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pd-810x542Il Governatore della Puglia Emiliano dopo tante giravolte finalmente ha deciso: resterà nel Pd e sfiderà Matteo Renzi alle primarie del partito candidandosi a Segretario del Pd.

 

Alla Direzione del Pd ci dovevano essere delle grandi sorprese, invece eccoti Emiliano che fa marcia indietro, ci ripensa, meglio restare nel Pd e continuare a governare la regione Puglia.

Se avesse abbandonato il partito certamente nel Consiglio regionale pugliese ci sarebbero stati degli strascichi, molti non lo avrebbero seguito.

 

Meglio l’uovo oggi, che la gallina domani.

La sua giravolta, però, ha portato degli sconquassi nella compagine dei ribelli e brucia moltissimo agli ex compagni di strada, i quali vanno avanti alla ricerca di un nuovo soggetto politico di centro sinistra che per il momento non ha un nome.

I Ministri Franceschini, Orlando e Delrio tentano di scongiurare la scissione. Sarà una impresa difficile ed impossibile.

 

La strada resta tutta in salita.

Per evitare la scissione Matteo Renzi dovrebbe abbandonare tutte le sue velleità e dovrebbe essere rottamato. Ma Renzi, purtroppo, non vuole lasciare il partito e il potere che ha conquistato in questi anni. I contendenti si odiano, si detestano, si combattono a viso aperto, nei fuori onda se ne ascoltano di tutti i colori, per il dominio di un partito che a poco a poco perde consensi e che considerano di loro proprietà.

Dice bene Alberto Infelise su <La Stampa>: "Forse quando smetteranno di fare la pipì in giro per segnare il territorio torneranno a essere in qualche modo interessanti per gli elettori."

 

E mentre i Deputati e Senatori litigano su tutto il Premier Matteo Renzi vola negli Stati Uniti snobbando la Direzione del suo partito intento a scrivere le regole per il prossimo Congresso.

Dalla California fa sapere che va bene così. La scissione annunciata e strombazzata ora è ancora più debole. Renzi è arcicontento che Emiliano sia rimasto nel Pd, si avranno, così, delle vere primarie molto partecipate.

Gli ex compagni di strada e di merenda del Governatore, però, non hanno gradito la sua giravolta e sono molto arrabbiati e irritati per il cambio di rotta. Ha scombussolato e non di poco i loro piani.

Ma forse è un bene che Emiliano sia rimasto nel Pd e che se ne siano andati Rossi, D’Alema e Bersani e qualche Deputato di provincia.

Renzi li avrebbe rottamati lo stesso non presentandoli candidati alle prossime elezioni politiche. Lo hanno capito e allora per non fare una brutta figuraccia hanno inventato delle scuse puerili e si sono rottamati da soli. Dove andranno nessuno oggi lo sa.

Quanti voti porteranno al nuovo partitino nella prossima competizione elettorale? Pochi voti, direi, non sufficienti per farli ritornare in Parlamento ad occupare le comode poltrone che il vecchio e glorioso partito comunista aveva garantito fino ad oggi. Leggendo i loro nomi sono tutti provenienti da quel partito sconfitto dalla storia. Insufficienti a portare alla Camera e al Senato un numero sufficiente di Deputati e Senatori per essere determinanti per formare un nuovo governo di centro sinistra o di sinistra. E allora tanto valeva restare nella casa madre e combattere Renzi e il renzismo dall’interno.

Ma cosa c’è davvero dietro la scissione del Pd? C’è la lotta per la conquista e la conservazione del potere.

Nelle prossime elezioni elettorali in autunno o nel 2018 con la legge elettorale in vigore il Pd non raggiungerebbe il 40% dei voti, quindi non scatterebbe il premio di maggioranza e perderebbe quasi un terzo degli attuali Deputati. Solo i capilisti sono certi della elezione, gli altri dovranno conquistarsela attraverso una lotta fratricida delle preferenze.

 

Con Matteo Renzi, rieletto al Congresso e non ai gazebo segretario del partito, la minoranza di sinistra avrebbe poche possibilità di farsi ascoltare e ad essa resterebbero soltanto le briciole. Ecco perché, arrivati a questo punto, tanto vale rischiare la scissione.

Ma c’è una bella polpetta avvelenata pronta per gli scissionisti che potrebbe mettere in gravi difficoltà il nuovo soggetto politico appena nato e tutti i voltagabbana che militano nei partitini nati dalle scissioni del partito di Berlusconi: l’innalzamento della quota necessaria per entrare in Parlamento dal 3 al 5%. Sciuollu! Dove andranno Bersani, D’Alema, Alfano, Cicchitto, Bondi, Casini, Fitto e Company? A casa, a casa. Sarebbe davvero bello e l’alba di una nuova primavera.

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Furono accusati di avere ucciso i loro compagni di viaggio, durante la traversata dalla Libia alla Sicilia, perché cristiani.

 

 

I giudici della corte di Assise li hanno riconosciuti colpevoli di omicidio, ma non dell'aggravante dell'odio religioso.

Per questo motivo sei extracomunitari sono stati condannati, mentre altri otto imputati sono stati assolti.

Condannato anche un settimo uomo accusato non di omicidio, ma di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.

Dovrà scontare quattro anni.

Il processo nasce dal racconto di alcuni migranti soccorsi ad aprile del 2015.

