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Due imprenditori del settore farmaceutico, sono stati raggiunti da un provvedimenti di sequestro di beni, per un milione e mezzo di euro.

Avevano messo in piedi una frode ai danni del ministero dello Sviluppo economico in relazione ad un finanziamento, da oltre 5 milioni di euro di contributi comunitari del fondo europeo di sviluppo regionale, concesso, negli anni 2005 – 2011, per un progetto di ricerca, sulla carta finalizzato allo sviluppo industriale per l’impiego farmacologico delle proteine del latte, ma in realtà fantasma.

 

Ai due soggetti, padre e figlio rispettivamente rappresentante legali di fatto e di diritto pro-tempore di una società di capitali operante nel settore farmaceutico, sono stati sequestrati beni per un valore che supera il milione e mezzo di euro.

La Guardia di Finanza di Catanzaro ha eseguito la misura, dopo la condanna della Corte dei conti per la truffa ai danni dell’Unione europea ed ha proceduto al sequestro di 16 beni immobili (terreni, fabbricati ad uso abitativo e capannoni industriali), conti correnti e attività finanziarie per un valore di 1.552.719,87 euro.

Il sequestro è stato operato su disposizione della procura regionale della Corte dei Conti e arriva al termine dell’iter giudiziario che, su richiesta formulata dal sostituto procuratore generale Davide Vitale, nel giugno scorso, aveva portato alla condanna dei destinatari del sequestro, ritenuti responsabili di un danno erariale da oltre 1,5 milioni di euro per aver messo in piedi una frode ai danni del ministero dello Sviluppo economico in relazione ad un finanziamento, da oltre 5 milioni di euro di fondi comunitari del fondo europeo di sviluppo regionale, concesso, negli anni 2005 – 2011, per un progetto di ricerca, sulla carta finalizzato allo sviluppo industriale per l’impiego farmacologico delle proteine del latte.

Sulla base del ventilato progetto, erano stati assunti quattordici tra dipendenti e collaboratori.

Dalle indagini delle fiamme gialle è emerso che le assunzioni di cinque soggetti, parenti dei due amministratori, erano del tutto fittizie e consentivano di rendicontare attività di ricerca mai svolte.

Dei rimanenti nove lavoratori, quattro restituivano a padre e figlio una parte della propria retribuzione.

Le indagini hanno consentito di individuare responsabilità anche per un esperto tecnico dell’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile di Roma (Enea), referente per il progetto di ricerca, il quale ha inteso antecedentemente definire la propria posizione, attraverso un procedimento per rito abbreviato, rifondendo l’ente danneggiato per l’importo di sua competenza.

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Non solo deficit, adesso anche mille lavoratori precari a rischio licenziamento entro la fine dell’anno con conseguenze inimmaginabili sui servizi forniti.

Sulla sanità calabrese si abbatte un’altra scure.

Il Consiglio dei ministri, infatti, su proposta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ha deliberato lo scioglimento dell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro.

 

Pesantissima la motivazione: «accertati condizionamenti da parte delle locali organizzazioni criminali».

Lo scioglimento durerà 18 mesi e in questo periodo la gestione dell’Ente sarà affidata ad una commissione di gestione straordinaria.

«La situazione della sanità in Calabria è molto seria» è stato il commento del neoministro della Salute Roberto Speranza, da subito impegnato con i problemi calabresi.

«Il rispetto rigoroso del principio di legalità sarà essenziale per aprire una stagione in cui il diritto alla salute venga effettivamente garantito» ha aggiunto il ministro.

Uno scioglimento, quello dell’Asp di Catanzaro, che giunge a sei mesi esatti da quello dell’Asp di Reggio Calabria, anche in quel caso decretato per infiltrazioni mafiose.

Attualmente l’Azienda sanitaria catanzarese era retta da un reggente, visto che ancora non era stato nominato il commissario che, in base al Decreto Calabria, avrebbe dovuto gestire l'Azienda per cercare di rimettere a posto i conti.

L’Ente era finito nell’occhio del ciclone nel novembre dello scorso anno, dopo l’operazione «Quinta Bolgia» della Direzione distrettuale antimafia che aveva portato all’arresto di 24 persone tra le quali ex componenti del management dell’Azienda.

Nell’inchiesta sono finiti l’ex direttore generale dell’Asp di Catanzaro, Giuseppe Perri - i suoi predecessori Gerardo Mancuso e Mario Catalano sono indagati in stato di libertà -, Giuseppe Pugliese, direttore amministrativo sino all’ottobre 2017, ed Eliseo Ciccone, già responsabile del Suem 118 ed ora destinato ad altro incarico.

Pesanti le conclusioni cui sono giunti i magistrati della Dda ed i finanzieri del Comando provinciale del capoluogo e dello Scico di Roma.

Secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, la cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte aveva un controllo totale dell’ospedale di Lamezia Terme proprio grazie al management dell’Asp per il tramite di due politici, l’ex parlamentare Giuseppe «Pino» Galati e Luigi Muraca, componente del Consiglio comunale di Lamezia sciolto nel 2017 per infiltrazioni mafiose.

Secondo l’accusa, gli Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, grazie ai loro sottogruppi e alla connivenza di amministratori pubblici e politici, avevano il controllo della fornitura di ambulanze sostitutive del 118, oltre che dei servizi di onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario, del trasporto sangue e di altro ancora

«Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose dell’Asp di Catanzaro conferma la necessità e l’urgenza che l’intero governo M5S-Pd prenda in mano al più presto la situazione della sanità calabrese, dotando le aziende del Servizio Sanitario Regionale di vertici capaci di garantire legalità e tutela della salute con indipendenza e coraggio».

