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Francesco Gagliardi

Nato in San Pietro in Amantea.
Insegnante elementare in pensione. Ex coordinatore provinciale per l'insegnamento delle lingue straniere nelle scuole elementari.
Ha frequentato l'Università Statale dell'Alabama U.S.A. Ha combattuto in Korea con U.S. Army.
Corrispondente del giornale "Il Popolo", "Giornale d'Italia", "Il Quotidiano di Roma" ora "Avvenire".
Suoi articoli sono stati pubblicati da "Oggi Famiglia", "Calabria Ora", "il Quotidiano", "Mezzoeuro", "La Provincia", "Idee per la sinistra", "Iniziativa". Consigliere comunale dal 1964 al 1970. Assessore e Vice Sindaco dal 1975 al 1985.
Ha pubblicato: Storia di San Pietro in Amantea; La Santona; Nell'Inferno di Korea; Viaggio nella memoria; Dolci e antichi ricordi; La valigia dei sogni; Paese di Maria e della Comunicazione; S.Pietro tra Storia, storie, leggende e attualità; Paese in lenta agonia.

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Berlino come Nizza: Camion contro la folla

Mercoledì, 21 Dicembre 2016 09:30 Pubblicato in Basso Tirreno

Pur addolorato come ci ha scritto Francesco ( Ciccio) Gagliardi non manca di intervenire su quanto successo ieri l’altro a Berlino. Questo è il suo pensiero che pubblichiamo nel ridondante silenzio della politica e della cultura della nostra città:

“Ad una settimana del Santo Natale che è la festa più sentita e più grande per noi cristiani di solito ci siamo interessati di regali da fare agli amici e parenti, di panettoni e di pandori, di luminarie, di concerti che le Amministrazioni Comunali organizzano in,piazza, di cullurielli e di turdilli che le nostre mamme preparano in abbondanza.

Quest’anno, invece, ci dobbiamo interessare, e le pagine dei giornali sono piene di questo triste avvenimento, di un attentato terroristico avvenuto in Germania e precisamente in una via di Berlino dove si svolgeva il mercatino di Natale.

E’ vero che Berlino è molto distante dall’Italia, ma questi vili attentati contro gente inerme compiuti dai terroristi islamici in nome del loro Dio Allah, colpiscono anche le nostre coscienze.

Quello che è accaduto a Berlino potrebbe accadere anche nelle nostre città, sia grandi che piccole. Ancora una volta, a distanza di pochi mesi, un grosso camion è piombato sulla folla inerme che felice faceva shopping in un mercatino in una via di Berlino seminando distruzione e morte.

E pure questa volta anche una fanciulla italiana che si trovava a Berlino per lavoro é vittima di questo vile attentato terroristico.

Ancora una volta abbiamo vissuto l’incubo di Nizza, in Francia, quando 86 persone persero la vita falciate da un grosso Tir impazzito guidato da un terrorista islamico sulla Promenade des Anglais piena di gente, che assisteva ai fuochi d’artifizio in occasione della festa nazionale francese. A Berlino, per fortuna, i morti sono stati soltanto dodici.

I feriti una cinquantina, una ventina molto gravemente.

I giornali italiani oltre ad interessarsi delle crisi che affliggono le nostre banche, vedi il caso dei Monti di Paschi di Siena, del Governo Gentiloni che dovrà votare al più presto una nuova legge elettorale, della crisi dei vari partiti politici e delle lotte interne, della crisi dell’Azienda Mediaset sotto attacco da parte di una azienda francese, della crisi dell’Amministrazione Capitolina e del Sindaco di Milano costretto ad autosospendersi per un avviso di garanzia, si sono dovuti interessare, loro malgrado, di un vile attentato fatto in nome di un Dio e dell’uccisione dell’Ambasciatore Russo in Turchia ad opera sempre di un integralista islamico che ha voluto vendicare i bombardamenti Russi su Aleppo.

