Cos’è questa realtà che non si cessa d’invocare, e che, nonostante tutto, ci sorregge di fronte alla compatta e trionfante Dittatura del Luogo Comune, alla quale sembra ridursi, sempre più spesso, la "realtà sociale contemporanea”? E’ in questo che risiede la difficoltà di trovare risposte solide, ma anche la ostinata convinzione che alcune questioni non sono state affrontate adeguatamente e in tempo: tanto è vero che si ripropongono ora più prepotentemente.
E i tentativi di ribellione, vissuti da noi, erano approcci, sia pure confusi, a nuove mete, oppure vane rivolte di chi riluttava di muoversi nelle regole (e nei limiti) del sistema, e quindi sussulti luddistici , contro le nuove tecnologie, per cui saremmo stati un po' tutti indiani metropolitani, che pretendevano di prescindere dalle dure leggi della civiltà industriale?
La valutazione di questo punto non è cosa da poco. Non ha carattere solo di corretta, sistemazione storiografica. La questione ha attinenza con l'oggi, e coinvolge direttamente la comprensione dei problemi del presente, se è vero che allora furono compiute scelte che sono alla fonte della crisi attuale.
Furono scelte non solo economiche, ma che definirono una precisa — e dura — gerarchia sociale. Non furono soltanto gli operai dentro le fabbriche a pagare. Il colpo definitivo al Mezzogiorno e alle campagne venne dato allora. Oggi, l’assedio maggiore il sistema liberal democratico lo sta subendo dai propri cittadini. La pratica poco lungimirante della politica di creare grandi quantità di debito per mantenere le promesse di oggi, senza costruire investimenti per saldare quel debito domani, si è rivelata nella sua sventatezza in questi anni di crisi finanziaria.
Ma adesso è diventato difficilissimo per i politici convincere i cittadini che le promesse non si possono mantenere più e che bisogna pensare nuove austerità economiche. Ancora di più in paesi in cui la popolazione invecchia e le proteste sono più difficili da ignorare rispetto a quelle, più tradizionali, dei giovani. E questo aumenta le difficoltà di pensare al domani sacrificando sull’oggi.
E molte questioni che oggi ci affannano e sono divenute addirittura di moda — l'urbanesimo esasperato, l'incontrollabilità e i costi delle grandi aree metropolitane, la congestione assurda in ristrette fasce di pianura, il guasto ecologico — ebbero il loro punto di partenza nelle decisioni che vennero prese a cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta.
Il movimento di sinistra avrebbe dovuto essere la forza nel prendere atto delle novità e dei mutamenti intervenuti nelle società capitalistiche e, alla luce di tali mutamenti, avviare il discorso per un nuovo blocco di potere guidato dalla classe operaia. Insomma si sarebbe dovuto compiere allora un passo essenziale per un possibile ribaltamento della struttura sociale ed economica. Secondo Joseph Pelton, professore alla George Washington University, il futuro non sarà nelle mani della moderna classe operaia rappresentata da nuovi tecnici superspecializzati in nicchie di conoscenze iper-circoscritte. Egli auspica l’affermazione di connessioni di conoscenza interdisciplinare, attraverso un mondo sempre più elettronicamente connesso. Vi è in sostanza l’esigenza di nuovi modi di pensare a tutto tondo, piuttosto che di specialisti di info-nicchie. Multidisciplinarità ed altre inversioni di tendenza nei sistemi di istruzione e nelle procedure industriali saranno necessari alla sopravvivenza nel mondo del cyberspazio.
In tal senso l’attesa è tutta per un nuovo popolo “rinascimentale” capace di operare in un nuovo mondo, interculturale e interdisciplinare. E in questo, non bisogna confondere i fini con i mezzi. L’obiettivo che il futuro pone non è l’illimitata crescita esponenziale e quantitativa dei flussi di informazione, ma la individuazione di una nuova “saggezza” planetaria e di nuova conoscenza in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente.
E ciò varrebbe tanto più se ci sarà un'unica autorità, come è spesso il caso (tutte le dittature, anche quelle camuffate da “liberal-democrazie”), che deciderà per tutta la maggioranza “silenziosa” ciò che sarà utile e ciò che sarà nocivo. Gli uomini che non la penseranno così, chiaramente non saranno ben “accetti”. Verranno additati come “terroristi”. La cosiddetta società non li vorrà. Questi uomini, pochi, andranno in giro “vaneggiando” nello spiegare che lo scopo del Potere non è realizzare l’uomo; lo scopo del potere costituito è il profitto del capitale investito e il controllo del sistema. Gli stessi uomini, in vari campi del sapere, hanno scritto e continueranno a farlo, dicendo che l'uomo è sempre stato capace di conformarsi a qualsiasi tipo di potere, perfino alla dittatura più estrema, chinando il capo in cambio di miseri contentini: cibo, giochi, e il consumismo in generale. Mai come oggi si era raggiunto un livello di schiavitù mentale di così vaste proporzioni, un controllo di massa attuato in maniera così effimera e allo stesso tempo arguta, da impedire all'individuo di essere libero di pensare.
Forse è giunto il momento di chiedersi se questa forma di schiavitù sia dovuta esclusivamente alla bravura del Potere di lobotomizzare, attraverso distrazioni di massa al punto tale da impedire alle persone qualsiasi atto di ribellione, o all'incapacità di molti individui che, per mancanza dei mezzi necessari, non comprendono il reale funzionamento del sistema socio-economico di cui fanno parte, oppure si tratta della "paura della libertà" come la definiva Erich Fromm, oppure ancora se sia semplicemente indifferenza ed alienazione a tutto ciò che accade intorno all’uomo.
Probabilmente la risposta sarà data da tutte queste cose messe insieme, come un veleno che scorre nelle vene della maggior parte delle persone che le persuade ad accontentarsi di ciò che hanno, pensando che magari potrebbe andar ancora peggio di così e che tutto sommato non stanno poi così male. Questo veleno ha solo un antidoto: la forza analitica, e non solo, delle persone che può condurle verso la conoscenza di se stessi e del sistema in cui sono immerse, con il conseguente desiderio di aspirare ad un mondo migliore di quello nel quale vivono. La più pura e concreta manifestazione di tale necessità è la lotta.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik