
Povero Pd accerchiato dal M5Stelle. Sei stanco, vero? Stanco di aspettare? Il Governo Conte non decolla, i responsabili non si trovano. La vera crisi di Governo si avvicina anche se molti nel Pd assicurano il loro amato Giuseppi che lui non si molla. Sono in molti ora, però, che premono per un Conte ter via dimissioni, poi un reincarico, un nuovo governo e infine una nuova fiducia in Parlamento. Altro che rimpastone. Serve un Governo nuovo, con nuovi e preparati personaggi ai quali assegnare Ministeri importanti e con la possibilità di aggregare famelici e nuovi alleati dando loro incarichi e posti prestigiosi. Solo così si avrà in Senato una maggioranza coesa capace di governare questo paese che sta andando alla deriva. Ma se si tengono chiuse tutte le porte a Renzi e al suo minuscolo partito, ma soprattutto al ripescaggio di nuovi alleati nel centro destra, non si andrà molto lontano. Mercoledì si voterà alla Camera e poi al Senato la relazione sulla Giustizia del Ministro Bonafede. Il Governo rischia, perché molti senatori che la scorsa settimana hanno dato la fiducia a Conte ora voteranno contro. Voterà contro Nencini, Lonardo e finanche Casini. Allora elezioni politiche anticipate? Macché! Nessuno vuole andare alle urne prima della fine della legislatura. I cittadini non le vogliono e chi le chiede non ne è proprio convinto. E’ un teatrino della politica. Le elezioni anticipate vengono chieste solo esclusivamente per creare paura e accelerare la soluzione della crisi all’inizio innescata da Renzi. La situazione è dunque drammatica, disperata. All’orizzonte non si intravede una soluzione. Il Coronavirus infuria, i vaccini non arrivano, i morti aumentano, l’Italia cambia di colore continuamente, la disoccupazione è alle stelle, i negozi chiudono e poi riaprono e infine abbassano definitivamente le saracinesche, le file dei poveri nelle sedi della Caritas si allungano, il pane manca, ma ancora non sventola bandiera bianca. Quousque tandem abutere, Conte, patientia nostra?
di Ferruccio Policicchio
In piena prima guerra mondiale la “rivoluzione di ottobre” solcò profondamento il partito socialista, non solo nella speranza di una prossima vittoria socialista ma anche perché, sul piano della ideologia e dell’organizzazione, indicava nuove forme di lotta e di organizzazione. Su queste posizioni si collocò la rivista “Ordine nuovo”, pubblicata a Torino, e diretta dal giovane Antonio Gramsci.
Nell’agosto 1920, rivendicando aumenti salariali, le agitazioni promosse dal sindacato dei metalmeccanici incontrarono l’opposizione degli industriali e, a settembre, sfociarono nell’occupazione delle fabbriche della Lombardia, del Piemonte e della Liguria emergendo, in seno alle fabbriche occupate, diverse posizioni nel portare avanti la lotta.
La borghesia italiana, intanto, per il timore provocato della formazione dei consigli di fabbrica – prime cellule dell'organizzazione del nuovo proletariato che dovevano svolgere la funzione di strumenti politici per la conquista del potere – cominciò a guardare favorevolmente al fascismo. I Fasci si moltiplicarono rapidamente, e così pure le azioni squadristiche contro le organizzazioni dei lavoratori, le cooperative, le sedi e gli esponenti del movimento socialista.
Le diverse posizioni si scontrarono durante il XVII congresso del partito socialista tenuto dal 15 al 20 gennaio 1921 nel teatro Goldoni di Livorno.
Il gruppo guidato da Giacinto Menotti Serrati giudicava necessaria l’unità del proletariato; il gruppo guidato da Filippo Turati, avendo scarsa fiducia nella risoluzione rivoluzionaria, si attestò sulla linea tradizionale; mentre il gruppo guidato da Gramsci e Bordiga, giudicava necessario realizzare prima il partito rivoluzionario, sollecitando solo successivamente un'azione del proletariato.
