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Venerdi' Santo ad Amantea: La processione. La Storia e le foto

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Ancora un altro miracolo quello che, oggi, Venerdì Santo 2016, si è svolto in Amantea in occasione della rappresentazione della morte di Gesu'.

 

Ancora una volta, come sempre in passato, la rappresentazione della passione di Cristo unisce tutta la popolazione senza distinzione di ceto o di appartenenza, anche territoriale.

Il mistero, che coinvolge tutti i presenti e che li rende anche inconsapevolmente partecipi attivi dell’evento, è sempre nel miracolo della resurrezione di Cristo e nella vittoria contro la morte , contro il dolore, suo e della madre.

Un miracolo che si tende a ripetere ed avente come indispensabile corollario la morte di Gesù e la sua passione.

Un miracolo che umanizza , che rende vicini, che permette di superare ogni distanza, che avvicina, che rende eguali.

Anche se oggi si ripete il percorso tradizionale non bisogna dimenticare che questo percorso era quello che “costituiva” la Amantea di un tempo, e soprattutto la Amantea del Centro Storico e la Amantea della piana , che ne era, come ne è, il futuro, e dove insisteva l’agricoltura e la portualità.

 

La processione in sostanza raggiungeva quanto possibile del territorio al fine di sacralizzarlo per proteggerlo contro gli eventi negativi, come ed al pari della morte.

La morte, e in genere tutte le credenze sul Male, dovevano essere ricacciate fuori dal perimetro. Anche oggi questo perimetro deve essere inteso come virtualmente rappresentativo , della intera città.

Oggi sembra che questa concezione , questa rappresentazione, vadano oltre la sacralità del suolo fisicamente calpestato dalla processione per estendersi a tutto quello che partecipa , affidato come è al popolo dei fedeli che giunge da ogni parte e ritorna in ogni parte.

 

Forse è per questo che i due momenti più sacrali dell’intero evento sono la partenza e l’’arrivo.

Le varette, dormienti per un intero anno, sembrano svegliarsi dal loro letargo ed offrirsi, tramite la Confraternita Santissimo Rosario, al popolo dei fedeli che se ne impossessa manualmente e le strasporta lungo le strade cittadine per poi ritornare nella loro tomba fisica da dove ogni anno risorgono.

Anche in questa azione il miracolo della resurrezione; la resurrezione della fede degli amanteani e del loro amore per Gesù e per la madre.

 

Poi ogni anno la ripetizione del medesimo rituale. Le varette scendono la difficile gradinata e si snodano lungo via indipendenza in uno stretto, rigido e storicamente ripetitivo ordine:

-Gesù nel podere del Getsemani, affiancato da un angelo;

-Gesù flagellato da un uomo del governatore della Giudea,   Ponzio Pilato, sotto gli occhi di un soldato romano;

- l’“Ecce Homo”; Cristo è stato percosso ferocemente, vestito poi di un manto color porpora, mani legate e corona di   spine in testa, così che Pilato potesse esporlo alla folla   («Ecco l’uomo!») per dimostrare al popolo di aver esaudito   la richiesta di punizione;

-Gesù sostiene a fatica la croce, Simone il Cireneo viene costretto ad aiutarlo;

- la Veronica, figura leggendaria, asciuga il volto sanguinante di Gesù;

-San Giovanni l’Evangelista, da solo;

- Gesù Cristo in croce;

- Cristo morto (disteso in orizzontale);

- l’Addolorata, Maria madre di Gesù, vestita a lutto.

 

Una madre che va oltre la Madonna e diventa la madre di ognuno di noi, quella che soffre se noi soffriamo, quella che ci soccorre, che ci è vicina in ogni momento, anche doloroso, della nostra vita.

Anche per questo, penso, che si tratti della processione più sentita tra tutte quelle che ancora sopravvivono nella comunità cattolica amanteana e non.

Una rappresentazione che durerà fino a quando durerà l’amore di una madre per i propri figli. Infinitamente.

Senza dimenticare che Cristo per tutti i fedeli che partecipano alla processione, ed in particolare che ne fanno parte, rappresenta l’uomo.

L’uomo, con i suoi valori, con il suo porsi agli altri, con la vita comune, con i momenti di gioia e di sofferenza, con la sua temporaneità, la sua paura della morte, il suo amore.

Ed infatti il popolo della processione è fatto di uomini e donne, di oggi e di domani, in quello straordinario ripetersi del passato che si trasfonde, ne futuro, nella ripetizione della partecipazione dove i padri e le madri accompagnano i figli , ognuno dei quali sceglie liberamente o meno la sua varetta ed impara il relativo canto.

Difficile però omettere di percepire e di ricordare che oggi, nel tempo del cinema e della televisione , ben diversa è la posizione del popolo dei fedeli che nelle loro diverse e distinte posizioni sociali si sottopongono al rituale della partecipazione, atto di omaggio alla fede ed alla tradizione, rispetto ala posizione del popolo degli astanti, pur aficionados, ma comunque uditori , che si fanno trovare lungo le strade in attesa delle statue, ma non per partecipare, ed il cui ruolo è quello, al più, di alzare gli occhi verso il Cristo in Croce o la Madonna in lacrime, non si sa bene se in una vera o finta commozione, e di segnarsi, magari soltanto apotropaicamente.

 

Amantea , gran parte di Amantea, si ferma, per partecipare alla processione e quelli che restano alla loro attività, hanno l’orecchio attento ai canti od alla musica.

