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Il forte grido di dolore del centro storico di Amantea mentre muore

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Il centro storico di un comune è quella "parte del territorio comu nale di più antica formazione sotto posta a particolare tutela per assicu rare la conserva zione di testimoni anze storiche, arti stiche, ambienta li".

Questo, almeno, in teoria.

La pratica, invece, è, molto spesso, se non sempre, una cosa tutta diversa.

In sostanza, infatti, il centro storico è, molto spesso, il posto più abbandonato di tutto il territorio.

Il posto dove tante case cadono a pezzi senza che nessuno se ne curi.

Si è vero che, come dicono i poeti, “ Le case del centro storico portano su di sè i segni del tempo che è scorso ed i segni dell’acqua, del sole e del vento che le hanno consumate”

Ed è anche vero che le loro mura “raccontano un passato fatto di umanità, di bambini scalzi, di vecchie che filavano, di marinai che scendevano per affrontare il mare, passati di sacrifici , di dolori ma anche di gioie ; passati ricchi di aggressioni, di assedi, di fame, di addii, ma anche di speranze”.

Ed è anche vero che nel centro storico le ore scorrono implacabili, ma, anche, lente e ritmiche, ognuna di esse a raccontare vite vissute indelebilmente impresse nelle vecchie mura, pareti che lasciano intravvedere volti celati dietro le ante delle vecchie finestre, agorà dove ti sembra di sentire grida gioiose dei bambini che giocano scalzi al sole, selciati dove diventa musica il rumore degli zoccoli delle belle ragazze che scendono a passeggiare sulle più ampie strade sottostanti, e spazi dove ancora girano per l’aria le parole non dette delle donne gravide anche dell’amore di un uomo, quale egli sia.

È solo tra quelle vecchie mura , nelle quali le poche cose vive sono , talvolta, dove i gatti si accarezzano il musetto con fare ritmico , la testa piegata e gli occhi distratti, che puoi percepire la storia antica di un paese come Amantea e della sua gente, cogliere i profumi di zagara e quelli della pasta con la mollica.

Sono ritornato a cogliere di nuovo l’aura del nostro centro storico, cominciando a salire Via Cavour.

Lì sulla parete della prima casa una scritta risalente al periodo fascista dove si legge solo la parola Italia, monito di un tempo ormai finito e di cui restano ormai soltanto le ceneri di un passato.

Prendo a destra il minuscolo vicoletto “Madonna delle Grazie” che dopo pochi metri si apre in un piccolo slargo che presenta vecchie case delle quali ormai resta solo qualche muro esterno e qualche finestra attraverso la quale riesci a scorgere travi crollate e tegole spaccate.

Ed è lì che, se hai orecchio alla storia, puoi cominciare a sentire il lamento, prima, ed il disperato grido di dolore. dopo, degli antichi abitanti dei quali, giorno dopo giorno, non resta memoria, al pari delle case che giorno dopo giorno continuano a sfaldarsi riducendosi in pietrame senza vita.

Si salva solo la vecchia chiesetta familiare dei Cavallo ed il piccolo aranceto che le fa una discreta corte .

Intorno , improvvise , le icone poste a difesa delle case e dei vicoli dai demoni e dai fantasmi ; icone che strappano un segno di croce a chiunque le osservi, icone di tutti, anche dei passanti.

Basta guardarsi intorno per scoprire di vecchie case realizzate cento, duecento e più anni delle quali ormai restano le mura perimetrali , nemmeno, intatte, con vuote occhiaie, un tempo finestre, che ti guardano silenziose ed inani .

Porte non aperte da tempo e dove l’erba selvaggia riempie gli spazi dei passi mancanti.

E tra le mura una folta vegetazione che talvolta nasconde micidiali trappole.

Qualche arancio o limone ancora sopravvivono , alcuni svettanti a percepire il sole.

Resiste qualche numero civico , qualche scritta sulle porte o sui muri, resti di antiche presenze, segni di una antica bellezza ormai spenta, echi lontani di voci indistinte , di brusii nelle cucine o nei talami , tracce eteree di vite difficili , litanie e rosari a mitigare le paure.

Se poi ti siedi e torni con la mente a quando quei luoghi erano ancora vivi e le case ancora abitate , avverti i buongiorno dei passanti, magari sorpresi a chiedersi tu chi sia, ma sempre aperti e pronti a conoscerti.

Il silenzio ti avvolge dolcemente interrotto dallo stormire delle foglie, dal fruscio delle ali di un uccello o dal ticchettio delle gocce della fontana pubblica che da sempre perde

E quando cominci a vedere leggere e diafane le anziane con il fazzoletto nero sulla testa e lo scialle sulle spalle comprendi che è tempo di andare via, senza rischiare di turbare i fantasmi che ancora vivono tra quelle mura e che aspettano che rivivano per ritornare a vivere anche essi.

Scendo e decido di parlare di questa drammatica situazione nella speranza che qualcuno ricominci a pensare di salvare una parte della nostra storia , della nostra irripetibile architettura, della nostra società , dei nostri ricordi.

E man mano che mi allontano fuggono le voci, le anime antiche, i rumori del tempo, i silenzi, le memorie, ed il quotidiane vince sulle memorie ancora dolenti ma vive del nostro passato.

Continua a morire, vecchia Amantea , mentre i vecchi tetti improvvisi sprofondano e con essi il nostro passato ed il nostro presente.

Non ti resta che morire vecchia Amantea, insieme a chi non vuole curarti pur avendo le medicine.

Anche "lui" muore, ma non lo sa.

Uno splendido balcone in ferro battuto

Occhi nascosti

gattino

Trappole nascoste

Tetti crollati

Icone

Porte senza vita

Chiesetta Cavallo

Redazione TirrenoNews

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