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amanteaold2Abbiamo trovato un bellissimo articolo, che vi proponiamo, con un nostro personale arrangiamento.

Le zone dove lo spagnolo attecchì maggiormente furono quelle che erano unite alla corona di Spagna, come l’intero sud italia, dove il dominio spagnolo durò per ben quattrocento anni in due epoche differenti, dal 1442 al 1707 e dal 1734 al 1859.

Già nella seconda metà del XIII secolo, in conseguenza alla rivoluzione del Vespro, molti catalani entrarono a far parte dell’esercito mercenario che allora si era formato in Italia.

In seguito l’afflusso di questi mercenari doveva essere ancora di piccola entità se già nel 1305 Roberto d’Angiò entrò a Firenze con “una masnada di trecento cavalieri aragonesi e catalani”.

 

Al tempo di Carlo II (1285-1309), predecessore di Roberto d’Angio, anche per il grande potere e prestigio economico e mercantile che aveva acquisito la città di Barcellona era stato consentito ai catalani di avere nelle principali città del regno i loro “consoli”.

Non è un mistero infatti che la cosiddetta Rua Catalana di Napoli risalga a quest’ epoca, una strada così chiamata poiché abitata da catalani, soprattutto mercanti, stabilitisi nella capitale in quegli anni.

Dopo una lunga guerra, terminata con la vittoria di Alfonso I (V d'Aragona) e con l’espulsione di Renato d’Angiò, nel 1442 gli angioini abbandonarono il sud italia cedendo il posto alla dinastia aragonese. 

 

Alfonso I fu tra i principali promotori della cultura del Rinascimento, ed amò circondarsi di illuminati italiani con i quali discuteva di lettere e di filosofia.

Il clima culturale promosso durante il regno di Alfonso si caratterizzò per l’istituzione nel 1443 dell’Accademia alfonsina, la prima accademia in Italia, che fu poi denominata Pontaniana.

Alfonso I non imparò mai bene l’italiano, ma continuò sempre a scrivere e a parlare in catalano e soprattutto in castigliano, poiché era figlio di un principe castigliano ed era stato allevato alla corte di Enrico III.

Durante il regno di questo sovrano si verificò un’altra immigrazione spagnola, simile a quella già avvenuta in Sicilia, ed assai più consistente di quella avvenuta al tempo della corte di Roberto d’Angiò.

 

I nuovi immigrati strinsero ben presto legami di parentela con le famiglie del regno: famiglie intere si stabilirono nel regno acquisendo feudi e parentadi, moltissimi altri spagnoli furono impiegati nell’amministrazione, e numerosi furono pure i prelati che giunsero dalla Spagna, insieme a contadini, artigiani, impiegati, negozianti, come testimoniano le cedole della regia tesoreria. 

Dalla Spagna giunse persino il buffone del re.

I nobili del tempo erano in gran parte catalani ed a catalani vennero affidati i posti di maggiore rilievo dell’amministrazione del regno.

Un tale afflusso di spagnoli ebbe, tra l’altro, la conseguenza di rafforzare nel regno la feudalità, che già aveva subito un forte impulso durante la dominazione angioina. Con Alfonso I la lingua della corte e della cancelleria divenne il catalano e così fino al 1480.

Fin d’allora l’influsso dello spagnolo nella vita sociale del sud italia fu evidente nelle feste e nei divertimenti, nell’affascinante e travolgente galanteria del costume, nello sfoggio di vesti e cavalcature.

 

Presso la sua corte tutta la letteratura in volgare fu in lingua castigliana, poiché, ignorando il re l’italiano, non incoraggiò mai una produzione letteraria indigena; lo seguirono infatti dalla Spagna numerosi poeti e letterati, che, in alcuni casi, entrarono in contatto con i nostri umanisti.

Tra gli svaghi della corte del tempo, in larga prevalenza spagnola, non rientrava infatti la letteratura in volgare italiano.

Con la morte di Alfonso I nel 1458 i regni di Napoli e di Sicilia tornarono a dividersi ed in Calabria salì al trono il figlio di Alfonso, Ferrante d’Aragona.

Con la divisione del regno il flusso migratorio proveniente dalla Spagna subì un rallentamento, ed anzi in alcuni casi molti di coloro che avevano seguito Alfonso nelle nuove terre conquistate tornarono in Spagna.

