prima in Segreteria di Stato e poi nella nunziatura in Italia, negli Stati Uniti.
Una giustificazione, arrivata in extremis e in modo a dir poco rocambolesco, per cercare di attenuare una condanna per reati gravissimi.
“Mi ritrovo negli Stati Uniti – ha raccontato Capella ai giudici – senza entusiasmo, ma collaborativo. I primi quattro mesi sono stati piuttosto blandi.
Provavo un senso di vuoto e inutilità”.
E così comincia a usare il profilo su Tumblr, creato poche settimane prima per “amore degli animali e delle loro buffe espressioni”, per ricevere e inviare immagini, video e manga a contenuti pornografici, spesso con soggetti minorenni. Da qui inizia una vera e propria vita parallela.
Sul social il diplomatico vaticano si fa chiamare “Doppiobibo” e richiede un target preciso: ragazzi tra i 13 e i 17 anni.
“Ho sbagliato – ha dichiarato Capella ai magistrati – a sottovalutare la crisi che stavo attraversando. Ho sbagliato a pensare di poterla gestire da solo. Il contesto era nuovo. Amici o referenti non ne avevo. Ho cercato di far fronte con rimedi spirituali e di non far pesare il mio stato d’animo in nunziatura”. Ma la situazione degenera sempre di più.
Sul social il monsignore intraprende conversazioni private “assolutamente triviali”, come le definisce lui stesso davanti ai giudici che lo processano.
“I dialoghi – prosegue Capella – nascono e muoiono nel giro di poche volgari battute.
A distanza di tempo ne rilevo la ripugnanza.
Ma saper dare un nome alle crisi interiori nel momento stesso in cui una persona le vive non è facile”.
Nel materiale acquisito, tra gli Stati Uniti e il Canada, dove sono stati compiuti i reati, e il Vaticano, ci sono tra i 40 e i 55 elementi che riguardano minorenni.
Tra questi c’è anche un video che riprende un bambino molto piccolo in “atteggiamenti sessuali espliciti”, ha riferito ai magistrati Gianluca Gauzzi, ingegnere della Gendarmeria Vaticana che si era occupato anche del caso Vatileaks 2.
Chiamato a testimoniare in aula, Gauzzi ha spiegato quanto sia complicato procurarsi materiale del genere in rete.
Ordinato prete nel 1993, i primi nove anni di sacerdozio monsignor Capella li dedica alla parrocchia di San Michele a Cantù, nell’arcidiocesi di Milano, dove gestisce un oratorio affollato di ragazzi. Con loro fa catechismo, campeggi e vacanze, e alcuni dei suoi giovani entrano in seminario.
Nel 2001 il cardinale Carlo Maria Martini, all’epoca arcivescovo di Milano, gli chiede se è disponibile a entrare nel servizio diplomatico della Santa Sede. “Accettai volentieri e con gioia”, ricorda lo stesso Capella ai giudici ripercorrendo la sua vita sacerdotale.
Iniziano le partenze: prima in India e poi a Hong Kong.
Ma Capella viene presto chiamato a lavorare in Vaticano nella sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Qui si occupa di importanti dossier economici: dall’antiriciclaggio al lavoro dell’Autorità di informazione finanziaria, fino al comitato bilaterale con la Commissione Europea sulla monetazione del Vaticano e all’accordo in materia fiscale tra la Santa Sede e l’Italia
Richiamato in Vaticano il 21 agosto 2017 dopo le segnalazioni degli Stati Uniti e del Canada e poi arrestato dalla Gendarmeria il 7 aprile 2018, in questi mesi monsignor Capella è stato seguito da uno psichiatra e ha fatto uso di ansiolitici per dormire. Il suo percorso non è stato sempre facile”, ha raccontato ai magistrati il medico Tommaso Parisi, spiegando che il monsignore ha avuto “momenti difficili”.
In tutto questo tempo però, ha assicurato lo psichiatra, “si è dimostrato estremamente collaborativo e desideroso di conoscere meglio se stesso, incontrarsi con le sue emozioni per armonizzare la sua personalità, da uomo e da ecclesiastico” By L’Onesto
Tragica morte sulle nostre montagne. Si lancia nel vuoto dalla cima e si schianta con la tuta alare
Non si arrestano le morti in montagna legate alla pratica del base jumper, lo sport estremo che spinge a sfidare le cime lanciandosi nel vuoto con una tuta alare e atterrando con un paracadute.
La prima vittima in Veneto del 2018 è un turista britannico di 49 anni, Robert Haggarty, che si era gettato da Cima della Busazza, nell'Agordino, a 2.894 metri di quota nel gruppo del Civetta. Secondo il racconto di due testimoni che hanno assistito alla disgrazia - un escursionista e un alpinista - l'uomo, che alloggiava al Rifugio Monti Pallidi di Canazei insieme ad un gruppo di 25 amici, si è buttato dallo spigolo della cima, ha aperto il paracadute ma si è schiantato meno di 200 metri a valle.
