Il primo caso in Europa è quello di un missionario spagnolo.
Madrid ha inviato un aereo militare, con un team medico, per il rimpatrio di un missionario di 75 anni, che ha contratto il virus in Liberia. Il responsabile della Sanità, Vineusa ha spiegato che il missionario, Miguel Pajares, sarà condotto in un ospedale pronto a ospitare questo tipo di patologie: «la sicurezza è garantita».
Un altro caso di contagio interessa un medico americano che aiutava i pazienti infettati con il virus dell'ebola in Liberia e che è rimasto lui stesso contagiato. Lo riferisce l'organizzazione umanitaria per la quale lavora. Il medico, Kent Brantly, 33 anni, è ora ricoverato in un ospedale di Mongrovia e si sta sottoponendo a cure, riferisce la ong, Samaritan Purse. Quando ha notato i sintomi, dopo aver curato una serie di pazienti la scorsa settimana, si è messo in isolamento, ha fatto sapere la portavoce Melissa Strickland.
E secondo i nuovi dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) i decessi sono stati, al 4 agosto scorso, 932 mentre sono 1.711 i casi accertati in quattro paesi africani (Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria).
Oggi l’OMS ha dichiarato che l’epidemia di ebola attualmente in corso è una “ emergenza sanitaria internazionale”
Per evitare ulteriori contagi saranno necessarie misure straordinarie di contenimento.
L’ebola conferma la propria pericolosità dovuta all’elevata virulenza: il tasso di mortalità ha superato il 50%.
L’appello è rivolto alla comunità internazionale in quanto l’epidemia, che settimane fa era già stata identificata come la più grave della storia per durata ed entità, ha colpito paesi che non hanno le risorse per far fronte all’infezione.
Margaret Chan, direttore generale dell’OMS, ha sottolineato che le risorse materiali o finanziarie impiegate ed i rispettivi sistemi sanitari sono attualmente troppo insufficienti
L’epidemia, iniziata a marzo in Guinea, a oggi è arrivata in Sierra Leone, in Liberia (ora in stato d’emergenza) e infine anche in Nigeria, dove il primo caso identificato risale al 20 luglio e pochi giorni fa è stato annunciato un altro decesso, un medico.
L’organizzazione sottolinea che le conseguenze di un’ulteriore espansione sarebbero estremamente serie, rendendo più che mai necessaria la risposta internazionale. Non esiste a oggi una terapia mirata né un vaccino ufficiale (sono ancora fermi nei laboratori).
Le cure mirano perciò a lenire i sintomi con i quali il virus si presenta, come febbre alta, diarrea e vomito.
Si tratta della epidemia più mortale al mondo.
Tra l’altro si contano le prime vittime tra gli operatori sanitari (un medico) e parasanitari( 3 infermiere)