Forse fu anche seguendo un consiglio del padre in punto di morte, che gli avrebbe raccomandato di allontanare da sé tutti gli aragonesi ed i catalani e di cercare il sostegno degli italiani, che Ferrante cercò l’appoggio dei popoli locali più di quanto avesse fatto lo stesso padre e l’importanza dei catalani si andò così ridimensionando.

 

Durante il suo regno l’italianizzazione degli aragonesi crebbe notevolmente, e non di rado i nobili locali entrarono nell’amministrazione e furono anche ministri del re.

Tuttavia l’elemento spagnolo non regredì a tal punto da uscire definitivamente dalla vita quotidiana, sia per i legami sociali che per quelli dinastici che univano ancora assai strettamente la città alla lingua e alla cultura spagnole.

In catalano continuarono a redigersi per molti anni le cedole della tesoreria, come catalano e castigliano rimanevano le lingue della corte.

Benché Ferrante non fosse, come suo padre, un amante della letteratura, quella spagnola non sparì del tutto dalla cultura del tempo, come testimonia l’elevato numero di libri di poesie spagnoli provenienti dalle biblioteche dei baroni dell’epoca.

Gli spagnoli al sud non solo lasciarono la popolazione affascinata dalla loro galanteria e dai loro modi cortesi, ma furono anche considerati colpevoli di aver diffuso abitudini e costumi morali assai negativi, come riferisce il Pontano, secondo cui avrebbero appreso dallo spagnolo medio la pessima abitudine di giurare sul “cuore” o sul “corpo di Dio”, la passione per le prostitute, ed il disprezzo per la vita umana, causa del moltiplicarsi dei reati di sangue.

 

Anche quando nel 1502, al termine delle lotte tra spagnoli e francesi per le terre dell’Italia meridionale, napoli ed gran parte del sud italia venne annessa al regno di Ferdinando il Cattolico e fu istituito il viceregno, i numerosi viceré che si succedettero, per quasi due secoli, sino alla fine del secolo successivo, raramente abbandonarono la lingua madre durante la loro breve permanenza e si circondarono di una corte di loro connazionali; ciò comportò che sino all’inizio del XVIII secolo la lingua spagnola fosse parte della vita quotidiana, facendo sentire il suo influsso sia nell’ambito delle consuetudini sociali che in quello culturale.

In questi anni lo spagnolo del tempo rimase la lingua di corte e della cancelleria, ma non quella in cui venivano promulgate le leggi (che erano redatte in spagnolo ed in catalano solo in Sardegna), per le quali si ricorreva all’italiano, nonostante esistesse la consuetudine dei sovrani e dei viceré di farvi inserire formule in lingua spagnola.

Tra le classi più elevate della società, i ricchi spesso si cimentavano nel parlare la lingua spagnola, considerando questo loro comportamento un segno di affetto e di lealtà nei confronti dei loro sovrani.

Durante il breve viceregno austriaco (1707-1733), lo spagnolo rimase lingua ufficiale, e con la restaurazione della monarchia spagnola con Carlo III, si rafforzò l’uso del castigliano come lingua della cancelleria, in cui veniva utilizzato di pari diritto con l’italiano. 

Carlo III, anche se nato da un francese e da un’italiana, preferiva parlare castigliano; la sua corte era infatti frequentata da numerosi militari e impiegati arrivati dalla Spagna, e da gentiluomini che avevano trascorso in Spagna gli anni del dominio austriaco, combattendo al fianco di Filippo V.

 

Negli anni del dominio borbonico, vennero poco a poco scemando, poiché i contatti tra gli spagnoli e la madre patria si fecero sempre più radi, l’immigrazione spagnola in Italia divenne sempre più contenuta.

La politica di scolarizzazione dei Borboni contribuì alla diffusione dell’insegnamento dell’italiano e, sulla scia di una moda che stava prendendo piede in tutta Europa nel XVIII secolo, la lingua francese si fece strada a scapito della spagnola.

Ciononostante le tracce linguistiche che quasi quattro secoli di dominazione spagnola nell’intero sud italia hanno lasciato nel dialetto locale sono numerose ed assai interessanti.

Sull’individuazione e sulla descrizione di tali tracce si basa la ricerca che segue, tutta dedicata all’analisi dei vocaboli spagnoli passati all’uso comune.

