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La fonte è sempre la Cina. Stiamo parlando del più recente virus influenzale aviario l’H7N9 che ha infettato diversi cinesi

Il 31 marzo 2013, la Commissione per la Salute e la Pianificazione Familiare della Cina ha notificato all’OMS tre casi umani di infezione da virus dell’influenza aviaria A(H7N9).

I casi sono stati confermati tramite analisi di laboratorio il 29 marzo 2013 dal Centro per il Controllo delle Malattie cinese.

I test eseguiti per la ricerca dei virus dell’influenza A(H3N2), A (H1N1)pdm09 e A(H5N1), così come del nuovo coronavirus (NCoV), sono risultati negativi.

I casi sono stati registrati a Shanghai (2 casi) e nella provincia dell’Anhui (1 caso).

Tutti i casi hanno presentato infezioni del tratto respiratorio con progressione verso una polmonite grave e difficoltà respiratorie.

Il ceppo virale classificato H7N9, contro il quale non esiste un vaccino e i medici non sanno ancora esattamente come trattare questa malattia, provoca febbre alta e tosse che degenerando provoca polmonite e, talvolta, insufficienza renale..

Le date di esordio della malattia sono comprese fra il 19 febbraio e il 15 marzo 2013.

Due dei tre casi sono deceduti. Un giovane di 27 anni ed un anziano di 87 anni. Il terzo caso, una donna, della provincia dell’Anhui si trova in condizioni critiche. I due di Shanghai facevano parte di una unica famiglia della quale si è ammalato anche un secondo figlio che non è però morto.

Michael O'Leary, rappresentante l'Organizzazione Mondiale della Sanità cinese ha detto ieri ( lunedì):"Non sappiamo ancora le cause della malattia nei due figli, ma naturalmente, se tre persone in una famiglia acquisire polmonite grave in un breve periodo di tempo, solleva un sacco di preoccupazione"

Alla data di oggi, non è stata identificata alcuna connessione epidemiologica fra i casi.

Le indagini sono tuttora in corso, inclusa la sorveglianza dei soggetti entrati in contatto con i pazienti. Al momento, nessun altro caso è stato individuato fra gli 88 soggetti che sono stati identificati come contatti dei pazienti.

Il Governo cinese sta conducendo attività di indagine su questo evento ed ha istituito delle misure di intensificazione della sorveglianza, dei test di laboratorio e di formazione del personale sanitario per l’individuazione, notifica e gestione dei possibili casi.

L’OMS è in contatto con le autorità nazionali e sta seguendo da vicino la situazione. Degli aggiornamenti saranno divulgati quando maggiori informazioni diverranno disponibili.

Gli epidemiologi ricordano che in Cina e nel Sud-Est asiatico,ci sono zone densamente popolate dove i contadini vivono spesso in stretto contatto con suini e pollame, e che queste sono le condizioni ideali per coltivare le malattie infettive che consentono di passare dagli animali all'uomo.

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Era il 3 aprile 1973 quando l’ingegnere Martin Cooper scendeva in strada a New York e davanti a decine e decine di persone e giornalisti faceva la prima telefonata con un cellulare, il primo cellulare.

Ed orgogliosamente Martin Cooper chiamò Joel S. Engel, capo della ricerca ai Bell Labs. (nella foto martin Cooper con il primo Motorola ed un Motorola di oggi)

Il brevetto che porta il nome di Martin Cooper e degli ingegneri che lo collaborarono venne registrato soltanto sei mesi dopo il 17 ottobre 1973.

Il cellulare si chiamava Dyna-Tac, pesava 1,5 Kg e aveva una batteria che durava 30 minuti, ma che impiegava 10 ore a ricaricarsi.

DynaTAC è l'acronimo di Dynamic Adaptive Total Area Coverage. Il peso del modello del 1973 era di circa 1,5 kg, mentre l'apparecchio del 1983 pesava 793 g.. La serie successiva è la Motorola MicroTAC.

I primi esemplari in commercio furono molto grandi e ingombranti, erano venduti compresi di una valigetta, che fungeva da caricabatteria. Tali giganti della telefonia furono soprannominati "brick phone" (telefonino mattone), viste le loro dimensioni, che li rendevano ingombranti e poco pratici, furono subito sottoposti ad una serie di miglioramenti.