Il successo della linea Serrati provocò la reazione del gruppo dell'”Ordine nuovo”.
L’ala sinistra del Partito – guidata da Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Angelo Tasca, Palmiro Togliatti e Amedeo Bordiga – abbandonò i lavori e, cento anni fa, il 21 gennaio 1921, nel teatro San Marco di Livorno, diede vita al Partito Comunista d’Italia (P.C.d’I.), considerato una sezione dell’Internazionale comunista.
La lacerazione in seno al partito socialista ebbe poi un ulteriore seguito nell'ottobre 1922 con la scissione del gruppo riformista e la nascita del partito socialista unitario guidato da F. Turati con segretario G. Matteotti.
Tanto tuonò che alla fine non piovve. Sembrava che da un momento all’altro sarebbe scoppiato un temporale, invece, come io avevo previsto nei passati articoli, il temuto temporale non c’è stato. Ci sono stati, questo è vero, tuoni e lampi, una pioggerellina, ma poi all’improvviso è apparso un tiepido sole che ha riscaldato le membra e i cuori dei Senatori assembrati nell’emiciclo di Palazzo Madama. Da una settimana, dopo lo strappo del Sen, Renzi, erano in trepida attesa che sorgesse il sole dell’avvenir. Il tiepido sole è sorto, ha riscaldato le membra dei Senatori dopo la temuta tempesta, ma nessuno ha fatto festa perché la quiete non c’è stata e non ci sarà. La vita politica non sarà più come prima. Non si odono gli uccelli del Pd che fanno festa e le gallinelle del M5Stelle, che tornate nel loro pollaio non ripetono più il loro coccodè. Conte, il Premier che nessuno ha eletto, ha incassato 156 voti, con la farsa di due senatori che entreranno alla storia per essere stati ammessi al voto con l’uso della VAR. Ha ottenuto la maggioranza relativa grazie all’astensione dei 16 senatori di Italia Viva. Renzi ha tuonato, ha menato duro, i toni sono stati aspri. Ha accusato il Premier che ha pensato più alle poltrone che al futuro, gli è mancata soltanto la gavetta. Però alla fine non lo ha disarcionato. Conte è ancora in sella. Lo ha reso più debole, questo sì. Dopo una maratona di 12 ore a Palazzo Madama il Governo Conte bis traballa ma non è crollato. Adesso staremo a vedere come Conte riuscirà a governare senza i voti di Italia Viva. Questa volta Renzi e i suoi si sono astenuti, ma domani? Ieri non hanno voluto votargli contro. Renzi ha parlato, ha inveito, ha contestato, ha sbraitato, ma alla fine con le pive nel sacco non ha avuto il coraggio di dire “No” a Conte. Se avesse votato “No” i voti contrari sarebbero stati 156 quanto i voti a favore. A quel punto Conte si sarebbe dovuto dimettere. Dante, suo conterraneo, lo avrebbe messo senz’altro nel girone degli ignavi. Fama di loro il mondo essere non lassa; misericordia e giustizia ti sdegna, non ti curar di lor, ma guarda e passa. Ora, però, Conte per governare ha bisogno di allargare la sua maggioranza striminzita. Due Senatori di Forza Italia hanno tradito il loro partito. Sono saltati, armi e bagagli, sul carro del vincitore. Ma se Conte vuole andare lontano queste due defezioni non bastano. Il mercato delle vacche non è ancora terminato. Le offerte sottobanco continueranno come prima, più di prima. E fuori Palazzo Chigi ci sarà senza dubbio la fila di chi adesso, senza perdere altro tempo, vuole passare all’incasso. Conte necessariamente dovrà dare qualcosa a chi gli è andato in soccorso. Chi sono? I responsabili, gli europeisti, i liberali, i socialisti, i volenterosi, i costruttori. Chiamateli come volete, ma sono e saranno sempre come Razzi e Scilipoti: Voltagabbana. Nessuno rinuncia di occupare la comoda poltrona al Senato e 15,000 euro mensili, e che sono fessi?