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"Da ieri Mahmoud Jebali non è più in Italia: è stato espulso dal nostro Paese perché sospettato di essere un terrorista.

Scontata la pena, dal carcere di Padova è stato riaccompagnato con un volo in Tunisia.

 

 

 

 

Sono state le segnalazioni degli agenti di custodia e le indagini del Nucleo investigativo centrale (Nic) della Polizia penitenziaria a far emergere gli aspetti potenzialmente più pericolosi dei comportamenti di Jebali".

Lo rende noto il ministero della Giustizia attraverso il suo quotidiano online GNews.

“Abbiamo cominciato a tenerlo d’occhio dopo che aveva minacciato un agente urlandogli contro ‘prima o poi morirete tutti, entreremo nelle vostre case e vi uccideremo e mangeremo i vostri cadaveri… Allhu akbar’.

In un’altra occasione disse che, una volta uscito di prigione, sarebbe andato a combattere in Siria”. A parlare è uno degli uomini del Nic, del quale non viene rivelato il nome, che ha monitorato negli ultimi tempi i movimenti del 31enne tunisino.

Privo di permesso di soggiorno ed entrato in Italia in maniera irregolare dal porto di Lampedusa, dopo aver affrontato la traversata del canale di Sicilia con un barcone, Jebali ha innumerevoli precedenti penali per reati violenti, quali rapine, porto abusivo di armi nonché detenzione di sostanze stupefacenti e utilizzo fraudolento di carte di credito.

  “Non aveva mai avuto un atteggiamento tranquillo - aggiunge l'agente - era polemico, riottoso e aveva sempre un fare arrogante con gli agenti.

Poi però aveva cominciato a intensificare la pratica religiosa tanto da diventare un capo carismatico per gli altri detenuti di religione islamica. La cerimonia della preghiera del venerdì si faceva nella sua cella e lui, vestito con la tipica tunica dell’imam, celebrava.

Era diventato un po’ il leader. Ovviamente la pratica religiosa in sé è un fatto del tutto normale e ciò non implica automaticamente un legittimo sospetto.

Tanto è vero che nessuno dei suoi compagni di religione che partecipavano alle preghiere e agli altri riti è stato allontanato dopo l’espulsione del soggetto in questione dall’Italia.

Per il semplice fatto che non ce ne sono i presupposti”.

“Tra i nostri compiti c’è anche quello di raccogliere quegli eventuali segnali che siano elementi utili per farci capire se il soggetto si sia ‘radicalizzato’ e se rappresenti un pericolo per la sicurezza”. Riguardo al 31enne tunisino espulso ieri di elementi ne sono stati trovati diversi.

Il più eclatante è stato l’apprezzamento espresso sulla sua pagina Facebook di un video intitolato “macellazione lecita di un cristiano”.

Grazie Renzi, grazie PD

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E’ possibile, amici, che anche nell’anno del Signore 2019 si può ancora morire per ignoranza.

Oggi vi voglio dare una notizia che ha creato brividi di vergogna ed imbarazzo alle nostre istituzioni calabresi e a quei personaggi che ogni giorno si riempiono la bocca di carità, di amore. di fratellanza, di accoglienza, di integrazione.

La notizia è vera, non me la sono inventata o come si dice oggi è una fake news.

Tanto scalpore ha destato nell’opinione pubblica.

Rasenta, è vero, l’assurdo e subito i giornali, quelli politicamente scorretti, l’hanno messa in prima pagina perché la notizia giunge dalla Calabria, da una regione del Sud, dove ancora si può morire per una banale infezione, per una semplice estrazione di un dente cariato.

L’assurdo è che il dente non è stato estratto dalla bocca di una persona da un dentista.

La persona se l’è estratto da solo, perché non poteva permettersi di pagare un dentista.

E’ morto.

La persona morta aveva un nome ed un cognome, viveva ai margini della società.

E’ una storia triste e drammatica quella di Eugen Munteau, romeno di 55 anni, abitante ad Acri, cittadina alle porte di Cosenza.

Eugen è morto presso l’ospedale “Beato Angelo” di Acri per una grave malattia infettiva, setticemia, la più grave che esista, dovuta alla penetrazione e alla riproduzione di germi patogeni nel sangue.

E’ una terribile malattia che colpisce più di 30 milioni di persone all’anno e se non viene diagnosticata in tempo e curata uccide più dell’infarto.

L’uomo che è morto non viveva da solo ed era conosciutissimo nella cittadina cosentina.

Viveva con la compagna e con il fratello di lei.

Si trovavano in gravissime difficoltà dopo aver perso il posto di lavoro.

Senza un lavoro e senza una casa dove vivere finirono ben presto ad alloggiare per strada, sotto i ponti o in una baracca a pochi chilometri di distanza dal centro abitato di Acri. Eugen, la compagna e il fratello di lei, è bene ribadirlo, non erano stati completamente abbandonati.

