La Squadra Mobile ha individuato e arrestato i componenti di due associazioni che negli ultimi anni avrebbero fatto circolare grosse quantità di sostanza stupefacente.
Durante il blitz “H24 evolution” arrestato anche il familiare di un noto pregiudicato della Noce.
Fiumi di cocaina alla Zisa, spacciata agli angoli delle strade o consegnata comodamente a casa. Sono sedici gli arresti della Squadra Mobile che ha con l'operazione H24 evolution ha individuato e sgominato due associazioni a delinquere che nel corso degli ultimi anni avrebbero fatto circolare grosse quantità di sostanza stupefacente nel quartiere e nel resto della città.
Tra i promotori di una delle due organizzazioni il familiare di un pregiudicato mafioso del mandamento della Noce, spiega la polizia.
Il blitz scattato all'alba di oggi arriva quale prosecuzione dell'operazione condotta a febbraio 2017 che ha portato all'arresto di numerosi spacciatori del rione e non solo che rifornivano anche i professionisti della "Palermo bene".
"Le ultime indagini svolte dalla sezione Antidroga della Squadra Mobile - spiegano dalla Questura - coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, hanno registrato le illecite attività di altri soggetti facenti parte di organizzazioni strutturate ed attraverso la nota metodica del telefono in servizio H/24".
„Offrivano droga a tutte le ore, non soltanto da comprare e portar via ma anche a domicilio, rappresentando un continuo punto di riferimento per l'approvvigionamento da parte di centinaia di persone in arrivo ogni giorno da tutta la città.
L’associazione, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, controllava rigidamente l’attività di spaccio dei propri pusher che non avevano autonomia.
Ricostruiti anche episodi di conflitto registrati tra pusher interessati ad aumentare il bacino di clienti per garantirsi un'entrata costante di diverse centinaia di euro al giorno.“
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L'arcivescovo metropolitano di Palermo Corrado Lorefice nel corso della omelia per la Patrona di Palermo, Santa Rosalia, ha parlato di "campi di concentramento libici" che "continuano la loro sistematica distruzione nazista dell’umano con la nostra colpevole complicità".
Una accusa che è anche una auto accusa.
Quel “nostra complicità” non esclude nessuno.
Tantomeno la chiesa che ancora una volta parla ma non agisce.
Che senso ha, infatti, parlare "dei popoli dell’Africa e del Sud del pianeta martoriati dallo sfruttamento dell’Occidente, ridotti allo stremo e alla morte” quando poi non si fa nulla per cambiare lo stato delle cose?.
Che senso ha narrare dello “sgomento davanti a tutti i corpi viventi che finiscono la loro avventura nel non senso, nell’abisso del nulla" quando poi non si fa nulla per cambiare lo stato delle cose?.
Che senso ha, infine, parlare dell "esercito di corpi tanto reali quanto invisibili, che si annidano nelle macerie della storia, distrutti da una corrente gelida di annientamento e di indifferenza” quando poi non si fa nulla per cambiare lo stato delle cose?.
Ma ancora peggio è dichiarare il proprio “ sgomento che ci afferra al cospetto dei barconi affondati”
Qualcuno pensa che la chiesa, cominciando da quella siciliana, stia per acquistare una nave per trasbordare i migranti”dei campi di concentramento libici" fino ai conventi di tutta Europa per ospitarli, servendosi della collaborazione gratuita dei preti e delle monache.
Basta barconi e gommini che poi affondano con il loro carico umano.
Le navi del papa e degli arcivescovi trasporteranno in tutta sicurezza i migranti e li distribuiranno secondo un piano di distribuzione europeo.
La fede e la chiesa porranno fine ai campi di concentramento libici.
Poi le navi del papa cominceranno a trasportare i migranti da tutte le altre parti del mondo verso tutti i conventi del mondo.
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Da Palermotoday
“E' successo in piazza Casa Professa.
La vittima un bengalese, che dopo il pestaggio ha chiamato la polizia.
