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BarbieriCosenza, 14 dicembre 2019 - Mancanza di lavoro, mille difficoltà burocratiche, ribassi d’asta. Sono queste alcune delle problematiche a cui bisogna far fronte oggi per chi si trova a gestire una impresa edile. E le cose si complicano quando l’azienda si trova in Calabria. A denunciare la crisi del mondo imprenditoriale è Piero Barbieri, titolare di una impresa edile calabrese che opera nel settore da oltre quarant’anni, che ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli e al presidente dell’Associazione degli industriali.

“La riduzione delle opere in appalto ci ha portati ad una concorrenza spietata tra le imprese, le quali per poter sopravvivere – ammette l’imprenditore Barbieri - hanno dovuto lavorare in alcuni casi sottocosto”.

Un’impresa ereditata dal padre, economicamente florida fino agli anni duemila: “Oltre ad avere ottenuto molti attestati di qualità, gli affari andavano bene al punto da consentirmi di incrementare manodopera e beni strumentali. Con l’avvento dell’euro il settore è entrato in una notevole crisi, per cui più volte mi sono chiesto, quali fossero le cause che l'hanno determinata, non escludendo anche la valutazione di una eventuale mia incapacità di competere con le altre imprese”.

Ma non è solo la mancanza di lavoro una delle cause della crisi del settore. “La partecipazione ad una gara d’appalto – spiega Barbieri - comporta delle spese sia economiche che temporali non indifferenti. Il costo di una gara d’appalto (sotto il milione di euro) varia intorno ai 300/400 euro. Normalmente, partecipano ad un bando di gara dalle 80 alle 100 imprese, quindi statisticamente bisogna partecipare a circa 90 gare per potersene aggiudicare una. Se moltiplichiamo 90 per 350 euro (costo di una singola gara), l'impresa deve spendere 31.500 euro, costo che, se anche di piccola dimensione, non si può assolutamente sostenere. Senza contare i lunghi tempi per preparare la documentazione richiesta dal bando. Se ne deduce, quindi, facendo una stima del tempo di aggiudicazione, che occorrono 90 giorni. Senza dire che l’aumento esagerato della burocrazia costringe ad assentarsi sempre di più dal cantiere; e ad incrementare le spese concorrono i notevoli costi delle certificazioni (SOA, qualità, attestazioni, corsi, ecc.)”.

Cosa bisognerebbe fare per superare questi ostacoli? “Tutto questo si potrebbe risolvere prevedendo la partecipazione alle gare con un unico documento in cui si attesti l’idoneità dell'impresa, eventualmente da rinnovare periodicamente”.

“Una razionale normativa – scrive Barbieri nella lettera - permetterebbe alle imprese di fare più investimenti; si ridurrebbe notevolmente il fenomeno del lavoro nero quindi le imprese oneste sarebbero più competitive, si incrementerebbero i posti di lavoro e i versamenti dei contributi che significherebbero più entrate per lo Stato; ma soprattutto più sicurezza nei cantieri”.

All’interno della lettera, l’imprenditore Piero Barbieri parla anche dei ribassi d’asta: “A tutt’oggi le imprese per tentare di aggiudicarsi una gara d’appalto, sono costrette ad effettuare ribassi almeno del 30-40%, a differenza di vent’anni fa quando bastavano ribassi del 10- 20%, che assicuravano un giusto ricavo che permetteva non solo la loro sopravvivenza, ma anche la possibilità di investire nel mercato. Eppure, basterebbe poco per risolvere questo problema. Infatti, basterebbe cambiare le regole di aggiudicazione delle gare d’appalto, introducendo metodi del tipo “il prezzo medio”: cioè vince la gara chi riesce a centrare il ribasso medio. Le attuali procedure di aggiudicazione portano tutte all’aumento dei ribassi (“media mediata” e “offerta economicamente più vantaggiosa”). Il tutto ormai si è trasformato in una strana prassi: o si offrono ribassi oltre il 30%, oppure diventa inutile partecipare alle gare. E questo non incide certamente in modo positivo alla realizzazione delle opere”.

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La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, guidata dal procuratore Giovanni Bombardieriha chiesto l’applicazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell’attuale commissario liquidatore della Sorical Luigi Incarnato, di Alberto Scambia, titolare di Acquereggine, dell’imprenditore reggino Domenico Barbieri, del manager barese Luigi Patimo e di Anna Maria Gregorace, già dipendente della Regione e segretaria dell’ex presidente del consiglio regionale Giuseppe Bova.

L’ordinanza di custodia cautelare era stata rigettata in prima istanza, quando scattò l’operazione Rhegion, ma la Dda di Reggio Calabria ha presentato ricorso ed è attesa tra qualche giorno la decisione del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria.

L’operazione realizzata dagli uomini del colonnello Lorenzo Falferi nel 2016 ha svelato una organizzazione parallela fatta di politici, imprenditori e dirigenti comunali che operava al fine di consentire a imprese mafiose l’ottenimento di appalti, aggirando o eludendo la normativa antimafia.