Tra i canti, il Miserere (riportato in fondo) e lo Stabat mater (Jacopo De Benedictis detto Jacopone da Todi- riportato in fondo), O popolo mmi deu , Gesù mio, con dure funi, A Gesù  Appassionato, O discepolo più caro, Oj’è llu Vennaru Santu; Visitamu la   ‘Ndulerata; Jesu, Madonna chi cori facisti; Quannu Cristu fu misu ‘n crùcia; ‘A Madonna ppe’ mari jive; E considera a lla rivoglia; Gesù Cristu ca si’ alla cruci; ‘U rilogio.

Una forte preoccupazione si fa strada nella città ed è quella che la processione possa man mano spegnersi

Anche per questo dal 2009 la confraternita del santissimo Rosario ha democraticamente “aperto” alla partecipazione delle altre 3 confraternite che oggi sono tutte parte integrante della processione.

Le confraternite amanteane sono: la Confraternita del Sacro Cuore di Gesù (saio bianco, con cappuccio mantellina rossa e corona di spine sul capo); Confraternita dell’Addolorata (saio bianco, con cappuccio, mantellina nera e corona di spine, si vestono in pratica uguali ai Confratelli del Rosario ma hanno uno stemma diverso sul petto); l’Arciconfraternita dell’Immacolata Nostra Signora (che nel passato ebbe come affiliati solo i nobili di sesso maschile, e che indossa camice bianco, con cappuccio, una mantellina di seta celeste, ma non porta la corona di spine).

Una novità che via, via sta per essere metabolizzata.

Ma altri cambiamenti sono dietro la porta.

 

La processione arriva alla Chiesa matrice da dove è partita. Ed è qui che Cristo e la Madonna salutano il popolo dei fedeli e la città.

Ognuna delle varette in cima alla scala si volta verso la città in quello che è un gesto di saluto, un arrivederci al prossimo anno. Lo fa anche la Madonna , lo fa anche Cristo , ma “lui” si sposta verso la balconata e traguarda la città verso Coreca ed il mare; i marinai è a “lui” che si rivolgevano durante le mareggiate improvvise.

E sotto il popolo alza gli occhi ed il volto.

Già quello che importa è il volto del popolo fedele nel quale sembrano imprigionarsi il dolore e la sofferenza quali espressione della partecipazione al dolore ed alla sofferenza del Cristo e della Madonna.

 

Finchè più delle musiche struggenti tra cui quelle scritte da Mario Aloe e Domenico Fiorillo, più dei canti dolenti, più dolente partecipazione, ad essere presente sarà il volto dolente e triste dei partecipanti la processione sarà viva e vitale e sopravviverà ad ognuno di noi.

 

 

Le varette

Le confraternite

Il popolo

Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam.

Et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.
Amplius lava me ab iniquitate mea: et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco: et peccatum meum contra me est semper.
Tibi soli peccavi, et malum coram te feci: ut iustificeris in sermonibus tuis, et vincas cum iudicaris.
Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum: et in peccatis concepit me mater mea.
Ecce enim veritatem dilexisti: incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.
Asperges me, hyssopo, et mundabor: lavabis me, et super nivem dealbabor.
Auditui meo dabis gaudium et laetitiam: et exsultabunt ossa humiliata.
Averte faciem tuam a peccatis meis: et omnes iniquitates meas dele.
Cor mundum crea in me, Deus: et spiritum rectum innova in visceribus meis.
Ne proiicias me a facie tua: et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.
Redde mihi laetitiam salutaris tui: et spiritu principali confirma me.
Docebo iniquos vias tuas: et impii ad te convertentur.
Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meae: et exsultabit lingua mea iustitiam tuam.
Domine, labia mea aperies: et os meum annuntiabit laudem tuam.
Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique: holocaustis non delectaberis.
Sacrificium Deo spiritus contribulatus: cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies.
Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion: ut aedificentur muri Ierusalem.
Tunc acceptabis sacrificium iustitiae, oblationes, et holocausta: tunc imponent super altare tuum vitulos. »

Stabat Mater

Stabat Mater dolorósa

iuxta crucem lacrimósa,

dum pendébat Fílius.

Cuius ánimam geméntem,

contristátam et doléntem

pertransívit gládius.

O quam tristis et afflícta

fuit illa benedícta

Mater Unigéniti!

Quae moerébat et dolébat,

Pia Mater dum videbat

nati poenas ínclyti.

Quis est homo, qui non fleret,

Matrem Christi si vidéret

in tanto supplício?

Quis non posset contristári,

Christi Matrem contemplári

doléntem cum Filio?

Pro peccátis suae gentis

vidit Jesum in torméntis

et flagéllis subditum.

Vidit suum dulcem natum

moriéndum desolátum,

dum emísit spíritum.

Eia, mater, fons amóris,

me sentíre vim dolóris

fac, ut tecum lúgeam.

Fac, ut árdeat cor meum

in amándo Christum Deum,

ut sibi compláceam.

Sancta Mater, istud agas,

crucifíxi fige plagas

cordi meo válide.

Tui Nati vulneráti,

tam dignáti pro me pati,

poenas mecum dívide.

Fac me tecum pie flere,

Crucifíxo condolére

donec ego víxero.

Iuxta crucem tecum stare,

et me tibi sociáre

in planctu desídero.

Virgo vírginum praeclára,

mihi iam non sis amára,

fac me tecum plángere.

Fac, ut portem Christi mortem,

passiónis fac me sortem

et plagas recólere.

Fac me plagis vulnerári,

cruce hac inebriári

et cruóre Fílii.

Flammis urar ne succénsus,

per te, Virgo, sim defénsus

in die iudícii.

Fac me cruce custodíri

morte Christi praemuníri,

confovéri grátia.

Quando corpus moriétur,

fac, ut ánimae donétur

paradísi glória.

Amen.

Ultima modifica il Sabato, 26 Marzo 2016 16:24
Redazione TirrenoNews

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