Lo affermano, in una nota, i parlamentari calabresi del M5S Francesco Sapia, Bianca Laura Granato, Paolo Parentela e Giuseppe d’Ippolito, che aggiungono: «Il provvedimento del Consiglio dei ministri, analogo a quello che aveva già interessato l’Asp di Reggio Calabria, è indicativo della patologia principale da cui è affetto il Servizio sanitario della Calabria, cioè la sudditanza rispetto ad un sistema di potere che finora ha potuto agire incontrastato tra complicità e silenzi».

«Siamo certi – concludono – che il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il ministro Luigi di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, raccoglieranno in prima persona questo nostro appello, anche perchè sulla sanità calabrese non c’è più tempo da perdere».

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Bufera al Comune di Borgia Incarichi illegittimi per favorire gli amici, delibere comunali modificate ad hoc, un curriculum vitae farlocco per assicurarsi un posto di maggiore prestigio e uno stipendio più alto, in barba alle regole sulla trasparenza nella Pubblica amministrazione, che impongono procedure selettive di merito e un bando pubblico per la copertura di posti vacanti. Il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Veronica Calcagno, dopo aver chiuso le indagini nel mese di giugno con contestuale avviso di garanzia, ha chiesto il rinvio a giudizio, a carico di 10 indagati,tra ex amministratori, dipendenti del Comune e l’attuale sindaco di Borgia.

Gli indagati. Sotto accusa, a vario titolo, per abuso di ufficio e falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico l’ex sindaco Francesco Fusto, 43 anni di Borgial’allora vice sindaco Riccardo Bruno, 54 anni, nato a Sciaffusa in Svizzera e residente a Borgia, gli ex assessori Sandro Citraro, 52 anni, nato in Svizzera e residente a Borgia,  Leonardo Maiuolo,35 annidi Borgia, Elisabeth Sacco, 32 anni, di Catanzaro, attuale primo cittadino del Comune di Borgia e  Giuseppe Zaccone, 34 anni di Catanzaro; il segretario comunale Mario Guarnaccia, 51 anni, di Isca sullo Jonio; il vice comandante della Polizia municipale del Comune di Borgia Orlando Lagonia, 50 anni di Catanzaro; il responsabile del servizio amministrativo Antonio Melito, 66 anni di Borgia e il responsabile del servizio finanziario Luca Buccafurri, 43 anni, di Catanzaro.

L’abuso di ufficio.

Secondo le ipotesi accusatorie, nonostante fossero presenti nell’organico del Comune di Borgia, due vigili, distaccati nell’area amministrativa e adibiti a funzioni inferiori, gli indagati avrebbero assunto Orlando Lagonia, già appartenete alla Polizia locale del Comune di Catanzaro con il profilo di “Istruttore di Vigilanza categoria C”, ricorrendo alla procedura di mobilità nella Pubblica amministrazione.  Un risultato reso possibile modificando, con delibera di Giunta numero 86 del 25 maggio 2015, la dotazione organica limitatamente all’area di Polizia municipale, con la previsione di un ulteriore posto di categoria D1, che avrebbe consentito a Lagonia mansioni superiori e un aumento di stipendio di 1712, 56 euro annuo. Lo stesso sarebbe poi stato nominato (con decreto del sindaco numero 5 del 29 giugno 215) vice comandante della Polizia municipale e contestualmente sarebbero state disposte le ferie forzate per il comandante in carica dei Vigili urbani Salvatore Scarfone. Un “piano” che avrebbe procurato, secondo la Procura, un ingiusto vantaggio patrimoniale a Lagonia, nonostante gli indagati fossero consapevoli dell’insussistenza delle condizioni di assunzione.

“Il falso curriculum”.

Lagonia, nei confronti del quale si ipotizzano i reati di abuso di ufficio e falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, avrebbe presentato domanda di trasferimento dal Comune di Catanzaro a quello di Borgia avvalendosi di un curriculum vitae con una sfilza di titoli e ruoli inesistenti. Pur di ottenere l’incarico, avrebbe attestato di aver ricoperto l’incarico di supervisore del servizio antiterrorismo in ambito aeroportuale di Lamezia; di aver ricevuto mandato da parte della Giunta del Comune di Simeri Crichi di coordinatore della sezione ambientale della Polizia locale; di essere stato responsabile della polizia giudiziaria dei vigili urbani al consorzio Bassa Bergamasca; di essere stato coordinatore comandante della Polizia locale del Comune di Casignana (R.C). E ancora, di avere la qualifica di esperto in tecniche di polizia giudiziaria, tecniche investigative tradizionali e indagini scientifiche rilasciata dal Comune di Lecco; di essere in possesso del brevetto Enac di esperto nell’individuazione di ordigni esplosivi. Circostanze, per la Procura, non corrispondenti al vero, con l’aggravante di aver commesso il fatto per conseguire l’assunzione in mobilità. Adesso la parola passa al gip del Tribunale di Catanzaro, che una volta fissata l’udienza preliminare, nel contraddittorio tra accusa e difesa, deciderà se accogliere la richiesta della Procura di mandare a processo gli indagati.

di Gabriella Passariello

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