Gli uomini hanno sempre avuto paura ed hanno tentato di vincerla con riti apotropaici o propiziatori , culti che dal paganesimo sono continuati , benchè modificati , anche con l’avvento del Cristianesimo.
Sono riti che raccontano di uomini e donne , di feste gioiose , di erbe , di acque propiziatorie e di fuochi purificatori , del sole(fuoco ) e della luna ( acqua ).
Ed i momenti nell’anno che maggiormente si prestavano( e si prestano) a questi eventi sono sicuramente i due solstizi, quello estivo con Giovanni il Battista , quello invernale con Giovanni l’evangelista.
Il giorno del solstizio, che cadeva per gli antichi tra il 21 e il 24 giugno , quando il sole sembra fermarsi ( sol stetit dicevano i latini ), sorgendo e tramontando sempre nello stesso punto fino al 24 , il giorno di San Giovanni , il giorno del tempo sacro , del tempo del passaggio , del confine spazio –temporale in cui si credeva potesse accadere di tutto .
Una notte magica, ma anche una notte di paura. La notte delle streghe quella nella quale talune tradizioni vogliono che sia un momento astrale che favorisca la riunione delle streghe nei crocicchi delle strade per fare i loro sortilegi, dal momento che a loro volta erano favorite dalle speciali potenzialità dell’acqua di San Giovanni. La notte nella quale secondo molti antichi proverbi “tutto può accadere e a tutto si può rimediare”.
Ed il rimedio era nei riti apotropaici gran parte dei quali legati al fuoco, che vince il buio, la notte e la paura, la musica, il rumore, che tengono svegli e che allontanano il male .
Anche Amantea aveva i suoi riti apotropaici.
Nelle campagne, per esempio, venivano accessi grandi fuochi intorno ai quali si riuniva la comunità e lì intorno al suono di un organetto si raccontavano antiche fiabe, si ballava, si saltavano i fuochi secondo le antiche usanze greche.
Quella era poi la note nella quale si dovevano raccogliere le erbe magiche che avevano il potere di scacciare tutte lei malattie perché le loro caratteristiche e proprietà in quella notte erano esaltate e alla massima potenza.
Parliamo del vischio, del sambuco, dell’aglio, della cipolla, della lavanda, della mentuccia, del biancospino, del corbezzolo, della ruta ( a san giuvannu a ruta ogni malu stute) , del rosmarino.
Le donne, poi, ponevano queste erbe in un bacile pieno d’acqua per tutta la notte ed all’indomani si lavavano per aumentare la bellezza e preservarsi dalle malattie.
Ma ad Amantea il rito apotropaico più vitale e sociale era “ U ciucciu i San Giuvannu”
Il fantoccio di un asino che viene portato a spalla ed al quale poi si da fuoco per vincere il buio, la notte, le paure
Una scelta non casuale. Da sempre l'asino è stato per gli amanteani e la gente di campagna il compagno nei lavori, negli spostamenti, nei momenti sereni ed in quelli più tristi. Un lavoratore affidabile e costante, docile e collaborativo, dal carattere mite. Un compagno di vita leale ed un vero amico.
Chi altri per superare un momento difficile come la notte di san Giovanni, chi altri da sacrificare per vincere la notte
Chi altri da portare nel passaggio
Un rito quello di “U ciucciu i San Giuvannu” che si era perso nella memoria collettiva e che ora si tenta di recuperare, quasi ad affermare che ancora oggi la comunità amanteana deve affrontare momenti bui e difficili ed intende farlo insieme e riscoprendo gli antichi culti e riti che ne hanno accompagnato la millenaria esistenza.
Quasi che il tempo si sia fermato.
I complimenti di Tirreno news agli organizzatori