Quindi le indagini e l'arresto. Un ghanese senza fissa dimora è finito al Pagliarelli, continua invece la caccia al complice
Una violenta rapina in pieno centro, la fuga, le indagini, la svolta.
La polizia ha effettuato un fermo di indiziato di delitto nei confronti di un uomo di 44 anni. Si tratta di un extracomunitario (A.A. le sue iniziali).
Nei suoi confronti sono emersi gravi indizi di colpevolezza in merito a una rapina in concorso con una persona che è rimasta ignota.
I fatti risalgono allo scorso 5 agosto, quando i poliziotti appartenenti all’ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico si erano recati in piazza Casa Professa dove un cittadino del Bangladesh aveva segnalato di esser rimasto vittima di una rapina ad opera di due stranieri.
"L’uomo - spiegano dalla questura - ha raccontato che mentre percorreva a piedi via Casa Professa parlando al telefono, era stato avvicinato da due persone che dopo avergli chiesto una sigaretta, lo avevano strattonato con il chiaro intento di rapinarlo".
Secondo il racconto della vittima, mentre uno dei due lo teneva fermo per le braccia, il secondo lo colpiva in faccia a pugni, per poi intimargli di consegnare tutto il denaro che aveva addosso.
Dopo aver "perquisito" senza "fortuna" le tasche del povero bengalese, i due rapinatori hanno sottratto al malcapitato lo smartphone che teneva in mano.
Non prima però di averlo colpito nuovamente alla schiena con dei pugni.
Gli agenti, a distanza di pochi minuti dall'aggressione, hanno accompagnato la vittima sul posto.
Un giro di ricognizione, nei dintorni, alla ricerca dei rapinatori.
"E infatti - sottolineano dalla questura - dopo alcuni metri, in piazzetta Brunaccini, il bengalese ha notato uno dei due aggressori, che tra l’altro corrispondeva in pieno al minuzioso identikit fornito poco prima ai poliziotti.
Accortosi della presenza degli agenti, il rapinatore ha cercato di fuggire, venendo, però, prontamente bloccato. L'uomo, privo di documenti, è stato poi identificato". Si tratta di un cittadino ghanese di 44 anni senza fissa dimora.
Dai successivi accertamenti è emerso che era irregolare sul territorio italiano.
Il giudice gli ha "spalancato" le porte del carcere Pagliarelli”.
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Palermo. L'ex ministro è stato l'ultimo imputato a prendere la parola per rendere dichiarazioni spontanee davanti alla corte d'Assise.
Poi, dopo cinque anni di dibattimento, più di duecento udienze e quasi trecento testimoni, i giudici guidati da Alfredo Montalto si sono ritirati per emettere la sentenza.
Per l’ex ministro, i pm Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e i sostituti della Procura nazionale antimafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene, hanno chiesto una condanna pari a sei anni di carcere: è l’unico imputato accusato di falsa testimonianza.
Violenza o minaccia a un corpo politico dello Stato è invece il reato contestato ad altri sette imputati.
Quindici anni di reclusione la pena chiesta per il generale Mario Mori, dodici per il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno.
Dodici anni anche per l’ex senatore Marcello Dell’Utri.
La pena più alta – 16 anni – è stata chiesta per il boss Leoluca Bagarella, 12 anni per Antonino Cinà, non doversi procedere, invece, per il pentito Giovanni Brusca condanna a 5 anni.
Per Massimo Ciancimino, principale teste del processo, i pm hanno chiesto cinque anni per l’accusa di calunnia e il non doversi procedere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
“Questo processo – esordiva l’accusa nella sua requisitoria il 14 dicembre 2017 – ha avuto peculiarità rilevanti che lo hanno segnato fin dall’inizio.
La storia ha riguardato i rapporti indebiti che ci sono stati tra alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra e alcuni esponenti istituzionali dello Stato italiano”
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Ha chiesto ad un connazionale una "bionda" ma lui si è rifiutato di dargliela.
