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“Posta” insulti su Fb ed il giudice lo condanna per diffamazione.

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Ci sono “stupidi” che pensano di poter “postare” quello che vogliono sui siti web camuffandosi dietro l’anonimato.

Non è così.

Ben peggio coloro che scrivono su face book i quali si sentono garantiti dalla cosiddetta “privacy” che a loro giudizio li tutelerebbe perché si tratterebbe di messaggi riservati agli amici.

Anche in questo caso non è così.

L’ennesima prova nei giorni scorsi.

A Palermo, dove il giudice della terza sezione penale di Palermo, Riccardo Corleo, ha condannato per diffamazione aggravata una persona che aveva postate sul suo profilo Fb, aperto sotto il falso nome "Diletta", alcune parole contro il sig Mario Ravetto Antinori.

Facile per la polizia postale di Palermo condurre una approfondita indagine informatica ed effettuare riscontri di tipo tecnico scoprendo che dietro il profilo Fb si nascondeva la signora Maria Gabriella Priulla.

Diletta aveva tra l’altro scritto di Antinori “Sei bello come Alvaro Vitali” ed ancora che ““Sei affascinante come un cadavere in decomposizione…”.

Questa ha ammesso le proprie responsabilità ed ha patteggiato la pena

Oltre alla pena economica la responsabile ed è stata condannata anche al pagamento delle spese legali.

Attenti, allora. Secondo i giudici penali Facebook ha una «diffusione incontrollata». Il social network, infatti, consente la comunicazione con più persone» alla luce del «carattere pubblico dello spazio virtuale in cui si diffonde il pensiero» dell'utente che entra «in relazione con un numero potenzialmente indeterminato di partecipanti».

Due le cose da capire, quindi.

La prima che non esiste privacy e che tutto quanto pubblicato sul web o su Fb può essere portato in Tribunale.

La seconda è che nel web e su Fb( ed altro) l’anonimato non garantisce alcunché perche gli investigatori possono giungere ai responsabili. Da Ansa.it

Sono tante le sentenze simili

Ricordiamo, tra tutte, la sentenza emanata dal tribunale di Livorno secondo cui insultare qualcuno sul social network fondato da Mark Zuckerberg equivale a farlo attraverso qualunque mezzo di stampa.

L'articolo 595, terzo comma del codice penale, secondo cui il reato di diffamazione è punito più severamente nel caso in cui l'offesa sia recata attraverso la stampa così come attraverso qualsiasi altro mezzo che possa permettere una vasta distribuzione del messaggio.

E ricordiamo anche che il delitto di diffamazione prevede addirittura un anno di carcere.

Redazione TirrenoNews

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