Ci sembra indispensabile conoscere la storia per capire bene( o meglio) il presente ed il futuro di Amantea. La storia non nota, quella nascosta, celata, per varie ragioni. Cominciamo con Astolphe de Custine.
Lo scrittore francese Astolphe de Custine passò da Amantea nel 1812 insieme con l'archeologo e storico dell'arte francese Aubin-Louis Millin e il pittore prussiano Franz Ludwig Catel.
Di questo passaggio resta un disegno di Franz Ludwig Catel della zona Marinella di Oliva ed una lettera di de Custine.
Il giovane marchese de Custine, partendo da Napoli per la Sicilia, si aspettava di trovare in Calabria il “mondo delle favole”, un paese dove “per vedere è necessaria l’immaginazione”.
De Custine entra in Calabria sdegnato delle grossolanità che sulla Calabria si rovesciano, dopo la sconfitta contro Napoleone, insieme con la coscrizione obbligatoria per le guerre di Germania e di Russia .
Dopotutto, Astolphe aveva avuto il padre e il nonno, rivoluzionari benché moderati, assassinati da Robespierre.
La Calabria in realtà non fu mai domata, tant’è che nel 1812 il generale Manhès continuava a tagliare teste e rubare il rubabile, e anzi se ne vanterà, dopo che Custine lo denunciò.
La repressione feroce e costante fu all’origine del “brigante”, epiteto che i napoleonidi impressero indelebile sulla Calabria: Manhès, rileva de Custine indignato, parla di “ottomila briganti”, ma “i soldati non sono banditi”.
L’insolenza francese era senza limiti, una insolenza che Duret de Tavel, memorialista che era stato ufficiale di Manhès, bene esprime: “I Calabresi sono dunque, realmente, degli assassini”.
E de Custine cita un detto: “Le vecchie, in Francia, quando vogliono indicare un uomo spacciato, dicono: il tourne la Calabre”.
Custine non è il solo francese critico della liberazione della Calabria, tutti gli altri memorialisti dell’epoca lo sono: Courier, ufficiale napoleonico come Duret deTavel, e lo stesso Duret de Tavel.
E de Custine nel suo viaggio mordi e fuggi (tutta la Calabria in 45 giorni) fu capace di vedere senza compiacenze, e raccontare senza partito preso, nulla tacendo, tantomeno la forza dell’odio, specie “nel cuore delle donne”, che conduceva alle faide.
Le sue Lettere dalla Calabria sono lettere svelte e incisive.
Seppur de Custine avesse fama di persona vanesia e di scrittore superficiale dovunque sia stato ha visto giusto.
E’ il caso della descrizione dei calabresi quando dice che i “taciturni calabresi” somigliano ai normanni: “Come loro sono chiusi, cavillosi, attaccabrighe, e godono della collera altrui. Questo rapporto tra la Magna Grecia e la Bassa Normandia, che forse risale al tempo di re Ruggero, è più sorprendente che piacevole”.
Ed è certamente il caso di Amanta di cui scrive: “ Abbiamo trascorso una notte ad Amantea, una città sottoposta dai briganti a un blocco di nove mesi e a un assedio di quarantasei giorni.
La guerra vi ha creato diverse fazioni che ancora si contrappongono: padri, fratelli, tutti si detestano, si divorano, si tradiscono!
È il Medioevo, a parte l’entusiasmo.
O, forse, è esattamente la stessa cosa: ciò che manca ai nostri occhi è solo la vernice del tempo.
Il nuovo comandante della piazza ha tuttavia ristabilito un po’ d’ordine in questa infelice città.
Ed ecco il suo segreto: due volte la settimana ha dato dei balli avendo cura di invitarvi i vari capi dei partiti cittadini.
Vale la pena di essere calabresi, non partecipare in nessun modo alla civilizzazione, vivere di cipolle crude contese ai maiali per deporre le armi al primo suono di violino!
Se gli uomini sono dovunque gli stessi, a cosa serve viaggiare? Del resto, in Calabria ogni città è una nazione. I popoli della costa non somigliano a quelli dell’interno: gli albanesi sono diversi dagli abitanti delle pianure e, infine, non c’è accordo né nei costumi né nelle idee di questa regione. Quello che si chiama il popolo calabrese è un composto di tanti popoli diversi, sicché il paese che esso occupa è simile ad un mosaico, tanto sorprendente è la diversità delle razze, dei costumi, dei dialetti. In uno Stato composto da tanti popoli, gli individui cadono in una incoerenza di idee uguale al disordine politico. Non immaginerete mai la bestemmia preferita dai calabresi, e che può servire a farvi conoscere il loro spirito. Nell’esplosione della loro ira più grande, gridano: santo diavolo e Gesù maledetto!
Ecco come un popolo così cattolico offende la propria fede, anche con le parole! In Italia si apprende che l’incoerenza non sempre è la strada della follia, ma che, al contrario, essa conduce all’indifferenza che è l’abuso della ragione. Amantea, 1812 “