 

 

Ecco alcuni esempi di spagnolo nel nostro dialetto:

Ammuinà/Ammuìna (fare confusione/Fastidi) da Amohinar (infastidire, irritare).
Amprèssa ( in fretta) da Prisa( prontamente).
Arravuglià/Arrevugliato ( Avvolgere/Avvolto ) da – Arrebujar–Arrebucarse ( Avvolgere-Avvolgersi ).
Arrugnà/Arrugnato ( Contrarre/Contratto-Raggrinzito ) da Arrugar ( contrarre-corrugare).
Buffettunu ( ceffone ) da Bofeton (idem).
Buttiglia ( bottiglia ) da Botella (idem ma anche dal francese buteille).
Cammisa ( Camicia ) da Camisa (idem).
Canzo ( opportunità) da Alcanzar ( conseguire, raggiungere ).
Cusere ( cucire ) da Coser ( idem).
Crepato ( lesionato ) da Quebrado ( rotto )
Cu mmico/Cu ttico ( con me-con te ) da Conmigo – Contigo (idem).
Cunto ( racconto, favola ) da Cuento (idem).
Guappo ( camorrista, prepotente) da Guapo ( bello, i guappi erano visti come uomini affascinanti).

Lazzaro/Lazzarone ( persona scostumata e malvestita ) da Làzaro ( cencioso, lebbroso ).
Mammà ( mamma) da Mamà
‘Mpanata ( cibo ricoperto di farina o pangrattato e poi fritto ) da Empanada ( pasticcio di carni e piselli ).
Muntunu ( mucchio ) da Montòn (idem).
Muzzicunu (boccone ) da Almuerzo ( spuntino, colazione ).
‘Ngarrà ( centrare, indovinare, azzeccare ) da Agarrar ( acciuffare, afferrare ).
Nenna/Ninno ( bambino, bambina) da Niño (idem).
‘Nfizzà/’Mpizzà ( ficcare, introdurre, infilare) da Fijar ( introdurre, fissare)
‘Ngrifarse ( impennarsi, alterarsi, rizzarsi ) da Engrifarse (idem)
Paliàta (bastonare, percuotere) da Apaleàr (dare colpi con un palo).
Palumma ( colomba ) da Paloma (colomba).
Papiallo (il papiro universitario o un documento ponderoso) da Papèl (carta, documento).
Passià – Passiata (camminare, camminata) da Pasear ( passeggiare ).

Ricchione (pederasta) da Orejones (nome dato dagli spagnoli (da oreja -orecchio) ai nobili peruviani viziosi e corrotti che si facevano forare ed allungare le orecchie
Riloggio ( orologio) da Reloj (idem)
Rollo ( rotolo, involto rotondo) da Rollo (idem).
Sbarià ( vaneggiare, delirare, divagarsi) da Desvariar (farneticare).
Sciammeria (giacca elegante ) da Chamberga o Chambergo (casacca, cappello a cencio).
Stare ( nel senso di essere ) da Estar ( stare, essere).

Tenere ( nel senso di avere, possedere ) da Tenér ( avere ).
Trezzià ( scoprire le carte da gioco a poco a poco ) da Terciar (mettere qualcosa in diagonale, ma ha anche altre varianti, tra gli altri significati c’è dividere in più parti).

 

Fonte RAE (Real Academia Espanola)

Fonte:

ISPANISMI NEL DIALETTO NAPOLETANO – Giovanna Riccio (a cura di MARCELLO MARINUCCI)

storienapoli.it/2019/08/09/lo-spagnolo-nel-napoletano-le-parole/

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L’ex rettore dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Eugenio Gaudio, è il nuovo Commissario della Sanità in Calabria, dopo le polemiche sull’incarico e sul contrato all’emergenza coronavirus nella Regione.

 

Lo riferiscono fonti di governo, aggiungendo che anche Gino Strada, sulla cui nomina si erano espressi in molti a favore, ha confermato la disponibilità di far parte della squadra, questa è la notizia Ansa di oggi, solo che il Dottor Strada ha smentito con questo post sulla sua Pagina Facebook

 

Apprendo dai media che ci sarebbe un tandem Gaudio-Strada a guidare la sanità in Calabria. Questo tandem semplicemente non esiste. Ribadisco di aver dato al Presidente del Consiglio la mia disponibilità a dare una mano in Calabria, ma dobbiamo ancora definire per che cosa e in quali termini. Sono abituato a comunicare quando faccio le cose - a volte anche dopo averle fatte - quindi mi trovo a disagio in una situazione in cui si parla di qualcosa ancora da definire. Ringrazio il Governo per la fiducia e rinnovo la disponibilità a discutere di un possibile coinvolgimento mio e di Emergency su progetti concreti per l’emergenza sanitaria che siano di aiuto ai cittadini calabresi”. Gino Strada

 

Una figura barbina del Governo e di chi ha gestito la cosa, segno che il Governo Conte è oramai il alto mare, prossimo ad affondare, le emergenze non si gestiscono cosi.

