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Aveva già fatto sentire la sua voce raccontando la sua storia di emigrato barese a Dublino, in Irlanda.

 

È uno delle centinaia, forse migliaia, di giovani italiani che cercano all’estero quello che il proprio paese non offre: l’opportunità di costruirsi una vita, un futuro.

Gaetano Di Liso, avvocato originario di Palo del Colle, torna a parlare e lo fa per rispondere alle dichiarazioni poco opportune (usiamo un eufemismo) del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Pubblichiamo la sua lettera integrale.

“Sig. Perito agrario Poletti (eh si, in un Paese che richiede la laurea anche per servire caffè in un bar, Lei e’ l’ennesimo caso di non laureato che raggiunge poltrone d’oro, vertici di rappresentanza delle istituzioni e stipendi pazzeschi), ho dato un’occhiata al suo curriculum e le garantisco che lei non verrebbe assunto neanche all’Arlington Hotel della mia Dublino a servire colazioni come io, giovane avvocato laureatomi in Italia, ho fatto per pagare le spese di sopravvivenza in un Paese straniero che mi ha dato una possibilità che il Suo Paese mi ha negato.

Lei, ministro del lavoro, il lavoro non sa neanche cosa sia, lei che non ha lavorato neanche un giorno della sua vita (il suo cv parla chiaro).

Lei, che si rallegra di non avere tra i piedi gente come me, non ha la piu’ pallida idea di quanto lei sia un miracolato.

Lei non sa, perito agrario Poletti, che dietro ogni ragazzo che si trasferisce all’estero, ci sono una madre e un padre che piangono QUOTIDIANAMENTE la mancanza del figlio, c’e’ una sorella da vedere solo un paio di volte all’anno, degli amici da vedere solo su “facetime” e i cui figli probabilmente non ti riconosceranno mai come “zio”, c’e’ una sofferenza lancinante con la quale ci si abitua a convivere e che diventa poi quasi naturale e parte del tuo benessere/malessere quotidiano.

Il Suo, perito agrario Poletti, e’ un paese morto, finito, senza presente ne’ tanto meno futuro e lo e’ anche per colpa sua e di chi l’ha preceduto.

Chi e’ Lei per parlare a noi, figli e fratelli d’Italia residenti all’estero, con arroganza, con spocchia, con offese e mancando del più basilare rispetto che il suo status di persona, oltre al suo status di ministro, richiederebbe?!

O forse pensa che le sue pensioni d’oro, i suoi stipendi da favola possano consentirle tutto questo nei confronti di ragazzi, in molti casi più titolati, preparati e competenti di lei?!

Ha mai provato a sostenere un colloquio in inglese?

 

Ha mai scoperto quanto bello, duro e difficile sia conoscere tre lingue e lavorare in realtà multiculturali?

Ha mai avuto la sensazione di sentirsi impotente quando le parlano in una lingua che non e’ sua e ha difficoltà a comprenderla al 100%?

Questo lei, perito agrario Poletti, non lo sa e non lo saprà mai.

E’ per questo che il suo ego le permette di offendere 100.000 ragazze e ragazzi che l’unica cosa che condividono con lei e’ la cittadinanza italiana.

Lei e’ l’emblema di una classe politica e partitica totalmente sconnessa con la realtà, totalmente avulsa dal tessuto sociale che le porcate sue e dei suoi amici “compagni” hanno contribuito a generare.

Io, e gli altri 99.999 ragazzi che siamo scappati all’estero dovremmo essere un problema che dovrebbe toglierle il sonno, lei dovrebbe fare in modo che questa gente possa tornare a casa, creare condizioni di lavoro e di stabilita’ economica che possano permettere a 100.000 mamme di non piangere più per la lontananza dei figli.

Lei, perito agrario Poletti, padre dei voucher e del precariato, e’ il colpevole di questo esodo epocale e quasi senza precedenti di questa gente che lei vorrebbe fuori dalle palle.

Si sciacqui la bocca, perito agrario Poletti, prima di parlare di gente che parla piu lingue di lei, che ha avuto il coraggio di non accontentarsi, e di cercare altrove ciò che uno stato che fa davvero lo stato avrebbe dovuto garantire al proprio interno.

E si tolga rapidamente dai coglioni per favore, prima lo farà e prima questo paese, visto dalla fredda e super accogliente Irlanda, sembrerà più bello e gentile.

Firmato da uno di quelli che lei vorrebbe fuori dalle palle”.

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Il Papa:

1«Siamo in debito con i giovani, li obblighiamo a emigrare»

«Abbiamo privilegiato la speculazione invece di lavori dignitosi e genuini che permettano» ai giovani «di essere protagonisti attivi nella vita della nostra società».

Dio viene Egli stesso a rompere la catena del privilegio che genera sempre esclusione, per inaugurare la carezza della compassione che genera l'inclusione»

«Non si può parlare di futuro» se « abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati» e costretti «a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono».

I giovani debbono poter trovare un futuro nella loro terra e per questo ci deve essere un impegno da parte di tutti.

«ci è chiesto di prendere ciascuno il proprio impegno, per poco che possa sembrare, di aiutare i nostri giovani a ritrovare, qui nella loro terra, nella loro patria, orizzonti concreti di un futuro da costruire. Non priviamoci della forza delle loro mani, delle loro menti, delle loro capacità di profetizzare i sogni dei loro anziani. Se vogliamo puntare a un futuro che sia degno di loro, potremo raggiungerlo solo scommettendo su una vera inclusione: quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale».