Tutti speravano stupidamente che almeno per il Santo Natale ci sarebbe stata una tregua, che non ci sarebbero stati attentati, uccisioni, lutti e rovine. Si sono sbagliati.

Anche a Natale si uccide.

Anche a Natale non c’è nessuna tregua.

E probabilmente si ucciderà ancora perché siamo in guerra, anche se molti fanno finta di non saperlo.

Questa guerra non finirà mai perché i terroristi islamici ci odiano, ci vogliono tutti morti. Anche noi li abbiamo nelle nostre città e forse anche nei nostri piccoli paesi dove ci sono centri di accoglienza. Essi vivono accanto a noi. Li vediamo tranquilli in fila al supermercato dietro di noi. Fanno finta di sorriderci, ma ci odiano.

Ci vogliano distruggerci perché siamo occidentali, europei e cristiani. Per sopravvivere dobbiamo tutti convertirci alla loro religione, rinnegare i nostri usi e costumi, le nostre tradizioni. Sono pronti ad ucciderci in nome del loro Dio Allah.

Non abbasseremo la guardia, chiese, monumenti, fiere e mercati sono presidiati dalle Forze dell’Ordine, siamo al sicuro dicono i nostri governanti. Balle.

Ci colpiscono quando vogliono e dove vogliono, negli stadi, nei mercati, nei supermarket, nelle piazze, nelle vie affollate, nelle chiese, nelle scuole, nelle discoteche, nei bar, ovunque. Ormai non siamo più al sicuro neppure nelle nostre case.

Non usano più bombe a mano, granate, pistole, mitragliatrici. Usano i mezzi di trasporto, camion di grossa cilindrata, perché più sicuri e senza controllo.

Uccidono e poi spariscono.

Poi, improvvisamente (ri)compaiono e uccidono ancora al grido di:”Allah è grande”.

Non hanno paura di morire anzi si offrono al martirio perché sono convinti che Allah ha preparato per loro il Paradiso e che ad attenderli ci saranno centinaia di vergini.”

A me u presepe me piace e basta!

Giovedì, 15 Dicembre 2016 08:41 Pubblicato in Comunicati

Natale è alle porte. Non ce lo dice soltanto il calendario appeso in cucina, ma ce lo dicono le cataste dei panettoni nei supermarket e le sfavillanti luci multicolori dei negozi e delle strade.

  

E come ogni anno, puntualmente, arriva la querelle:-Il presepe o l’albero di Natale?

In alcuni supermarket del Nord non si trovano più i pastori di un tempo.

 

Non si trova più la Madonna e San Giuseppe, e la capanna col bue e l’asinello.

Il loro posto è stato preso dall’albero di Natale. E’ più di moda.

Con i suoi addobbi, con le stelle filanti, con le luci colorate, con la natività di Nostro Signore non c’entra un tubo. Ma dato che è di moda l’albero di Natale, anche quest’anno i pastori, la capanna, le casette, gli zampognari, Gesù Bambino sono stati dimenticati nel più angolo remoto della soffitta.

Io, però, a scanso di equivoci preferisco il presepe. A me u presepe me piace assai.

Perché mi ricorda tempi lontani quando si era felici anche se nella miseria. Il presepe che ho impresso nella mente e che porto nel mio cuore è quello costruito con scatole di cartone, con tronchi di sughero, con carta di imballaggio per le montagne, con l’ovatta per la neve, con gli specchietti di vetro delle donne per i laghetti, con il muschio che andavo a raccogliere nei boschi, con i pastori di creta comprati ad Amantea da Giorgio u capillaru che abitava alle Rote o nelle bancarelle di Cosenza in Via Rivocati.

Era bello il mio presepe anche se i risultati a volte erano goffi e commoventi. I pastori spesse volte erano più grandi delle casette.

Gli odierni presepi che si vendono nei negozi o nelle bancarelle allestite in piazza in un unico blocco, invece sono perfetti e anche bellissimi, ma non danno nessuna soddisfazione a chi li compra.