Per gli uomini del Soccorso alpino bellunese le operazioni di recupero della salma sono state molto laboriose, perchè l'incidente è avvenuto in un luogo impervio e con condizioni meteo non facili.
Un elicottero ha raggiunto la zona e fatto scendere tre tecnici che hanno recuperato il corpo trasportandolo con un verricello di 20 metri sino al rifugio Capanna Trieste, a quota 1.135 metri. Con il jumper britannico si allunga l'elenco degli sportivi morti negli ultimi anni praticando base jumper sulle Dolomiti venete.
L'ultima vittima era stata nel luglio 2017 Siegfried Schenk, un chirurgo ortopedico di Vienna di 48 anni, che aveva abbracciato il vuoto da Punta Tissi, sempre sul Civetta.
Se l'era cavata con numerose ferite, invece, l'uomo che si era gettato il 31 agosto dalle Tre Cime di Lavaredo, davanti agli occhi impietriti della moglie.
Medesimo il copione: saltato dalla Cima Grande, il giovane aveva aperto il paracadute ma non era riuscito ad atterrare, cadendo rovinosamente in un ghiaione.
Gli incidenti si susseguono ormai da alcuni anni, nonostante la morte dei novelli Icaro sia stata vissuta dal popolo di internet anche in diretta Facebook, come nel caso del base jumper Armin Schmieder, 28 anni di Merano, precipitato nell'agosto del 2016 durante un volo con la tuta alare sull'Alpschelehubel, montagna sopra Kandersteg, nel Cantone di Berna.
Il giovane stava riprendendo tutto con il telefonino per documentare l'impresa, filmando in realtà i suoi ultimi momenti di vita.
«Oggi volate con me, ma sentirete solo qualcosa. Ciao, ciao» aveva detto prima del lancio.
Poi solo il sibilo del vento, un urlo, infine lo schianto.
La stessa overdose di adrenalina costata la vita, nello stesso mese a quattro giorni di distanza, all'altoatesino Uli Emanuele, 29 anni, e ad Alexander Polli, l'italo-norvegese di 31 anni, il cui motto era 'Non fissate mai dei limiti alle vostre capacità'.
In Italia, nel 2016, 4 milioni di italiani adulti hanno consumato negli ultimi 12 mesi almeno un tipo di droga fra cocaina, cannabis, eroina, droghe sintetiche e nuove sostanze.
Non è certamente poco.
Si tratta di un italiano quasi ogni sette.
Il primo contatto, per un ragazzo su due, è intorno ai 14 anni: è nella prima adolescenza infatti che si comincia prima ad assaggiare, e poi a consumare, sostanze stupefacenti.
La droga più utilizzata da 9 ragazzi su 10 è la cocaina, in aumento rispetto al 2015.
Segue la cannabis, assunta dall'87%.
Il 57% circa dei neo entrati ha fatto uso di eroina
Seguono ecstasy (270), ketamina (144), anfetamina (81) e allucinogeni (152).
Da sottolineare come il 43% dei nuovi entrati non ha mai fatto uso di eroina.
Minore, ma comunque rilevante, l'uso di droghe sintetiche, con la ketamina e gli allucinogeni assunte, rispettivamente, dal 28 e 30% dei neo entrati.
Anche in termini di dipendenza primaria, la cocaina è balzata in testa (55%), mentre nel 2015 al primo posto figurava l'eroina.
Le percentuali aumentano sensibilmente fra i giovani (15-34 anni): più di 1 su 5 ha fatto uso di almeno una droga negli ultimi 12 mesi e quasi 1 su 2 (43%) nel corso della vita.
E salgono ulteriormente tra la popolazione studentesca: 1 studente su 4 (25,9%), pari a 640 mila ragazzi e ragazze ha fatto uso di almeno una sostanza illegale.
Non solo: non si tratta di una canna e stop, ma è sempre più diffuso il consumo della cocaina.
L'allarme arriva direttamente dalla Comunità di San Patrignano che oggi ospita 1.300 ragazzi e ragazze.
Sono saliti infatti a 509 (+8,8% rispetto ai 468 del 2015) gli ingressi nella storica comunità che ora comprende anche la struttura di preaccoglienza a Botticella per l'anno 2017: 85 ragazze e 424 ragazzi, ma fra i minorenni questo divario di fatto non c'è.
L'età media è di 28 anni: 33 sono sotto i 18 anni di età, 144 tra 18 e 25 anni, 197 tra 36 e 44 anni, 40 oltre 45 anni.
È la fotografia scattata dall'Osservatorio di San Patrignano sugli ingressi nel 2017 diffusi in vista della Giornata Mondiale per la Lotta alla Droga del 26 giugno e in occasione della celebrazione dei 40 anni di attività della Comunità a cui parteciperà anche il presidente della Repubblica.