Una storia che se vera è preoccupante. Usa l’auto privata per appostare mafiosi e viene contravvenzionato . Chiede l’annullamento della multa ma viene rinviato a giudizio e rischia la destituzione. Lui usava l’auto privata ed era vicino alla cattura di Bernardo Provenzano e del superboss trapanese Matteo Messina Denaro per le quali venne fermato. Ora denuncia tutti!!!!
“Scovare i latitanti di mafia per lui è una vera e propria missione; ma dall'alto qualcuno si è messo di traverso per bloccare le sue ricerche di Bernardo Provenzano e del superboss trapanese Matteo Messina Denaro, primula rossa di Cosa Nostra. A raccontarlo, al Corriere della Sera, è il maresciallo capo dei carabinieri Saverio Masi, oggi caposcorta del pm palermitano Nino Di Matteo che indaga sulla trattativa Stato-mafia. Il sottufficiale ha presentato una denuncia, con tanto di nomi e cognomi, in cui spiega alla Procura di essere stato bloccato da alcuni superiori nella sua caccia ai boss.
Tutto comincia nel 2001, quando lui vuole trovare Provenzano; scopre che l'impresa non sarebbe così difficile, grazie a un contatore Enel riconducibile a chi lo copriva durante la latitanza; ma gli viene ordinato di sospendere le indagini. Segue il racconto di altri episodi, come il tentativo di piazzare cimici nel casolare nel boss corleonese, fallito solo perché "il Ros aveva dimenticato gli attrezzi per forzare la serratura". Da lì la comprensione di quanto, secondo Masi, sta accadendo: nessuno vuole arrestare il capomafia, finito poi in carcere nel 2006; circostanza che gli sarebbe stata urlata in faccia, chiaro e tondo, da un superiore.
Masi riferisce anche di episodi "strani" legati al mancato arresto di Messina Denaro, tuttora latitante. Dopo averne individuato un aiutante personale, viene costretto a passare le indagini e prendere le ferie; ma lui è deciso a stanare il boss; quindi, finite le vacanze, riprende le ricerche e trova un casolare sospetto. Ci arriva davanti, e una porta si spalanca all'improvviso: vede alcuni uomini intorno a un tavolo e in uno di loro riconosce il superlatitante; si nasconde sotto una siepe per non essere scoperto e poi torna in caserma a riferire l'esito delle indagini, ma litiga con il capitano e scrive un rapporto che cade nel vuoto. Qualche anno dopo, un episodio simile, con il capomafia che secondo il militare resta libero di andarsene in giro come fosse un fantasma.
Il maresciallo Masi tra pochi giorni andrà a processo con l'accusa di tentata truffa, per aver chiesto l'annullamento di una multa presa con l'auto privata usata per gli appostamenti. Rischia la destituzione, come spiegano i suoi legali che precisano: "Sarebbe un sinistro monito a tutti i carabinieri che intendano impegnarsi come lui nel contrasto alla mafia". “