 

Dov’è finita l’attesa, la preparazione del tavolo e dei cartoni, la gioia nello srotolare i pastori avvolti nella carta di giornali, la messa in opera delle casette, la raccolta del muschio, il posizionamento dei pastori.

La costruzione del presepe era un gioco bellissimo ed impegnativo, occupava parecchio tempo e serviva ad unire tra loro le persone, anche se avevano età, sesso, usi e costumi diversi: insegnanti ed alunni, nonni e nipotini, uomini e donne, ricchi e poveri, eruditi ed analfabeti.

Esso descriveva e descrive tuttora un evento storico inconfutabile: La venuta di Gesù sulla terra. In ogni vero presepe, sia piccolo o grande, semplice o sfarzoso, fatto con cartapesta o con sughero, con pastori di creta fatti a mano o comprati a Napoli a San Gregorio Armeno, ci riconosciamo un poco di noi stessi.

E’ triste dover constatare che anche quest’anno nelle case e nelle scuole i genitori e le maestre preferiscono allestire l’albero di Natale invece del presepe..

Cosa c’entra ( un politico direbbe cosa ci azzecca) l’albero di Natale con la venuta di Cristo sulla terra?

Cristo è venuto al mondo in una capanna riscaldato, secondo la tradizione cristiana, dal bue e dall’asinello, e questo noi cattolici vogliamo ricordare con la costruzione del presepe. Davanti alla capanna cantiamo oggi come ieri “Tu scendi dalle stelle”, perché questo canto ci ricorda Gesù Bambino nato nella mangiatoia e riscaldato dal bue e dall’asinello, perché per lui non c’era posto nelle locande e negli alberghi.

Non ci ricorda le bombe, i razzi, le granate, le sventagliate di mitraglie che oggi come ieri seminano lutti e rovine nei vari teatri di guerra in Asia e Africa.

Il presepe, sia piccolo che grande, bello o goffo, ci ricorda la dolcezza della nostra infanzia spensierata, ci ricorda la nostra cara mamma che con le vicine di casa friggeva “turdilli e cullurielli” nelle grandi cucine piene di fumo e di fuliggine, ci ricorda la nonna, la cara nonna, che cullava il suo nipotino e le raccontava le rumanze, ci ricorda tutta la famiglia riunita per Natale intorno ad una lunga tavola apparecchiata con tredici pietanze e poi la processione del Bambinello allo scoccare della mezzanotte con tutti i commensali in fila a cantare le lodi al Signore.

Lasciamo, dunque, la preparazione dell’albero di Natale agli abitanti del Nord. Noi del Sud preferiamo il presepe perché non solo i nostri gusti personali e le nostre preferenze sono diverse, ma sono diversi la visione della vita, della casa, della famiglia, dell’amore, della gioia, dello stare insieme, di essere almeno a Natale un cuore ed un’anima sola. Dice un antico e saggio proverbio:- A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi -. Noi del Sud sin da piccoli abbiamo costruito il presepe e quindi siamo cresciuti con esso. Lasciamo a quelli del Nord l’albero. A noi piace di più il presepe. Punto.

"U turriune da Cunocchia"

Venerdì, 02 Dicembre 2016 20:58 Pubblicato in Basso Tirreno

Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Francesco Gagliardi: “La torre che ci accingiamo a descrivere si trova in Contrada Conocchia del Comune di San Pietro in Amantea e non nel Comune di Amantea come qualcuno erroneamente ha scritto.

 

E' una torre a pianta quadrata, di altezza molto rilevante, tenendo conto delle "turre" circostanti molto ma molto più basse, costruita in posizione strategica e una volta isolata in aperta campagna.

 

E' stata costruita certamente intorno al XVII secolo quasi esclusivamente con scopi strategici e di avvistamento.

Col passare dei secoli perse di importanza e perse in parte il suo carattere eminentemente militare e divenne una casa rurale abitata dai contadini della contrada, i quali, in relazione al mutare dei tempi, in parte la modificarono.