Un comitato d’affari che teneva sotto scacco il comune di Reggio Calabria, una rete associativa che si muoveva nella città dello Stretto e che faceva capo sempre a Paolo Romeo, l’avvocato arrestato nell’ambito dell’inchiesta Fata Morgana che sta facendo luce su un’associazione segreta di cui fanno parte politici, imprenditori, massoni e mafiosi.

L’operazione “Reghion” era scattata il 12 luglio del 2016.

I carabinieri del Comando provinciale avevano arrestato 10 persone.

Oltre a imprenditori reggini, romani e milanesi legati alla ‘ndrangheta, in manette era finito Marcello Cammera, storico dirigente del comune di Reggio, e il funzionario Bruno Fortugno che si occupava del servizio idrico integrato.

Il provvedimento di fermo, firmato dal procuratore Federico Cafiero De Raho e dal sostituto Stefano Musolino, aveva colpito anche l’ex senatore di An Domenico Kappler, gli imprenditori reggini Domenico e Vincenzo BarbieriAntonio Franco Cammera (fratello del dirigente e candidato alle ultime elezioni comunali con la lista “Oltre” che ha appoggiato il sindaco Falcomatà del Pd), Sergio Lucianetti di Roma, Luigi Patimo di Milano; Alberto Scambia di Roma e Mario Scambia. 

Se per il solo dirigente Cammera l’accusa più pesante è di concorso esterno in associazione mafiosa, la Procura contesta agli indagati anche i reati di turbata libertà degli incanti, truffa aggravata, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità, intestazione fittizia di beni e estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Sigilli, inoltre, a beni per 42 milioni e mezzo di euro.

In particolare sono stati sottoposti a sequestro due attività commerciali (il bar Winner e il ristorante Naos) e alcune società come la “Alluminio conduttori srl” (con sede Brescia, Reggio Calabria e San Ferdinando), la “Astem Srl” (Roma e San Ferdinando), la “Aster Consult srl”, la “Essevu Srl”, con sede a Colonna (in provincia di Roma), la “Gear Srl”, la “Global business service srl” (Roma), la “Idrorhegion Scarl” (Roma e Reggio Calabria), la “Idrorhegion servizi srl”, la “Idrosur Srl” (Roma); la “ProgIn Srl” (Roma), la “Rhegion-agua Scarl” (Milano), la “Sop di Barbieri Domenico & C Sas” con sede a San Ferdinando, la “Smeco Lazio Srl” (Roma) e la “Tecalco Srl” (San Ferdinando e Brescia).

Al centro dell’inchiesta “Reghion” la relazione tra Paolo Romeo e Marcello Cammera che “emergerà – è scritto nel decreto di fermo – in termini schiettamente criminali in una pluralità di vicende connesse sia al rapporto sinallagmatico di agevolazione degli interessi mafiosi del primo da parte del secondo, sia in termini di protezione dalle investigazioni, sia in termini di corruzione”. Stando alle indagini, infatti, viene fuori un “comitato d’affari” capace di gestire la macchina amministrativa comunale, nell’interesse della ‘ndrangheta. Un comitato il cui deus ex machina era  Marcello Cammera il quale avrebbe consentito a imprese legate alle cosche l’ottenimento di appalti, aggirando o eludendo la normativa antimafia, veicolando contratti multimilionari in favore di alleanze imprenditoriali dietro le quali si celava l’opera dell’avvocato Romeo.

Il modus operandi di Cammera, infatti, era quello di creare, artatamente, veri e propri stati di necessità e urgenza, tali da costringere l’amministrazione politica o i commissari prefettizi che hanno guidato il comune dopo lo scioglimento per mafia a una situazione in cui le alternative erano la sospensione dei lavori col rischio di vedere perduti milioni di euro di investimenti, oppure la loro prosecuzione assecondando il piano criminale congegnato dal dirigente arrestato.

Tra gli appalti finiti all’attenzione della Dda c’è quello riguardante il completamento e l’ottimizzazione del sistema di depurazione delle acque e la gestione delle risorse idriche.

Un bando, in project financing, da 250 milioni di euro che per gli inquirenti ha rappresentato l’esempio “paradigmatico” del mercimonio delle funzioni pubbliche e della sottomissione dell’interesse pubblico. Paolo Romeo e i dirigenti del comune, infatti, avrebbero aiutato il raggruppamento temporaneo di imprese composto dalla spagnola “Acciona Agua Servicios S.L.” ed “Idrorhegion S.c.a.r.l. S.r.l.”, ad aggiudicarsi la gara per la depurazione con un ribasso dello 0,1%.

Un aiuto che, di fatto, ha escluso il rischio di altri concorrenti in cambio posti di lavoro e consulenze per gli amici.

E se il dominus delle scelte imprenditoriali era Alberto Scambia (“stabile corruttore” viene definito in un’intercettazione), l’ex senatore di An Domenico Kappler sarebbe stato il “socio occulto o, comunque, portatore di cointeressenze sostanziali nelle imprese riferibili all’imprenditore romano”. Le indagini del pm Musolino hanno accertato come Kappler, pur non ricoprendo un ruolo formale, avesse “evidenti interessi e attiva partecipazione nella gestione operativa di Acquereggine S.c.a.r.l. e Idrorhegion S.c.a.r.l., significativa capacità d’influenza presso Acea Spa, ma soprattutto svolgesse il ruolo di amministratore delegato della società pubblica “Risorse per Roma Spa”.