Da qui l'aggressione al collo e la richiesta di consegnargli i soldi che aveva addosso.
All'arrivo della polizia ha sferrato un calcio alla tibia ad uno degli agenti
Una sigaretta negata all'origine di una violenta rissa scoppiata al Foto Italico tra due tunisini che si è conclusa con un arresto per rapina aggravata, resistenza e violenza a pubblico ufficiale.
A finire in manette Harchi Mongi, cinquantenne pregiudicato ed irregolare in Italia.
I poliziotti del commissariato Oreto-Stazione hanno notato i due uomini litigare mentre effettuavano un posto di controllo a pochi metri da loro.
Si sono quindi avvicinati per bloccarli e identificarli.
Mentre gli agenti tentavano di separare i due, il 50enne si è scagliato contro i poliziotti, sferrando un calcio alla tibia di uno degli agenti.
La vittima, trentaduenne, ha raccontato che il connazionale gli ha chiesto una sigaretta e lui si è rifiutato di dargliela.
A quel punto gli si sarebbe scagliato contro, afferrandolo per il collo e minacciandolo di morte gli avrebbe ordinato di consegnargli non solo le sigarette, ma anche il vino che teneva dentro un sacchetto per la spesa e tutti i soldi che aveva addosso.
L'uomo arrestato è stato accompagnamento al Pagliarelli.
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Il 23 dicembre, proprio a Palermo, il presidente del Senato ha dato al via alla campagna elettorale inaugurando il primo circolo di Liberi e Uguali, la formazione politica della sinistra nata dall'unione di Mdp, Si e Possibile, dopo l'addio al Pd.
E nel giorno di Natale il presidente del Senato Pietro Grasso, è tornato a trovare i ragazzi del carcere minorile Malaspina.
"Hanno sbagliato, ma sono anche consapevoli di avere una vita intera - scrive il Presidente su Facebook - per rimettersi sulla strada giusta, studiare, lavorare e costruire una famiglia.
Noi saremo qui.
Li aspetteremo e costruiremo per loro nuove opportunità per ricominciare".
"Nuove opportunità per questi ragazzi", allora.
E nel fare gli auguri Grasso ha detto che : "Hanno sbagliato ma hanno una vita intera per rimettersi sulla strada giusta".
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Ecco cosa scrive Francesco Gagliardi:
Ci risiamo. Puntualmente appena si avvicinano le feste del Santo Natale in Italia c’è sempre qualche dirigente scolastico o qualche maestra un po’
saccente ed arrogante, che si vuole mettere in vista, e poiché crede di fare una cosa buona e giusta o proibisce ai propri alunni di preparare il presepe e vietare le canzoncine di Natale oppure fa togliere dalle pareti il Crocifisso.
Quello che oggi sto per raccontarvi, amici miei carissimi, è un fatto realmente accaduto.
Non in un paesino della Calabria del’Aspromonte o dei Monti della Sila, ma in una grande città.
Siamo a Palermo, nella nobile terra siciliana.
Il Direttore Didattico, così si chiamava quando io insegnavo, della scuola materna elementare “Ragusa Moleti” ha diramato una circolare imponendo ai docenti di non fare più recitare le preghiere del mattino agli scolari all’inizio delle lezioni e di non fare intonare canzoncine neppure prima della merenda o nell’ora di religione.
Ha inoltre fatto rimuovere dalla scuola alcune immagini religiose tra cui una statua della Madonna e una foto di Papa Francesco.
Il fatto ha suscitato non solo le reazioni di alcuni insegnanti ma anche un vespaio di polemiche da parte dei genitori degli alunni, i quali hanno minacciato di ritirare i propri figli da questo istituto scolastico.
Mamma, mamma, perché non possiamo recitare più in classe la preghiera del mattino?
Perché non possiamo ringraziare Gesù per il cibo che ci da?
Domandano i bambini perplessi alle loro mamme.
E’ il dirigente scolastico Nicolò La Rocca che lo ha proibito.
