Il 21 luglio di ogni anno gli Amanteani festeggiano la follia. Qualcuno sarà portato a pensare che qualsiasi cosa è buona per far dimenticare, per una sera, i problemi che assillano la cittadinanza. Non è così. Questa festa, a differenza degli “eventi estivi” organizzati dall’Amministrazione comunale, viene da sempre organizzata in maniera goliardica da semplici cittadini. Un aspetto fondamentale di questa Festa popolare, che zampilla dalla gente, è la cultura materiale. Gli oggetti prodotti e utilizzati da una comunità, nella vita quotidiana come nelle feste o cerimonie, sono espressione di esigenze, gusti, memorie. Ne fanno parte gli oggetti d’uso, quelli di culto, il cibo e il vino, gli abiti d’uso, cerimoniali e tradizionali. La cultura materiale è una fondamentale chiave di lettura della Festa dei “Ciuoti” (dei folli non degli imbecilli). Si può parlare di “drammaturgia popolare”, della sua messa in scena secondo codici e rituali definiti. Una festa è un evento culturale e insieme sociale. La cultura non riguarda semplicemente il patrimonio, nemmeno le sole espressioni artistiche, ma la storia e l’identità di un territorio e di una comunità. E’ la soddisfazione di un’attesa e l’inizio di una memoria. Ogni evento culturale è di per sé un evento sociale (un senso sociale della cultura, la cultura come fatto vivo), che mette in relazione una comunità, comunicando una memoria, una identità e una prospettiva. La cultura viva è la cultura in cui viviamo, la sua storia, i suoi progetti, le sue utopie. Nua ci facimu ma vua ci siti sembrano dire i Mantjiuoti ai loro concittadini benpensanti, a quelli arroganti, ai bigotti, agli egocentrici e a chi li amministra, che non più tardi di tre giorni fa (il 14 agosto) ha rilasciato un'intervista nella quale si annunciava un piano rivoluzionario per rilanciare a fine estate il turismo.
A metà luglio mi ero astenuto nel commentare la festa dei "Ciuoti". Ho preferito celebrare adesso la grullaggine dell'assessora al turismo di Amantea.