 

Comunque le reazioni alla nomina dott. Gaudio sono imperniate sulla massima fiducia all’ex rettore.

"Abbiamo chiesto al governo, insistentemente, che a rappresentarci fosse un calabrese che potesse prendere in mano la situazione conoscendone il respiro. Il governo lo ha capito, lo ha recepito ed oggi ha proposto a commissario il rettore Gaudio che ha alle spalle un carriera medica che non finisce mai, un curriculum veramente eccellente. È una che ha grandi capacità anche amministrative, per cui pur permanendo il rifiuto dello strumento del commissariamento, perché speriamo in una amministrazione ordinaria, però è vero che mi piace pensare che, perché figlio di questa terra, possiamo immaginarlo come il primo assessore alla sanità del secondo periodo della Calabria", ha commentato il presidente facente funzioni della Calabria, Nino Spirlì.

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Il commissario regionale alla Sanità oggi a Buongiorno Regione respinge le critiche: "Quel video in cui parlo di mascherine era un'iperbole, non sono un negazionista".

E aggiunge: "Senza decreto di nomina, che non mi é stato ancora notificato, non posso svolgere le mie funzioni"

 

Il nuovo commissario straordinario alla Sanità della Calabria, Giuseppe Zuccatelli, resta incollato alla poltrona che il governo gli ha affidato dopo le dimissioni rocambolesche del suo predecessore, Saverio Cotticelli.

 

Intervistato a Buongiorno Regione dalla Tgr Rai, Zuccatelli ha risposto alle polemiche scoppiate dopo la diffusione di alcuni video in cui diceva che «le mascherine non servono a un ca***» e illustrava le sue personali teorie su come fosse necessario contagiarsi con il Coronavirus attraverso lunghi e approfonditi baci.

 

Di lasciare il suo incarico al momento, Zuccatelli non ha nessuna intenzione: «Io non mi dimetto spontaneamente dall’incarico per il quale sono stato designato – ha detto alla Tgr Calabria – ma se mi sarà chiesto dal ministro io sono disposto a farlo».

Un duro atto d'accusa . l'ultima lettera di Jole Santelli al governo sul piano Anti-Covid in Calabria

Tecnicamente Zuccatelli non ha ancora ricevuto l’incarico, come lui stesso conferma ancora questa mattina. Manca il decreto di nomina: «che non mi è stato ancora notificato» e quindi «non posso svolgere le mie funzioni».

 

Il commissario designato ha spiegato di essere comunque già al lavoro: «ho voluto parlare pubblicamente per i calabresi e per quello che stanno subendo».

Sul video che lo mostrava minimizzare l’utilità delle mascherine, Zuccatelli ammette di aver «detto una fesseria. Ma in quel periodo eravamo nella prima fase della pandemia», per quanto in realtà fosse già maggio.

Ribadisce, oggi, l’utilità tanto delle mascherine, quanto del distanziamento sociale e dell’igiene della mani. Ma quel che proprio non gli va giù è il fatto che quel video “rubato” sia stato diffuso: «Non ci sto a essere martirizzato per un video di 20 secondi.

Così come non ci sto a essere descritto in chiave macchiettistica».

 

La palla quindi passa al governo e al ministro Roberto Speranza, che sull’ormai sempre più controversa situazione della gestione sanitaria calabrese sta evitando dichiarazioni e decisioni.

Eppure solo poco dopo l’indicazione di Zuccatelli, il premier Giuseppe Conte aveva fatto sapere di aver contattato il fondatore di Emergency, Gino Strada, per un suo coinvolgimento sul caso calabrese.

 

Un annuncio rimasto lettera morta, stando almeno al comunicato che lo stesso Strada ha diffuso ieri, 15 novembre, quando ha confermato di non aver mai più ricevuto una sola telefonata da parte del governo, né di essere disposto a ruoli di facciata.

 

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