Proprio attraverso quest’ultima, inoltre, era stato affidato al dirigente comunale Cammera un incarico professionale che costituiva una parte del prezzo della sua corruzione. 

L’altra parte era il posto di lavoro che il dirigente aveva ottenuto per il fratello Antonio Cammera dall’imprenditore Domenico Barbieri (cugino dell’avvocato Romeo) che controllava il 24,4% delle quote intestate alla Gear Srl.

All’ombra del mega appalto per i servizi idrici, gli indagati Alberto Scambia, Luigi Patimo e Domenico Barbieri avevano realizzato un fondo nero che serviva da “stanza di compensazione” per la ripartizione dei proventi delle attività delittuose e delle spese extracontabili, molte delle quali funzionali alla corruzione dei pubblici ufficiali.

Il Comitato d’affari, e in particolare Marcello Cammera, inoltre, hanno goduto dell’appoggio mediatico offerto da Paolo Romeo e da Teresa Munari, giornalista del Garantista il quotidiano oggi fallito e all’epoca diretto da Piero Sansonetti. “Sono state registrate – dicono gli investigatori – campagne di mutuo soccorso per Marcello Cammera dagli attacchi della politica locale, che a più riprese aveva annunciato pubblicamente di voler procedere alla rotazione dei dirigenti comunali. La giornalista utilizzerà tutta la sua influenza sulla stampa locale, e le proprie aderenze con esponenti politici, al fine di rintuzzare gli attacchi mediatici al dirigente, concedendogli interviste tese a riabilitarne l’immagine pubblica e attaccando i suoi oppositori”.

“In questo contesto, – è scritto nel decreto di fermo – spicca la modalità di assunzione della Munari al quotidiano Il Garantista. Questa, infatti, è frutto delle relazioni personali vantate da Paolo Romeo con il presidente di Confindustria di Reggio Calabria, Andrea Cuzzocrea, a quell’epoca editore del quotidiano”. “Abbiamo proceduto con il fermo perché c’era il pericolo di fuga degli indagati. – aveva spiegato il procuratore Federico Cafiero De Raho – Questa è una città che o cambia facendo chiarezza oppure è destinata a rimanere nelle fauci di questo lupo che è la ‘ndrangheta. Credo che Reggio Calabria saprà reagire. Noi facciamo la nostra parte e, se tutti fanno la propria, probabilmente faremo passi avanti”.

Incarnato è coinvolto nell’inchiesta per una presunta corresponsione di una tangente da 30.000 euro che Scambia, il deus ex machina di Acquereggine, avrebbe indirizzato verso di lui in qualità di commissario della Sorical in tre tranche.

La prova, secondo l’accusa, sarebbe in alcuni manoscritti contabili acquisiti nell’ambito delle perquisizioni effettuate a carico dello stesso dominus di Acquereggine e dell’ex senatore di Alleanza nazionale Domenico Kappler (già amministratore delegato della Risorse pubbliche Roma spa e presunto socio occulto di Scambia).

Secondo gli inquirenti, Scambia (insieme all’imprenditore Domenico Barbieri e Luigi Patimo, rappresentante in Calabria della multinazionale spagnola Action Agua, soci nella Rti interessata all’appalto della depurazione) – attraverso quella presunta tangente – intendeva far aumentare l’importo dei fondi stanziati dalla Regione Calabria per rendere più efficiente la depurazione nella città dello Stretto e al contempo ottenere la gestione in affidamento diretto.

Da Iacchite -

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Lo afferma il consigliere regionale Carlo Guccione

“E’ quello che è accaduto agli ex Lsu-Lpu che, per la manifestazione del 28 luglio 2015, oggi si sono visti recapitare una ordinanza di ingiunzione di pagamento di 2584 euro per ogni lavoratore sanzionato.”

“Bloccarono lo svincolo Cosenza Nord dell’autostrada Salerno-Reggio per difendere il proprio posto di lavoro.

 

 

Si mobilitarono contro le decisioni del Governo per il mancato inserimento dell’emendamento a favore dei precari calabresi.

Sicuramente avrebbero preferito non penalizzare gli automobilisti e non creare disagi a nessuno ma, quando per troppo tempo gli appelli rimangono inascoltati e dopo quasi 20 anni di lavoro si ritrovano senza certezze e garanzie sul loro futuro, arriva il momento di alzare la voce.

Era necessario rivendicare i propri diritti e difendere il posto di lavoro.

E lo hanno fatto con dignità anche se sono stati costretti a forme estreme di protesta.

Quanto accaduto oggi è davvero paradossale.

Un lavoratore precario dopo ben quattro anni dalla protesta si trova pure a pagare una salata sanzione per aver legittimamente manifestato per un sacrosanto diritto: il diritto al lavoro, così come sancito dall’articolo 4 della Costituzione.

Mi unisco all’appello dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil chiedendo che venga cancellata questa assurda ordinanza-ingiunzione di pagamento nei confronti di questi lavoratori.”

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