Proprio in questi giorni , 40 anni dopo il promo telefono cellulare esce la versione più piccola al mondo, il Phone, leggermente più grande di un pacchetto di mentine, 3x70x10,7 millimetri, lo schermo di un pollice e dei tasti molto piccoli, che lo rendono poco utilizzabile.

 

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Cipro è un’isola con un milione di abitanti, un pil da 18 miliardi e un debito pubblico di 15. Nelle sue banche ci sono depositi per 70 miliardi, 40 fanno capo a residenti, la restante parte agli stranieri. Infatti i tassi medi offerti dalle banche cipriote erano altissimi: andavano dal 4,45% al 7%. Su Tali interessi si sono tuffati in tanti, banche estere comprese. Nel 2011 il valore delle attività bancarie era pari all’835 per cento del prodotto interno lordo.

I problemi per Cipro sono cominciati con la crisi greca. Le sue banche, infatti, erano pesantemente esposte verso le aziende di credito greche(circa 29 miliardi,pari al 160 % del pil dell’isola). Quando, nel 2012, per non fallire, il governo greco ha effettuato il taglio del debito, il sistema bancario cipriota ha subito profonde perdite».

Oggi, secondo il Financial Times: «La ristrutturazione delle banche è inevitabile. Cipro è fortemente indebitata, e al tempo stesso ha un settore bancario troppo grande per essere salvato. Secondo il Fmi, nel 2012 il debito pubblico cipriota ha raggiunto l’87% del pil». Per rimettere in sesto Cipro e il suo sistema bancario occorrono 17 miliardi, praticamente il “ buco” delle due banche di Cipro ( noi abbiamo forti dubbi!). Ma un prestito allo Stato per quella cifra avrebbe fatto esplodere il debito/Pil fino al 145% se non oltre, portandolo su livelli insostenibili. La situazione è andata costantemente peggiorando e il governo di Cipro, non avendo denari a sufficienza per ricapitalizzare le banche, nel giugno 2012 li ha chiesti alla troika (Commissione europea, Bce, Fmi).E così l’Eurogruppo ha approvato un piano di salvataggio che prevede una insufflazione di 17 miliardi( praticamente il valore del Pil di un anno). L’Europa ne metterebbe 10 a patto che (5,8) miliardi vengano dai creditori delle banche ed (1,2 miliardi) dalle privatizzazioni.

In sostanza con il prestito di 10 miliardi allo stato cipriota il debito pubblico passerebbe da 15 a 25 miliardi ( pari al 145% del Pil). I 5,8 miliardi sarebbero ottenuti con prelievi forzosi dai depositi bancari differenziati per gli importi fino a 100 mila ed oltre 100 euro

Ma ricordato che le altre crisi hanno indotto effetti a catena da banche e banche, per la crisi cipriota chi porta la responsabilità?

Certamente il management (passato e presente) di Bank of Cyprus e Laiki Bank, che per attrarre capitali hanno pagato interessi incredibilmente alti!

Certamente degli organi di controllo interni (comprese le società di auditing).

Certamente della Banca Centrale Cipriota per omesso controllo.

Certamente della politica cipriota (e quindi anche dei cittadini elettori) per non essersi resa conto della “responsabilità” che implica gestire capitali ingenti e pagare interessi altissimi.

Certamente della Banca Centrale Europea e dell’UE per omesso controllo e sottovalutazione dell’impatto della crisi greca su Cipro.

L’altra responsabilità è quella di un sistema economico europeo che permette alle banche, di prestare più soldi di quanti siano i mezzi propri e i depositi ricevuti, il che determina un'insolvenza teorica costante dove, in ogni momento, il ritiro dei depositi stessi oltre una certa soglia è in grado di rendere concreta tale insolvenza. Le norme di Basilea III, osteggiate dal sistema bancario, tendono a diminuire questi effetti ma non li annullano mai finché il modello bancario a riserva frazionaria persiste.

Ora si può ipotizzare un aumento degli intessi che Cipro dovrà pagare per il proprio debito pubblico ( come in Italia), notevoli licenziamenti nel sistema bancario( che deve contrarre i propri costi) , tantissimi fallimenti delle aziende cipriote e correlati licenziamenti di personale. Insomma non cose buone. Dall’orgoglio di dire no alle pretese della troika alle file ai bancomat, alle proteste di piazza, alla consapevolezza di una situazione che sarà come sempre pagata dal popolo.

Una prova per l’Italia?

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