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Catanzaro, 16 febbraio 2017. Persone non identificate hanno dato alle fiamme, a Catanzaro, un'area del Parco della Biodiversità Mediterranea nei pressi delle giostrine.

 

 

Le fiamme hanno causato danni a tre baracche di cui due di legno parzialmente bruciate e una di lamiera contenente sei piccole vetture, che sono andate completamente distrutte.

L'incendio è stato spento dai vigili del fuoco.

Sul posto è stata trovata una tanica con tracce di liquido infiammabile. Sull'episodio ha avviato indagini la Polizia di Stato.

"A pochi giorni dal riposizionamento della Madonnina di Medjugorie, che era stata danneggiata - afferma il presidente della Provincia, Enzo Bruno - il Parco della Biodiversità viene ancora una volta colpito al cuore dalla violenza inaudita e vigliacca di ignoti che non hanno di meglio da fare che distruggere un bene collettivo tanto caro a Catanzaro e alla Calabria.

Atti vandalici che suscitano sdegno e rabbia. Non ci sono risorse per ricostruire il Parco: se viene distrutto, non potrà essere recuperato" (ANSA)

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«Con me stop a mafia e malaffare», così ha dichiarato Mario Oliverio presentando il Report dei suoi primi due anni di governatorato della Calabria.

 

Ed oggi che è venuta fuori la ennesima vicenda regionale con arresti eccellenti, ecco cosa dichiara:

"I Mancuso sui fondi UE, "Regione calabria si costituirà parte civile in eventuale giudizio"

."Il Presidente della Giunta regionale On. Mario Oliverio, subito dopo il suo insediamento, per quanto concerne la Fondazione Calabria Etica ha proceduto a nominare una prima commissione interna con lo scopo di verificare la regolarità dell'andamento di gestione dell'ente.

 

A seguito delle prime verifiche- informa una nota dell'Ufficio Stampa della Giunta- si è proceduto, nel febbraio 2015, alla nomina del Commissario straordinario dott. Carmelo Barbaro ed alla contestuale revoca dell'allora Presidente Dr. Pasqualino Ruberto.

 

Successivamente, nell'agosto 2015 la Fondazione è stata posta in liquidazione e con successiva nomina è stato conferito l'incarico di liquidatore al Prof. Valerio Donato, con il preciso mandato di condurre alla cessazione dell'Ente in piena coerenza con i principi di legalità, trasparenza ed etica condivisa.

In merito al progetto "Credito sociale", nel programma preventivo di liquidazione del marzo 2016, l'ufficio del Commissario liquidatore ha posto subito in evidenza che le attività espletate dalla Fondazione non erano pienamente coerenti al principio di legalità. Infatti, dalle relazioni si evince che sia la Fondazione e probabilmente nemmeno CooperFin, avessero i requisiti per svolgere le funzioni di gestori del servizio finanziario affidato con decreto del Dirigente Generale n. 10380 del 28 agosto 2014.

 

Il Commissario liquidatore sin dal gennaio 2016 aveva conferito mandato per agire in giudizio nei confronti di CooperFin per la restituzione delle somme dovute.

Infatti, dalle verifiche espletate sulla documentazione amministrativa contabile in possesso della Fondazione, è stato accertato che la Fondazione stessa aveva trasferito a CooperFin la somma di 2,5 milioni di euro.

Di dette somme solo 600 mila euro risultavano erogati a favore dei beneficiari.

Le residue somme (pari ad 1,9 milioni) erano state in parte impiegate da CooperFin, (900 mila euro circa) per attività diverse da quanto previsto per la corretta gestione del fondo rotativo.

La stessa CooperFin, in una relazione richiesta dal Liquidatore dichiarava che le somme erano state erogate a terzi soggetti.

Conseguentemente il Commissario liquidatore ha proceduto giudizialmente per il recupero della somma di 1,9 milioni, con decreto ingiuntivo del 15 marzo 2016, giudizio attualmente pendente davanti al Tribunale di Catanzaro.

La Regione, pertanto, in virtù delle procedure tempestivamente avviate subito dopo l'insediamento del Presidente della Giunta On. Mario Oliverio, confida nel proficuo lavoro degli organi di giustizia riservandosi la determinazione di costituirsi parte civile nell'eventuale giudizio".

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Ecco cosa scrive l’ex dirigente generale del dipartimento Lavoro della regione Calabria.