 

La torre della Contrada Conocchia si erge vigile, severa e maestosa in posizione dominante sulle altre Contrade di Giardini, Froffa, Gallo, Muschicella, S.Elia, Scala e Tuvolo.

Fu certamente edificata da qualche feudatario del luogo in un periodo buio e triste della nostra martoriata Calabria quando la popolazione calabrese era terribilmente minacciata dalle scorribande dei pirati, dei corsari, dei musulmani, dei barbari.

Il compito della Torre era certamente quello di permettere agli uomini di guardia di segnalare agli abitanti sparsi nelle vicine campagne col fuoco, col fumo e col suono del corno l'avvistamento dei pirati e dei corsari che minacciosamente si avvicinavano verso il centro abitato.

 

Nella Torre c'era certamente un torriere coadiuvato di giorno e di notte da altro personale adibito all'accensione dei fuochi.

A questi uomini si affiancavano certamente altri uomini che con i cavalli, in caso di pericolo imminente, andavano in giro per le contrade e nei paesi vicini, ad avvisare la gente a mettersi in salvo. Non c'era nessuna cinta muraria, non c'era nessuna guarnigione.

L'unica occasione di difesa, in attesa di eventuali soccorsi, era quella di rinchiudersi nella Torre al piano superiore.

 

Effettivamente, quando la torre venne costruita, il suo chiaro intento era di avvistamento e non di difesa.

Dall'alto della torre si domina l'ampia vallata ricca di ficheti, uliveti e vigneti e una volta era molto popolata (c'erano le scuole elementari e materne ed anche un bellissimo edificio scolastico ora venduto ad un privato) quando la terra dava i suo buoni frutti e la gente del posto, senza grilli per la testa, viveva esclusivamente di agricoltura e pastorizia.

 

Dal lato Sud si scorge il fiume Oliva che una volta serviva per raggiungere le zone interne, ora raggiungibili da una ampia strada asfaltata che collega Campora San Giovanni con Aiello Calabro costeggiando il fiume e passando per la Contrada Gallo di San Pietro in Amantea.

L'alveo del fiume Oliva una volta era molto ampio e forse anche navigabile, così i pirati con le galee potevano penetrare all'interno e raggiungere le contrade di Amantea e San Pietro in Amantea e tutti gli agglomerati rurali sparsi nelle vallate e sulle colline.

La Torre, è divisa in tre piani e all'altezza del terzo piano si notano due mensoloni di pietra su cui evidentemente poggiavano le caditoie.

Cosa erano queste caditoie?

Erano delle aperture praticate negli sporti delle fortificazioni per gettare proiettili sugli assalitori. C'è ancora una unica porta di ingresso collocata ad una certa altezza dal suolo alla quale si accede attraverso una scala esterna.

Forse una volta, originariamente, c'era anche un ponte levatoio.

Per salire dal primo al secondo piano bisognava usare una strettissima scala ricavata negli spessissimi muri in pietra.

La comunicazione tra il secondo e terzo piano era assicurata da una scala in legno mobile che, all'occasione, poteva essere rimossa.

Il terzo piano diventava così irraggiungibile dal basso e gli abitanti che vi si erano rifugiati potevano stare tranquilli e sicuri..

Il solaio è in parte in legno e in parte in muratura.

Nella Torre, forse, ci dovevano essere delle larghe e rettangolari feritoie, ora sostituite da ampie finestre, che consentivano di tenere sotto tiro gli eventuali nemici invasori.

La Torre della Conocchia, malgrado siano passati molti secoli dalla costruzione iniziale, è in un discreto stato di conservazione.

Urgono però dei restauri.

E' ora abbandonata, non ci abita più nessuno.

L'ultimo che l'ha abitata è stato il Sig. Domenico Sicoli.

Peccato, perché come scrisse il caro Enzo Fera " Un patrimonio di cultura architettonica e artistica europea s'è sedimentato nei secoli e che occorre compiere ogni sforzo per salvaguardarlo, tutelarlo e divulgarlo, perché in questi preziosi libri di pietra è contenuta la nostra vera identità storico-culturale".

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