Sbarcati a Palermo, raccontarono che alcuni nigeriani e ghanesi sarebbero stati gettati in mare aperto perché cristiani da una quindicina di altri "passeggeri", musulmani.

 

La corte li ha condannati a 18 anni ciascuno.

 

Gli imputati, accusati di omicidio plurimo aggravato, sono ivoriani, senegalesi e maliani.

La Procura aveva chiesto quattordici ergastoli ipotizzando l'omicidio volontario, ma la corte non ha creduto al movente religioso.

Il racconto di uno dei testimoni chiave del processo, un uomo a cui sarebbe stato ucciso il fratello durante quella tragica traversata, era già stato giudicato "inattendibile e non riscontrato"dal tribunale dei minorenni, dove è stato giudicato un altro giovanissimo indagato per la presunta strage.

Diciotto anni di carcere e un milione e 200 mila euro di multa sono stati inflitti a Mohamed Kantina, Ousman Camara, Kabine Konate, Kulibali Uma, Morizio Mouri e Hamed Doumbia.

A quattro anni è stato condannato lo scafista Seckou Diop.

A tutti la corte d'assise ha riconosciuto le attenuanti generiche.

Sono stati assolti, invece, Jean Baptiste Mabie, Abubacar Keit, Kante Bakadialy, Aboubakar Sidibe, Moustafa Toumadi, Moussa Kamagnate, Kaba Somauro e Biliti Abbas.

La corte ne ha ordinato la scarcerazione e l'espulsione.

I legali degli imputati hanno sostenuto che i 12 migranti sarebbero morti annegati perché il gommone avrebbe cominciato a imbarcare acqua e sarebbero caduti in mare.

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A Milano scorrazzano ovunque i rider dei delivery food services, sempre più numerosi: c’è Sushimi, il sushi a portér, il colosso Deliveroo o ancora Just Eat.

sushimi

 

Secondo recenti statistiche gli italiani hanno imparato a prediligere con sempre più frequenza i servizi di delivery food e il take away; soprattutto nelle grandi città, dove è praticamente impossibile trovare qualcuno che non li abbia provati almeno una volta.

A Milano, la città che sembra essere sempre un passo avanti rispetto alle altre in fatto di mode, la nuova frontiera sembra essere proprio quella del delivery food: qui il cibo buono viene cotto, ordinato e consegnato nella scatolina eco direttamente in qualsiasi punto della città si vuole. A casa, in ufficio o con gli amici.

Difficile quantificare i pony express del cibo, così come i servizi di consegna a domicilio che, lanciati o gestiti in Italia da giovani startupper o imprenditori dall’esperienza internazionale, hanno conquistato la platea meneghina.

Ma la cosa più interessante sta nel fatto che oggi a domicilio si consegna gourmet e per tutti i gusti: dimenticate pizze raffreddate e misteriosi intrugli cinesi!

I nuovi servizi di online delivery food permettono di ordinare il proprio pasto via app o browser consultando un menu digitale e ricevendo il tutto ovunque si voglia.

Certo, bisogna anche ricordare che la maggior parte di questi servizi è attualmente attiva solamente nelle grandi città. Le principali startup dedite all’online food delivery hanno preferito concentrare i loro primi sforzi tra le vie delle metropoli e così Milano si è trasformata negli ultimi anni nel terreno ideale per testare nuove soluzioni e proposte inedite.

Un esempio degno di nota è Sushimi.

Sushimi nasce dalla passione di un gruppo di giovani trentenni per il Sushi e la Japanese Cuisine, che al grido di «Piu Sushi Per Tutti», hanno deciso di dar vita a SUSHIMI. Molto più di un Sushi Bar, non il solito Sushi a domicilio Milano. Infatti Sushimi seleziona solo ed esclusivamente ingredienti freschi e di altissima qualità e si avvale di veri sushi chef esperti e preparati per fornire ai milanesi il miglior servizio di sushi a domicilio al prezzo più basso.

Secondo quanto affermato recentemente dalla Camera di Commercio, sono 117 le imprese della ristorazione milanese “dichiarate’’. Tra queste ci sono anche Just Eat e Bacchetteforchette, Deliveroo e Foodora, Foodinho e MyFood, con le loro centinaia di ristoranti partner. E la new entry Quomi, che fornisce ingredienti per un menu a scelta invece del piatto. Il capoluogo lombardo è la vera capitale del food delivery.

Il Delivery Food è un servizio mobile e completamente ordinabile da mobile oppure sul web, che ha un target compreso tra i 21 e i 44 anni, secondo i dati forniti da Google Analytics, cioè da chi visita il sito, hanno spiegato da Foodora, il marchio bavarese attivo a Milano da fine estate 2015. I numeri dei clienti e delle consegne sono sempre «top secret». Sia perché crescono esponenzialmente, «del 25% alla settimana», racconta Matteo Sarzana, general manager di Deliveroo Italia (origine londinese), sul mercato milanese da novembre, sia perché ai concorrenti meno si svela, meglio è. Ci sono i numeri dei fattorini: 300 tra Milano e Torino per Foodora, così come in città per Deliveroo. La danese Just Eat, invece, sbarcata sulla piazza meneghina ben prima dell’Expo, nel 2011, rilevando Clicca e Mangia, si affida a un partner specializzato: Pony Zero.

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