
La crimina lità nigeriana ha «articola zioni presenti in quasi tutte le regioni italiane e in tutti i paesi dell' Europa»:
sul nostro territorio sono presenti varie confraternite, come la Axe, la Eiye e di recente la Viking, che sembrano «al momento non collegate tra loro», anche se sta emergendo «l'ipotesi di una struttura verticistica unitaria che opera al di sopra», e coordina tutti i gruppi.
A spiegare il fenomeno è il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho, in audizione al Comitato Schengen sul ruolo della mafia nigeriana nel traffico di esseri umani.
De Raho ha ricordato che anche per la 'ndrangheta si era sempre pensato a cosche autonome e poi nel 2010 si è arrivati a individuare l'organismo di vertice unitario con compiti di disciplina e di indirizzo generale.
Per queste organizzazioni - ha sottolineato - si può parlare di mafia perché utilizzano il metodo mafioso.
Anche se lo fanno non per il controllo del territorio o nei confronti di italiani, ma sulla sola comunità nigeriana.
Il procuratore ha evidenziato l'esistenza di rapporti con le mafie italiane.
Sul litorale domizio l'operatività dell'organizzazione nigeriana dipende dai clan camorristici mentre in Sicilia, Cosa nostra, consente che in alcuni quartieri operino nello spaccio e nelle prostituzione, in una sorta di coesistenza, senza fatti di sangue o scontri, «anche se non credo molto a una coesistenza paritaria».
I nigeriani sono considerati l'organizzazione più forte nel traffico della droga, nella tratta di persone, nello sfruttamento ai fini della prostituzione e nello sfruttamento lavorativo.
In questo modo è diventata la mafia più potente in Italia.
Esiste, poi - secondo de Raho - una sorta di «grande “consorzio” tra le varie organizzazioni criminali che operano in Africa, che agevolano e proteggono in qualche modo i migranti, fino alle coste libiche» dove ci sono dei «veri e propri campi di concentramento».
«Le indagini di sviluppo in occasione del traffico di migranti dalle varie procure distrettuali, presso cui i territori sono avvenuti gli sbarchi - ha considerato ancora il procuratore - hanno consentito di accertare che il migrante, in qualunque paese africano si trovasse, entrava in contatto con l'organizzazione criminale del luogo, che poi lo accompagnava dal paese di origine fino alle coste libiche ed è stato dimostrato il legame tra le varie organizzazioni criminali che operano nei diversi paesi dell'Africa.
E' capitato - ha proseguito - che i migranti che non hanno pagato il prezzo congruo siano stati tenuti in centri di concentramento sulle coste libiche, con una richiesta ai familiari di un ulteriore prezzo, un'integrazione.
Nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia è stato anche specificato che i nigeriani, al di là dell'adozione di “pratiche primitive”, come i riti voodoo, «declinano in maniera sorprendente grandi capacità nell'impiego di tecnologie avanzate e nella realizzazione di sistemi finanziari paralleli, grazie ai quali fanno affluire, verso la terra di origine, ingenti somme di denaro acquisite con le attività illegali».
La Dia ricorda anche che in Nigeria, dove Boko Haram continua a diffondersi, esistono posizioni estremiste filo-islamiche e invita per questo motivo a riservare la massima attenzione verso i nostri istituti di pena «per evitare che si alimentino percorsi di radicalizzazione».
E per fronteggiare il rischio la procura nazionale antimafia e antiterrorismo ha attivato e consolidato un canale di collegamento con la magistratura nigeriana per un costante scambio di dati e di informazioni.
Durante l'audizione de Raho ha specificato pure il ruolo rivestito dalla mafia cinese, che esiste ed è altrettanto forte.
«Abbiamo indicazioni chiarissime in Toscana - ha affermato -, dove il capo cosca era adorato addirittura come un dio e davanti al luogo in cui permaneva c'erano file di autovetture i cui conducenti scendevano solo per fare il bacia mano».
Mercoledì 27 Novembre 2019 di di Cristiana Mangani
Ndr Ditelo al Papa, ditelo al PD, ditelo alla ministra Lamorgese, eccetera
CATANZARO – «Non è stata la politica a non volermi, ma Napolitano.
Siccome è ancora in vita, sarebbe simpatico capire chi è andato a fargli visita qualche giorno prima e magari lo ha consigliato».
Cinque anni dopo l’insediamento del Governo Renzi, il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri è tornato sulla mancata nomina a ministro della Giustizia, chiamando in causa l’allora presidente della Repubblica.
Una posizione ufficiale, dopo che il rifiuto di Napolitano alla proposta di Gratteri Ministro era circolata sin da subito.
