La forza bruta dell’ignoranza. Tutti i giorni della mia esistenza, oltre a scrivere qualcosa e cercare di capire al meglio le persone, continuo a leggere ininterrottamente dal primo giorno di scuola: per fare la cosa giusta e generare risultati positivi, con i metodi più aggiornati e meno dannosi che possano essere disponibili. Mentre lo faccio, come tanti altri esseri umani, sono circondato da tante persone giuste e corrette, ma anche da tanti ignoranti e presuntuosi: un mix che uccide. L’esempio dei filmati nel pronto soccorso li descrive bene: incapaci di capire che un PS non è un parco giochi, né uno stadio nel quale essere d’impiccio con cellulari o tablet, sentendosi delle star. Persone che confondono il diritto di dire la prima idiozia che passa loro per la mente, pretendendo valore di verità e confondendola con la libertà di espressione e sentendosi autorizzati da una qualsiasi uniforme. Una volta ti sequestravano le biglie a scuola ed imparavi a gestire il tuo modo di debordare. Oggi mi pare che i più deficienti siano proprio gli adulti. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti noi, la tristezza come momento psichico di introversione viene visto come pericoloso e genera non poche paure, del resto alimentate e sostenute dalla cultura un po’ provinciale che pone un’esasperata e pericolosa attenzione verso gli aspetti esteriori della vita. Vestirsi bene, essere in forma, essere sempre sorridenti ed ottimisti, non ammalarsi, sono alcuni dei molti precetti di una nuova religione quella del benessere ad ogni costo, e solo rispettandoli siamo visti e percepiti come individui sani e “normali”. La persona triste ha invece la necessità di spostare la sua riflessione verso l’interno, ad ascoltare quelle sensazioni di disagio che emergono come ombre dalla nebbia, spesso sono sensazioni di uno struggente vuoto culturale. Già Aristotele, nell’antica Grecia, parlava della tristezza, del suo assumere numerose forme e della sua instabile fluttuazione, ma proprio per questa mutevolezza, per questa intrinseca capacità di trasformazione.
A tale proposito, voglio raccontarvi il “siparietto”, tra me e due vigilesse. Si è svolto domenica sera in Piazza Commercio ad Amantea. Ma la polizia municipale cosa aveva da obiettare dato che, tra l’altro, stavo riprendendomi da un piccolo malessere che mi aveva costretto a fermare l’auto in un luogo dove generalmente non si può parcheggiare? Prima di scendere e procurarmi un bicchiere d’acqua al bar, avevo esposto il tesserino speciale sul cruscotto che mi permetteva di sostare momentaneamente in quel luogo. Un’operazione fatta in nome della legalità. In realtà alle vigilesse in questione non interessava essere riprese o meno, ciò che importava loro era farmi capire che in quel momento loro erano il potere e ognuno doveva sottostare ai loro “ordini”. Con la massima educazione chiedo spiegazioni in merito al loro volermi multare cercando di spiegare, mostrando il tesserino sul cruscotto, che la loro conoscenza era limitata e che in momenti di emergenza, io potevo momentaneamente parcheggiare la mia macchina. Da qui in poi il finimondo. Ho subito un aggressione verbale immotivata e priva di conoscenza unica e mi sono trovato a interloquire, si fa per dire, con degli esseri ignoranti ed arroganti senza eguali. Conclusione: ho ripreso la mia auto e sono andato via. L'etica professionale non esiste come materia insegnata nelle scuole; prima di affrontare l'argomento relativo al comportamento che l'Agente di Polizia Municipale deve avere verso i cittadini, credo sia il caso di soffermarci sulla sua figura, sul suo modo di "apparire" e sul suo "status giuridico". E' palese che l'agente svolge il suo servizio in uniforme e in tal modo, è notato in ogni particolare. Tale abito lo dovrebbe rendere un punto di riferimento per chi di lui ha bisogno. L'agente, in sintesi, è l'Autorità Comunale sulla pubblica strada; egli è un'istituzione, poiché rappresenta verso tutti la città, per la quale svolge il suo servizio. E’ a lui che la gente si rivolge per i motivi più vari, per segnalare un fatto, per evidenziare un disservizio od un problema da rapportare all'Autorità Comunale. Il modo di apostrofare le persone, di gesticolare, di richiamare questo o quello, di camminare, di contestare le infrazioni, di tenere un comportamento sconveniente, viene focalizzato da chi è spettatore, dall'uomo della strada. Non si vuole fare un discorso retorico, ma credo che tutti noi cittadini, nell'andare in altri paesi o in altre città, vicine o lontane, abbiamo osservato e giudicato l'agente proprio dal modo in cui ci ha risposto, da come vestiva l'uniforme, da come ci ha salutato o ci ha sorriso. Attraverso questa figura si rispecchia la città di cui egli, come ho detto, è l'espressione esterna, la più esposta. L'Agente di Polizia Municipale ha una veste giuridica diversa da quella degli altri impiegati comunali anche se, come loro, appartiene e· dipende dalla Pubblica Amministrazione. I modelli comportamentali degli Operatori di Polizia devono perciò essere, necessariamente, orientati al rispetto dei vincoli imposti dalle leggi e dai principi etici. Gli atteggiamenti ed i comportamenti sono, quindi alla base dell’eticità della funzione e dell’efficienza stessa. Non esistono ragioni funzionali di servizio che possano giustificare comportamenti od atteggiamenti eticamente scorretti.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik