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Meta.- Rinvio a giudizio per Giuseppe Tito, sindaco di Meta e consigliere metropolitano del Partito Democratico, e altre sette persone tra dirigenti comunali e imprenditori coinvolti nell'inchiesta della Procura della Repubblica di Torre Annunziata sull'assegnazione degli appalti nel Comune costiero.

A deciderlo, pochi minuti fa, è stato il gup del Tribunale oplontino Antonio Fiorentino.

A carico del primo cittadino si ipotizzano i reati di corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, abuso d’ufficio, turbativa d’asta, peculato, omessa denuncia e falso.

Di questi dovrà rispondere durante il processo che prenderà il via il prossimo primo febbraio: «Sono sereno - fa sapere Tito, assistito dalla penalista Paola Astarita - Il dibattimento sarà l'occasione per dimostrare la mia correttezza».

Meta, per il sindaco Peppe Tito arriva il rinvio a giudizio “Vado avanti”. Come già anticipato da Positanonews il Tribunale di Torre Annunziata ( Napoli ) ha rinviato a giudizio oggi il sindaco Giuseppe Tito .

Vado avanti”, ha detto il sindaco Peppe Tito.

Invece il Partito Democratico ha fatto sapere che per il codice deontologico non può candidarsi.

Il Rinvio a giudizio per il Sindaco di Meta Giuseppe Tito e per gli altri imputati è stato adottato tutti i reati ipotizzati. Così ha deciso il GUP Antonio Fiorentino del Tribunale di Torre Annunziata a termine dell’udienza odierna conclusasi intorno alle ore 14.

Il processo inizierà il prossimo 1° febbraio. Ma è probabile che finisca in prescrizione visto che il reato principale è relativo alla gestione dei parcheggi quando Tito era assessore , cioè oltre quattro anni fa.

Il gruppo di maggioranza ha già espresso vicinanza al sindaco “Saremo con lui”.

Anche la famiglia gli è vicino a sostegno della prossima campagna elettorale “Già ci aspettiamo che i giornali parlino e gli attacchi, siamo preparati. Ma gli staremo vicino”.

Al momento Peppe Tito non ha fatto alcun comunicato, ma già era previsto il rinvio a giudizio.

La campagna elettorale è già cominciata e probabilmente la sua sarà una lista civica senza tessera del PD, come già anticipato, con un possibile avvicinamento a De Magistris.

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Sono stati due senegalesi e un nigeriano. E ce ne sono altri! Maledetti. Loro. Chi li ha fatto entrare. Chi non li espelle. Chi li tollera. Chi li assiste. Chi non li arresta. Chi non li mette in carcere e butta la chiave!

 

 

 

Ecco il Messaggero cosa scrive stasera: “È stata lasciata morire in 12 ore di agonia.

Ai tre fermati per lo stupro e l’omicidio di Desirée sono contestate aggravanti pesantissime: quella della crudeltà, quella di avere abusato della minorenne in gruppo, di averle somministrato un cocktail di sostanze letali e di aver agito per motivi abietti.

Per il procuratore aggiunto Maria Monteleone e per il pm Stefano Pizza i tre fermati (due senegalesi e un nigeriano) sapevano che quelle droghe avrebbero potuto uccidere la sedicenne.

La avrebbero stordita e poi stuprata a turno.

Accorgendosi che la ragazzina stava morendo, non solo non l’avrebbero soccorsa, ma avrebbero continuato ad abusare di lei.

Poi, la avrebbero abbandonata, lasciandola morire.

Un incubo durato un’intera giornata. Iniziato nel primo pomeriggio di giovedì, quando Desirée è andata nello stabile abbandonato a San Lorenzo per comprare droga, e finito 12 ore dopo, in tarda notte, con il decesso della ragazzina.

Non è ancora chiaro quanti siano i componenti del branco.

Di sicuro, a violentare la minorenne c’erano quattro persone, ma potrebbero essere di più.

Gli investigatori della Squadra Mobile stanno cercando gli altri componenti del branco.

Fondamentali per identificare gli aggressori, le dichiarazioni dei testimoni ascoltati ieri fino a tarda notte dagli inquirenti.

Il primo fermo è scattato alle 23 di ieri, il secondo dopo l’una di notte.

Il terzo aggressore è finito in manette questa mattina.

Per loro, i pm hanno già chiesto la convalida del fermo.

Ora, si attende l’interrogatorio di fronte al gip.

Uno era stato espulso.

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La Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo ha condannato l'Italia per avere rinnovato il regime carcerario del 41 bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo del 2016 fino alla morte del boss mafioso.

Secondo la Corte, il ministero della Giustizia ha violato l'articolo 3 della Convenzione, riguardante la proibizione di trattamenti inumani o degradanti.

Allo stesso tempo, la Corte ha stabilito che non c'è stata violazione del medesimo articolo 3 in merito alle condizioni della detenzione.

Durissima la reazione del vicepremier Di Maio alla sentenza della Cedu: "Ma scherziamo? La Corte europea dei diritti umani - scrive su Facebook - ha condannato l'Italia perché decise di continuare ad applicare il regime duro carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano, dal 23 marzo 2016 alla sua morte.

Avremmo così violato il diritto di Provenzano a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Non sanno di cosa parlano!

I comportamenti inumani - attacca il vicepremier e leader del M5S - erano quelli di Provenzano. Il 41bis è stato ed è uno strumento fondamentale per debellare la mafia e non si tocca. Con la mafia nessuna pietà".

  A fargli eco, il ministro e vicepremier Matteo Salvini: "La Corte Europea di Strasburgo ha 'condannato' l’Italia perché tenne in galera col carcere duro il 'signor' Provenzano, condannato a 20 ergastoli per decine di omicidi, fino alla sua morte.

Ennesima dimostrazione dell’inutilità di questo ennesimo baraccone europeo. Per l’Italia decidono gli Italiani, non altri".

"Il 41 bis non si tocca, sia chiaro", sottolinea quindi il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede a margine dell’iniziativa a via Arenula sulla presentazione della legge 'Codice rosso'.

"Rispetto questa sentenza, voglio solo sottolineare che il 41 bis non si tocca", ha precisato il ministro.

"Siamo sempre disponibili a confrontarci con l’Europa" ma va sottolineato "che tutto il mondo, non solo l’Europa, ha soltanto da imparare dall’Italia in termini di normativa antimafia con leggi all’avanguardia che hanno dato i risultati migliori", ha aggiunto.

L'AVVOCATO DI PROVENZANO: "SODDISFATTA" - "Soddisfatta" invece per la sentenza l'avvocato Rosalba Digregorio, legale del capomafia morto nel 2016 in ospedale dove era in regime di detenzione "perché la battaglia condotta con la sua famiglia - spiega all'AdnKronos - non è stata inutile".

"Abbiamo fatto la lotta - aggiunge - e mi fa davvero piacere sapere che non ero la sola a pensarlo. Noi non ci siamo rivolti alla Corte di Strasburgo per avere una misura risarcitoria, insomma per chiedere soldi, come fanno tanti detenuti. A me la decisione in questi termini sta bene perché riconosce che noi non abbiamo fatto una battaglia inutile ma in linea con il diritto è importante".

E ancora: "Che Strasburgo lo riconosca mi dà una grande soddisfazione". Però la legale, che per molti anni e fino alla sua morte, ha difeso il capomafia di Corleone, tiene anche a precisare che "l’ultima istanza fatta ai giudici non era una richiesta di scarcerazione - spiega -ma noi chiedevamo con la sua famiglia di trasferirlo nello stesso reparto dell’ospedale San Paolo ma senza il 41 bis. Perché quando era al carcere duro in ospedale a essere penalizzati i parenti di Provenzano".“Mentre i giudici - ricorda ancora l’avvocato - dissero che doveva restare al 41 bis perché altrimenti lo curavano meno...".

FAMILIARI VITTIME : "STRASBURGO CI OFFENDE" - "Da Strasburgo neanche quando sono morti ci risparmiano di menzionarli, e ci ricordano i nostri aguzzini , caso mai cercassimo di dimenticarli. Il capo di Cosa nostra Provenzano avrebbe subito in Italia il torto di morire a 41 bis. Certo che è morto a 41 bis in ospedale e il carcere duro bis un mero foglio di carta. Strasburgo però il 41 bis lo voleva abolito sulla carta bollata come Cosa Nostra. E ora che si fa si risarcisco i familiari di Provenzano, mentre noi sputiamo l’anima per avere riconosciuti i nostri diritti in un processo civile? Dove era Strasburgo dei diritti dell’uomo la notte del 27 maggio 1993 quando Provenzano ha mandato i suoi uomini a Firenze ad ammazzarci per far annullare il 41 bis, giusto sulla carta bollata?" Lo afferma, in una nota, Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. "La Corte di Strasburgo ci offende, ci fa indignare mentre riconosce i diritti ai mafiosi post mortum e non batte un colpo sul fronte delle vittime di mafia. Ma di quali diritti stiamo parlando, di quelli di Cosa nostra?", conclude Maggiani Chelli

Adnkronos 25 ottobre

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