Gratteri è stato intervistato a Circo Massimo, su Radio Capital, affrontando tutti i temi attuali della giustizia, compreso il suo nuovo libro “La rete degli invisibili”, scritto con Antonio Nicaso ed edito da Mondadori.
Rispetto alla prescrizione, il procuratore di Catanzaro ha spiegato: «Per come ragiono io, termini come prescrizione, amnistia, indulto, dovrebbero sparire dal vocabolario della lingua italiana.
Non è uno Stato serio quello che adotta questi termini – ha aggiunto Gratteri – e non fa nulla o fa poco affinché non ci siano più amnistie, indulti o prescrizioni.
La nuova norma non è inutile, va fatta, ma non è la soluzione del problema.
La prescrizione è una ghigliottina, non possiamo ragionare in questo modo, non esiste una sola ricetta per un problema».
Secondo il procuratore, d’altronde, bisogna avere «il coraggio, la volontà e la libertà di cambiare tutto il sistema, 3-400 norme, con piccole e medie modifiche, per far sì che il sistema funzioni. Altrimenti si va sempre a rattoppare».
Gratteri ha poi analizzato lo sviluppo della ‘ndrangheta, sottolineando: «I nonni e i padri erano molto duri, li condannavo a 20-30 anni e non battevano ciglio, li ho visti stare vent’anni in un buco di due metri quadri sotto tre metri di terra, vivevano come le talpe. Ma i loro figli e nipoti sono più pericolosi: uccidono di meno ma sono più difficili da indagare. Hanno miliardi di euro nascosti e riescono a corrompere. E oggi è molto più facile corrompere perché c’è un forte abbassamento della morale e dell’etica, quindi oggi il pubblico amministratore è più propenso a farsi corrompere».
In questo contesto, Gratteri è, comunque, certo che «nel rispetto della Costituzione, con un sistema giudiziario proporzionato alla realtà criminale, possiamo abbattere l’80% delle mafie in dieci anni. L’altro 20% è la mentalità mafiosa che c’è in ognuno di noi. Servono istruzione e cultura, ma è un percorso lungo, che richiede vent’anni. C’è una politica oggi in grado di ragionare da qui a vent’anni?».
Riguardo all’inchiesta sulla fondazione Open, che ha curato la Leopolda di Matteo Renzi, Gratteri ha detto: «Ogni volta che c’è un’indagine si pensa a una commissione d’inchiesta. Penso che i parlamentari dovrebbero stare più in Parlamento, partecipare di più ai dibattiti e fare leggi che fanno bene al Paese».
Infine, la chiusura sulla situazione politica: «Chi è al potere non vuole essere controllato. Il potere non vuole un sistema giudiziario efficiente, che controlli anche il manovratore. In Parlamento – ha concluso il procuratore di Catanzaro – ci sono tante persone perbene, sono la stragrande maggioranza, ma ci sono anche molti incompetenti e alcuni faccendieri, alcuni borderline».
Sulle parole di Gratteri relative alla scelta di Napolitano è intervenuto il segretario nazionale della Federazione sindacale di polizia (Fsp), Giuseppe Brugnano: «E’ una ferita per l’Italia. Nessuno potrà mai ricucire questo danno, creato ad arte e voluto per impedire una vera svolta in termini di giustizia e legalità».
Secondo Brugnano, si trattò di «una grande occasione persa per l’Italia, di cui qualcuno dovrà assumersi la responsabilità personale e politica. Abbiamo sentito tanti riconoscere le qualità di Gratteri e finanche osannarlo, ma ci accorgiamo che in molti casi di tratta di persone che vivono una sorta di sdoppiamento, rinnegando poi ogni cosa negli atti quotidiani. Da parte nostra – conclude Brugnano – siamo convinti che Gratteri Ministro della Giustizia avrebbe rappresentato una svolta, per questo sentire oggi le sue parole di conferma, ufficiali per la prima volta, ci ferisce come italiani onesti e trasparenti. Ci auguriamo che quel divieto possa essere definitivamente chiarito da chi lo mise in piedi, magari non autonomamente».
Zingaretti: “Chi combatte il Pd per rosicare consenso si scava la fossa”
Agenpress. “Stiamo vivendo una difficile esperienza di governo, ma ribadiamo la scelta di sperimentare le alleanze.
E a chi non vuole un accordo storico con il Movimento Cinque Stelle ricorda che non si governa tra avversari politici, ma solo se si condividono almeno i fondamenti di una prospettiva politica”.
“Chi combatte il Pd per rosicare consenso si scava la fossa.
Il Pd resterà il pilastro della risposta alla destra”.
E’ quanto dichiara, Nicola Zingaretti, da Bologna.
"Noi siamo per lo ius soli"