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Dramma inspiegabile.

Marisa Charrère, di 48 anni, ha ucciso i figli di 7 e 9 anni e si è tolta la vita.

È successo ad Aymavilles, nella casa di famiglia, intorno a mezzanotte.

Sul posto è intervenuta la polizia.

 

La donna lavorava come infermiera nel reparto di cardiologia dell’ospedale di Aosta.  

In base a una prima ricostruzione, la donna avrebbe praticato ai bambini un’iniezione letale, con un cocktail di farmaci portato in casa direttamente dall’ospedale.

Ha lasciato due brevi lettere in cui scrive del peso insopportabile della vita.

A chiamare i soccorsi è stato il marito appena rientrato in casa.

Le forze dell’ordine sono state allertate dal marito della donna, Osvaldo Empereur, padre dei bambini, che rincasando si è trovato davanti al dramma, consumatosi mentre era assente.

Gli agenti della Squadra mobile della Questura hanno rinvenuto nell’abitazione due brevi lettere lasciate dalla 48enne, nelle quali si doleva delle avversità della vita e del loro peso fattosi insostenibile.

Le iniezioni fatali sarebbero a base di un cocktail di farmaci, portato a casa dalla professionista direttamente dal posto di lavoro.

Anche se gli inquirenti nutrono pochi dubbi sull’accaduto, per fare chiarezza e quale atto dovuto, il pm Carlo Introvigne, che ha compiuto un sopralluogo stanotte nell’abitazione assieme agli uomini diretti dal commissario capo Eleonora Cognigni, conferirà in giornata al medico legale Mirella Gherardi l’incarico di effettuare le autopsie sui cadaveri.

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Momenti di terrore, ieri sera, per una ragazza romana 20enne, residente nella zona commerciale della Romanina.

La giovane era scesa in strada con il proprio cane prima di andare a dormire quando, a pochi metri dalla propria abitazione è stata affrontata da due individui a piedi, che, dopo averle spruzzato dello spray urticante al volto, hanno iniziato a molestarla pesantemente mettendole le mani addosso.

Le grida della vittima sono state udite dalla madre, una donna di 57 anni, disabile, che è comunque corsa in aiuto della figlia venendo fatta, a sua volta, bersaglio dalla furia dei due sconosciuti che l’hanno colpita violentemente al volto.

Provvidenziale è stato l’arrivo di una gazzella dei carabinieri dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Frascati che ha interrotto l'aggressione dei due uomini, mettendoli in fuga. Poco dopo, i militari sono riusciti a bloccarne uno: si tratta di un cittadino romeno di 34 anni, che è stato arrestato con le accuse di violenza sessuale e lesioni personali.

Mamma e figlia sono state trasportate all’ospedale di Frascati: la ragazza è stata visitata e dimessa con uno stato ansioso reattivo e un eritema al labbro provocata dallo spray urticante, mentre alla mamma, che ha avuto la peggio, è stata diagnosticata una lieve irregolarità delle ossa nasali e una forte contusione allo zigomo sinistro.

La prognosi per la donna è di 30 giorni, salvo complicazioni. Il loro aggressore è stato rinchiuso nel carcere di Regina Coeli mentre i carabinieri dell’Aliquota Radiomobile della Compagnia di Frascati hanno avviato una vera e propria caccia all’uomo, tuttora in corso, per rintracciare il complice.

Pubblicato il: 15/11/2018 18:04

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Degrado in un campo rom di Roma. La piccola obbligata a cinghiate a mendicare dall’età di 4 anni. Riconosciuta dal giudice il reato di “riduzione in schiavitù”

Già a quattro anni Esmeralda veniva mandata a medicare in giro per Roma.

La prendeva addirittura a cinghiate per convincerla a farlo, anziché starsene a giocare nel campo rom insieme agli altri bambini.

E per oltre dieci anni è stata obbligata a stare davanti a un supermercato della Capitale a chiedere le elemosina per riuscire a portare a casa un po’ di euro che finivano nelle tasche dei suoi famigliari.

Ora, però, per quella che però i giudici della Corte d’Assise hanno ritenuto essere una vera e propria “riduzione in schiavitù”, la nonna della piccina, Elena Zorel, è stata condannata a scontare ben dodici anni di carcere.

Non l’hanno passata liscia nemmeno la madre della bimba, Maria Costantin, e la zia, Mirela Lapadat.

Come racconta il Corriere della Sera, le drammatiche violenze si sono verificate nel campo rom di via Candoni.

E sono andate avanti per oltre dieci anni.

Tutto ha inizio nel 2005 quando la nonna le dà un cartone in mano e la piazza a chiedere la carità davanti a un supermercato in via del Trullo.

L’ordine è di stare lì seduta tutti i giorni, indipendentemente se su di lei splendeva il sole o cadeva la pioggia.

Quando, poi, la piccola cresce e prova a ribellarsi, Elena Zorel la massacra di botte prendendola a cinghiate.

La madre è presente ma non muove un dito per difenderla.

Nemmeno quando la nonna tira una coltellata alla nipotina per farle capire che non può essere lei a decidere del suo destino.

E, per questo, alla fine del processo è stata condannata a scontare un anno e otto mesi di carcere.

Nel processo a carico della nonna e e della madre della giovane, che oggi ha diciotto anni, la Corte d’Assise ha configurato il reato di “riduzione in schiavitù“.

Come racconta il Corriere della Sera, infatti, le due donne hanno obbligato, con la forza e per dieci lunghi anni, la nipote a mendicare anziché studiare e giocare con gli altri bambini.

Eppure Andrea Palmiero, l’avvocato che difende Elena Zorel, ribatte che “la valutazione della Corte paga la difficoltà a capire che la nostra cultura è diversa da quella dei rom”.

novembre 14, 2018

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