Dell’accaduto è stato nel frattempo informato il dirigente scolastico regionale il quale dovrà prendere i provvedimenti del caso.
Purtroppo episodi del genere ce ne sono stati in altri plessi scolastici e in altre regioni d’Italia.
Da qualche anno a questa parte si registra uno zelo davvero impressionante per cacciare dalle nostre aule scolastiche tutti i simboli della religione cristiana.
Via il Crocifisso! Offende la coscienza dei ragazzi musulmani che frequentano regolarmente la nostra scuola.
Ma siamo in Italia, perbacco, non in Iran o Irak.
La scuola è nostra, è italiana, fino a prova contraria.
E allora? Allora coloro che frequentano la nostra scuola dovrebbero rispettare i nostri usi e costumi, le nostre tradizioni.
E voi, amici lettori di Tirreno News, che ne pensate?
E’ giusta la decisione del dirigente scolastico o è sbagliata? Sono scesi in campo anche alcuni parlamentari della Lega Nord i quali hanno scritto al Ministro della Pubblica Istruzione sottolineando che proibire a dei bambini di pregare a scuola è una cosa indegna.
Togliere la foto del Santo Padre Papa Francesco e la Statua della Madonna è un atto ignobile. Hanno presentato finanche una interrogazione parlamentare.
La decisione adottata dal Dirigente scolastico palermitano ha sollevato un vespaio di reazioni ed insulti, il più gentile è imbecille.
Ma il Dirigente non si scompone.
Si giustifica dicendo di aver applicato un parere dell’Avvocatura dello Stato dell’8 gennaio 2009 in base al quale è da escludere “ la celebrazione di atti di culto, riti o celebrazioni religiose nella scuola durante l’orario scolastico”.
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Cinque nigeriani sono stati rinviati a giudizio dal gip di Palermo con l’accusa di associazione mafiosa.
Altri 14 imputati come membri della mafia nigeriana hanno scelto il rito abbreviato.
Un provvedimento che è stato una vera e propria corsa contro il tempo da parte del giudice per le indagini preliminari per evitare la scadenza dei termini di custodia cautelare degli stranieri detenuti.
La “Black Axe” nigeriana arriva a Ballarò
Tra le accuse contestate agli imputati, lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di stupefacenti.
La banda si riuniva nel quartiere Ballarò del centro storico.
L’espressione Black Axe, cioè «ascia nera», che dà anche il nome all’operazione, è una specie di mafia nigeriana che proprio come Cosa nostra segue particolari riti di affiliazione, ha un linguaggio specifico e sistemi di potere dislocati in varie zone.
«Le indagini hanno accertato come l’organizzazione al suo interno riproducesse compiti, funzioni e persino organigrammi tipici di uno Stato, tanto che per indicare le figure verticistiche facevano riferimento al tipico formulario di cariche istituzionali», spiegarono gli inquirenti al momento degli arresti, spiegando che l’associazione era «basata su rigide regole fatte di “battesimi”, riti di affiliazione dei membri e precisi ruoli all’interno del sodalizio» e che l’organizzazione «garantiva il rispetto delle regole interne e la sicurezza dei suoi principali membri attraverso il braccio armato, “Bucha” o picchiatore».
Il business dei nigeriani: prostituzione e droga
L’operazione era stata condotta nel novembre del 2016 dalla Procura di Palermo – nelle indagini coordinate dall’aggiunto Leonardo Agueci e condotte da Sergio Demontis e Gaspare Spedale – e aveva portato al fermo di una ventina di persone.
Ma soprattutto aveva fatto luce su una serie di condotte criminali finora quasi inedite a Palermo.
Un primo pezzo del puzzle la Procura lo aveva trovato quando due nigeriani avevano denunciato un’aggressione a colpi di ascia avvenuta il 27 gennaio 2014 in via del Bosco, una traversa di via Maqueda.
Un anno fa vi furono i primi arresti e adesso i primi rinvii a giudizio.
