Facciamo, con la mente, un salto all’indietro di quattro secoli per arrivare agli anni venti del secolo decimosettimo.
Alcuni critici letterari affermano che tra i soggetti principali del romanzo «I Promessi Sposi», vi sia, per l’illuminata rappresentazione che ne fa l’autore, la peste.
Quell’epidemia ha delle sorprendenti analogie con l’attuale del codiv-19, inspiegabili e sinistre.
Una delle analogie, per come ci tramanda il Manzoni, è quella che devastò Lombardia, Veneto ed Emilia, dimezzandone la popolazione. Ovviamente, quel morbo non risparmiò il sud dell’Italia. Ad Amantea, fu toccata donna Livia Ruffo di Calabria appartenente, all’epoca, alla famiglia più importante e potente della Calabria, sposa di don Scipione Cavallo, nobile del sedile chiuso della città e noto per aver partecipato alla battaglia di Lepanto con propria imbarcazione.
La famiglia Cavallo aveva possedimenti nel limitrofo San Pietro dell’Amantea, all’epoca casale della città di Amantea, e la N. D., per isolamento, quarantena o purga sanitaria, come dir si voglia, si trasferì nel borgo. Qui si praticava, dove ancora esiste, la venerazione alla Madonna della Grazie e l’inferma, per la guarigione, si affidò a quella Vergine. La salute le venne preservata e la N. D., per grazia ricevuta o in adempimento a promessa, fu riconoscente la Madonna.
La Vergine Madre, a San Pietro, si venerava in una piccola e umile chiesa, poco lontana dall’abitato, si dice, dove un tempo c’era una stalla trasformata in luogo di culto per una apparizione della Stessa al pastorello che vi custodiva gli animali. Non vi era scultura lignea. La venerazione si professava solamente davanti al Quadro Celeste.
Donna Lidia provvide ad ordinarne una, a Napoli, da regalare alla Chiesa che ne era sfornita ed è quella che, ancora oggi, ogni due di luglio, si porta in processione nel piccolo borgo.
Ma la N. D. non si limitò solo a questo.
Rientrata ad Amantea volle che la Chiesetta di famiglia fosse dedicata alla Madonna delle Grazie. Inoltre, entrando nell’antica città dalla porta Paraporto, si noterà che uno di primi vicolo, salendo sulla destra, è «Vico Madonna delle Grazie» il quale conduce alla Chiesetta di famiglia. Da qui l’importanza della toponomastica che, la politica moderna, con facilità, ovunque, tende a modificarla senza criterio o logica unita a giustificata motivazione.
Dall’archivio Cavallo risulta che, donna Livia fu colei che più pose, nella colletta fatta dalla locale nobiltà, per il riscatto della città dalla compra effettuata dal principe di Belmonte, Daniele Ravaschieri, col rammarico, grande, di non aver potuto riscattare anche il casale.
Infine, ogni due di luglio – da quell’epoca e fino a quando rimase in vita il compianto prof. Rocco Cavallo, cosa che certamente sarà ancora nella memoria di qualche anziano del posto – avveniva una piccola processione rionale con celebrazione di Messa nella Chiesetta di famiglia.
Donna Livia, oggi, da allora, riposa ai piedi dell’altare di detta Chiesetta di famiglia.
(Ferruccio Policicchio)