 

“La durezza del provvedimento interdittivo che oggi mi ha travolto, assolutamente inaspettato, mi impone questo scritto pubblico, per un'avvertita esigenza di difesa che invece - nelle dovute sedi che dovrebbero essere di garanzia - è stata negata sia a me sia ai miei avvocati; non un documento d'accusa ci è stato offerto o messo a disposizione, nulla, solo un interrogatorio "al buio" (tanto da essere costretto al silenzio); eppure il carteggio è immane, centinaia e centinaia di carte per decine di fascicoli per una vicenda che ha avuto inizio non mesi, ma anni prima che io venissi chiamato a svolgere il ruolo di dirigente generale del Dipartimento Lavoro (incarico che ho mantenuto per nove mesi, dal giugno 2014 al febbraio 2015) e che si è conclusa due anni dopo la mia cessazione della carica.

 

Incarico, è doveroso precisarlo, che ho assunto in un momento molto difficile per il Dipartimento, abbandonato a se stesso, con un carico di lavoro consistente e senza alcuna collaborazione interna, tanto che dopo alcuni mesi (il 24 novembre 2014), nel rassegnare le mie dimissioni, ho chiesto alla nuova Giunta con atto formale - quale condizione per rimanere al mio posto - la rimozione di alcuni dirigenti e la rotazione dei funzionari del dipartimento per manifeste inadempienze (dirigenti e funzionari che, contrariamente a me, sono rimasti al loro posto).

 

Ho piena fiducia dei professionisti avvocati che mi sostengono e credo nella verità processuale perché si basa su atti e documenti, su indagini e riscontri, e confido nella Magistratura, anche se mi è difficile comprendere il perché di questa decisione, tanto violenta quanto sproporzionata e che per questo avverserò in ogni sede giudiziaria con i leciti mezzi che il codice di procedura penale mi fornisce.

La mia non è "cieca obiezione", non venga letta come scontata autodifesa; è esigenza di spiegazioni, necessità di comprendere come possa basarsi la misura interdittiva di 12 mesi che mi è stata comminata, e dunque l'allontanamento forzoso dal mio lavoro per un anno intero, sulle dichiarazioni di un coindagato, di un soggetto che - cosi per come emerge letteralmente dall'ordinanza oggi notificatami - ha prima reso dichiarazioni in un senso e poi, senza alcuna spiegazione (da lui fornita e nemmeno richiesta dalla Procura), in senso esattamente contrario, così riversando su di me l'intera gogna e responsabilità di fatti rispetto ai quali mi professo estraneo.

È questo che risulta davvero difficile accettare: non documenti, atti, provvedimenti da me adottati o qualsivoglia altra prova diretta, ma solo la testimonianza di chi «diversamente da quanto dichiarato in precedenza» (questa è la sua versione messa nero su bianco) all'improvviso getta fango su di me. Ottenendo, questo va detto, di rimanere saldamente al proprio posto, e forse si spiega allora il cambio di versione.

Andrò avanti, mi difenderò, la verità verrà fuori e ogni circostanza falsa brandita contro di me verrà perseguita nelle sedi opportune.

Per completezza evidenziamo che c’è una sorta di “pentito” in questa vicenda, che è Pasquale Capicotto da Pianopoli, funzionario regionale e già responsabile dei lavoratori lsu-lpu.

Sono le sue ricostruzioni dei fatti la base dalla quale partire per arrivare all’interdizione dai pubblici uffici.

Ma il giudice Greco ha scritto che “La ricostruzione dei fatti fornita delinea uno scenario di decadenza da fine impero nel quale si osserva la definitiva subordinazione di fondamentali gangli della pubblica amministrazione a interessi privati.

La degenerazione è tale che numerosi dirigenti apicali di uffici pubblici mostrano di adoperarsi al solo fine di dirottare risorse pubbliche in complessi – per non dire “perversi” – meccanismi volti a captare il consenso elettorale necessario ad alimentare le basi del potere gestito con disinvolta arroganza nell’ambito di organi istituzionali di diretta investitura democratica.

Le dichiarazioni di Capicotto provengono dal cuore di un sistema degenerato nel quale le istituzioni della Repubblica, disancorate dal perseguimento dei propri fini istituzionali operano al prioritario fine di assicurare la sopravvivenza di un sistema che pare del tutto inconsapevole di essere ormai prossimo alla catastrofe economica e finanziaria”.

Insieme con Vincenzo Caserta, 59 anni, nato a San Costantino Calabro (Vv), ma residente a Catanzaro, la interdizione è stata comminata anche a Gianfranco Scarpelli (cl. ’56), ex direttore generale dell’Asp di Cosenza nella foto a dx insieme con Gentile)e ad Antonio Perri (cl. ’54) di San Fili (Cs) direttore del distretto di Rogliano.

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