Ed aggiunge anche :
““Vorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenente a sette segrete, proibite dal governo a causa di violenti atti di teppismo: purtroppo gli ex membri di queste sette che sono riusciti ad entrare in Italia hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali”, si legge in un’informativa dell’ambasciata nigeriana a Roma del 2011.
L’inchiesta del fattoquotidiano.it ha anche svelato come tra i nigeriani e i boss i Cosa nostra a Palermo ci fosse una sorta di accordo per spartirsi il territorio al centro della città”.
Come se ci mancassero i mafiosi!.
A chi dire GRAZIE?
Facile da capire, ma se lo volete ve lo spiegheremo meglio!
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Gli ospiti della comunità di via Lungarini hanno dato vita a una protesta chiedendo maggiore attenzione, la consegna del pocket money e cibo di qualità migliore.
Sul posto polizia e carabinieri.
Hanno lanciato in strada sedie, divani, banchetti e altro ancora.
Mattinata di tensione a Casteldaccia per la protesta dei giovani stranieri non accompagnati ospiti della struttura di via Lungarini.
Poco più di una ventina di ragazzi ha dato il via alla "rivolta" contro il centro che li accoglie chiedendo "maggiore attenzione, cibo migliore e la consegna dei soldi previsti dal pocket money", riferiscono dalla polizia.
Sul posto cinque pattuglie della polizia e tre dei carabinieri.
Gli ospiti della struttura, dopo circa una mezz'ora, hanno interrotto l'azione dimostrativa e si sono aperti al dialogo con i responsabili della struttura.
L'intervento degli agenti è risultato necessario per riportare la calma in attesa dell'arrivo dei mezzi comunali cui toccherà il compito di liberare la strada dagli arredi buttati giù dalle finestre.
Secondo alcune indiscrezione sembrerebbe che alla base della protesta ci sia il mancato festeggiamento del Ramadan. I responsabili del centro accoglienza, i cui locali in passato venivano utilizzati come uffici comunali, non avrebbero autorizzato i ragazzi a celebrare la fine del periodo sacro per gli islamici.
I minorenni, però, sono dispensati sia dal digiuno che dagli altri obblighi previsti per i musulmani.
Palermotoday
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È successo ad un automobilista palermitano finito in tribunale per aver lasciato la sua auto in un'area riservata ai portatori di handicap per 16 ore e adesso condannato in Cassazione.
In sostanza chi parcheggia nel posto dei disabili rischia la condanna per violenza privata.
A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, chiamata a decidere sulla vicenda di due cittadini palermitani.
Una complessa vicenda giudiziaria.
Un automobilista palermitano era finito in tribunale per aver lasciato la sua auto in un’area riservata ai portatori di handicap per 16 ore.
Pochi giorni fa condannato la Cassazione lo ha condannato a 4 mesi di carcere.
La vicenda ha avuto inizio ben 8 anni fa, nel maggio 2009.
Il protagonista è il sig Mario Milano di 63 anni.
La donna che lo ha querelato è una disabile di 49 anni, che aveva un parcheggio sotto casa assegnato nominalmente (con il suo numero di targa).
E' successo tutto di mattina, quando la donna, stanca, decide di rientrare a casa(ha problemi fisici gravi).
Individua il suo parcheggio ma trova il suo posto occupato.
Erano circa le 10.30.
Telefona ai vigili che però non possono intervenire perché sono tutti impegnati in una riunione.
Poi si rivolge ai carabinieri di zona.
Passano le ore, finisce il giorno, arriva la notte.
Soltanto alle 2.30 del mattino l'auto "abusiva" viene finalmente caricata sul carroattrezzi e portata via.
La donna decide di querelare il proprietario della macchina.
Parte un iter processuale infinito. Un iter che si è concluso adesso.
Parcheggiare nello spazio per i portatori di handicap è un reato.
Violenza privata.
È la prima volta che accade.
Una sentenza destinata a fare scuola.
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