2«Non possiamo permetterci di essere ingenui. Sappiamo che da varie parti siamo tentati di vivere in questa logica del privilegio che ci separa-separando, che ci esclude-escludendo, che ci rinchiude-rinchiudendo i sogni e la vita di tanti nostri fratelli.

Dio, «lungi dall'essere chiuso in uno stato di idea o di essenza astratta, ha voluto essere vicino a tutti quelli che si sentono perduti, mortificati, feriti, scoraggiati, sconsolati e intimiditi. Vicino a tutti quelli che nella loro carne portano il peso della lontananza e della solitudine».

Il Presidente:

«Il problema numero uno del Paese resta il lavoro».

« sono ancora troppe le persone a cui il lavoro manca da tempo, o non è sufficiente per assicurare una vita dignitosa. Non potremo sentirci appagati finché il lavoro, con la sua giusta retribuzione, non consentirà a tutti di sentirsi pienamente cittadini».

«Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune».

«Abbiamo, tra di noi fratture da prevenire o da ricomporre. Tra il Nord del Paese e un Sud che è in affanno. Tra città e aree interne. Tra centri e periferie. Tra occupati e disoccupati».

2 «La corruzione, l'evasione consapevole degli obblighi fiscali e contributivi, le diverse forme di illegalità vanno contrastate con fermezza».

«Essere comunità di vita significa condividere alcuni valori fondamentali. Questi vanno praticati e testimoniati. Anzitutto da chi ha la responsabilità di rappresentare il popolo, a ogni livello. Non vi sarà rafforzamento della nostra società senza uno sviluppo della coscienza civica e senza una rinnovata etica dei doveri. La corruzione, l'evasione consapevole degli obblighi fiscali e contributivi, le diverse forme di illegalità - ha concluso - vanno contrastate con fermezza».

3«Le difficoltà, le sofferenze di tante persone vanno ascoltate, e condivise. Vi sono domande sociali, vecchie e nuove, decisive per la vita di tante persone. Riguardano le lunghe liste di attesa e le difficoltà di curare le malattie, anche quelle comuni; Non ci devono essere cittadini di serie B.».

4«Dopo l'esplosione del terrorismo internazionale di matrice islamista, la presenza di numerosi migranti sul nostro territorio ha accresciuto un senso di insicurezza. È uno stato d'animo che non va alimentato, diffondendo allarmi ingiustificati. Ma non va neppure sottovalutato. Non rendersi conto dei disagi e dei problemi causati alla popolazione significa non fare un buon servizio alla causa dell'accoglienza».

5 «Vi è un altro insidioso nemico della convivenza. Non è un fenomeno nuovo, è in preoccupante ascesa: quello dell'odio come strumento di lotta politica. L'odio e la violenza verbale, quando vi penetrano, si propagano nella società, intossicandola».

«Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza. Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva».

6«Il web è uno strumento che consente di dare a tutti la possibilità di una libera espressione e di ampliare le proprie conoscenze. Internet è stata, e continua a essere, una grande rivoluzione democratica, che va preservata e difesa da chi vorrebbe trasformarla in un ring permanente, dove verità e falsificazione finiscono per confondersi».

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soldi imA Sanremo residenti infuriati coi richiedenti asilo. Pur avendo vitto e alloggio pagati, gli immigrati vanno in giro a chiedere l'elemosina (con lo smartphone in mano)
Tutto questo succede a Sanremo, ma anche nella nostra città di Cosenza specialmente nella nuova Piazza Bilotti e davanti ai negozi e supermarket  troviamo gli immigrati che chiedono l’elemosina. Non usano il cappellino, ma un bicchiere di plastica. Qualcuno ancora da una piccola offerta, la maggioranza della gente però si sente infastidita e borbottando qualcosa passa oltre, neppure li guarda.

Sanremo - Cappellino per l'elemosina da una parte e smartphone o sigaretta dall'altra.

 È questo l'identikit del "nuovo" profugo. Una figura che impazza, da mesi ormai, per le strade del centro di Sanremo, scatenando polemiche tra gli abitanti, che si sentono molestati ad ogni angolo con insistenti richieste di denaro da parte degli immigrati.
"Ehi, capo, un euro". Oppure: "Signora, una piccola offerta per mangiare". Ma quale offerta per mangiare: per loro vitto e alloggio sono gratuiti. E meno male, altrimenti al posto delle sigarette o delle schede telefoniche, con i soldi dell'elemosina gli immigrati dovrebbero comprarsi il mangiare. Ma la gente ormai lo ha capito e se all'inizio c'era ancora qualcuno che allungava una piccola offerta, oggi quei cappellini sono più o meno vuoti. "Hanno già tutto", lamentano i più. Resta soltanto il fastidio procurato a turisti e abitanti che in questi giorni di festa affollano la centralissima via Matteotti, il quartiere del teatro Ariston.
Le forze dell'ordine non possono fare nulla. Motivo? Hanno tutti lo status di rifugiato politico e, quindi, sono protetti dalla legge. Se a ciò aggiungiamo che l'accattonaggio non è reato, i conti sono presto fatti. Ma torniamo ai telefonini. Nelle vie di grande afflusso chiedono tutti l'elemosina, allungando il cappellino sotto il naso dei passanti, ma una volta girato l'angolo, ecco uscire magicamente dalle tasche smartphone e pacchetti di sigarette. Insomma, bella la vita da rifugiato.

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