Le Forze dell’Ordine, i servizi sociali, i parrocchiani, lo stesso parroco Don Giampiero Fiore si sono spesso interessati alle loro condizioni.

Hanno cercato in qualche modo a rendere la vita di questi tre migranti, perché di migranti si tratta, un po’ sopportabile.

Gli sono stati vicino.

Specialmente il parroco Don Giampiero, che noi conosciamo benissimo perché è stato con noi nella parrocchia di San Bartolomeo Apostolo e nella chiesa della Madonna delle Grazie di San Pietro in Amantea.

C’è stato pochissimo. Solo un anno. Ma noi lo ricordiamo con affetto e gratitudine per il bene che ha fatto in parrocchia e nel paese. Recava loro spesso cibo ed indumenti.

E poi per diverso tempo hanno frequentato la Mensa del Girasole dove riuscivano a mangiare un piatto caldo.

Eugen ora è morto.

Forse aveva dei denti gravemente malati e lui li ha voluti rimuovere da solo, senza andare dal dentista.

Non aveva i soldi.

L’estrazione non è stata evidentemente facile in assenza di anestesia e forse con l’impiego di una pinza non sterile.

Ha sofferto molto.

Quando è giunto all’ospedale di Acri non c’è stato nulla da fare.

Senza vaccini e senza antibiotici che avrebbero potuto contrastare la grave infezione è morto.

Morto per ignoranza, morto perché non poteva permettersi di pagare un dentista, morto soprattutto perché Eugen viveva ai margini della società.

E’ stato accolto, ma poi è stato abbandonato.

Ed ora chi doveva intervenire e non è intervenuto piange lacrime di coccodrillo.

Nota della redazione: E pensare che veniva dalla Romania, la patria del turismo dentale, la nazione dove anche gli italiani vanno a conseguire la laurea che permette di fare il dentista ed oltre!

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Amici di Tirreno News oggi vi voglio raccontare una vicenda sconcertante che mi ha fatto rabbrividire, che mi ha turbato, disorientato, sconvolto.

Ho provato rabbia, tristezza, turbamento.

Forse non sono riuscito a trovare la parola adatta e vi chiedo scusa.

Può una donna in coma partorire?

Certamente sì.

Lo hanno fatto tante donne assistite da medici molto bravi nei nostri ospedali.

Può una donna in coma avere rapporti sessuali?

Come è difficile rispondere a questa domanda.

Li può avere, però abusare di una donna in coma che giace inerme in un lettino di un ospedale è una cosa ignobile, abominevole.

Nemmeno gli animali farebbero quello che sto per raccontarvi.

Una donna in stato vegetativo da oltre 14 anni, dico 14 anni, ha dato alla luce un bambino di sesso maschile prettamente sano.

Nessuno si era accorto che la donna fosse incinta.

I medici e gli infermieri dell’ospedale dove la donna era ricoverata se ne sono accorti troppo tardi, quando la donna ha iniziato a lamentarsi per le doglie del parto.

E del pancione che si gonfiava sempre di più per nove mesi nessuno del personale se ne è accorto? Questa sconcertante e triste vicenda non si è verificata in Italia, meno male.

Ma in un ospedale di Phoenix in Arizona negli Stati Uniti d’America.

Adesso il Dipartimento della Salute dello Stato di Arizona e la polizia stanno indagando su quanto avvenuto in quell’ospedale.

La Direzione dell’ospedale ora ha preso urgenti e drastici provvedimenti. Nessun medico, infermiere, dipendente maschio può entrare nelle stanze di una paziente donna se non accompagnato da colleghe donne.

A questo punto mi è venuto in mente un antico adagio:- Dopo che hanno stuprato santa……… i monaci hanno costruito una porta in ferro -.

Se questa sconcertante e abietta vicenda si fosse verificata in un ospedale italiano chissà cosa avrebbero scritto i giornali americani, pronti a vedere la pagliuzza negli nocchi degli altri quando nei loro c’è una trave.

Secondo voi chi è stato quel vigliacco, quel mascalzone, quel verme, quel porco, quell’animale che ha abusato di una donna in stato vegetativo immobile in un letto di un ospedale?

La risposta è semplice e non ci vuole il mitico Sherlock Holmes. E’ stato qualcuno dell’ospedale che aveva libero accesso nelle stanze dove c’erano le degenti.

E chi sarebbe questo qualcuno?

Non certo l’Arcangelo Gabriele e neppure lo Spirito Santo, ma un infermiere o un medico.

Basta eseguire al più presto il test del DNA del bambino e poi compararlo con quello di tutti i dipendenti dell’ospedale di sesso maschile.

E’ stata una brutta storia, amici, quella che vi ho raccontato.

L’unica buona notizia è che il bambino è perfetto, sta bene, gode buona salute, non ha bisogno di cure particolari.

La sua mamma, però, non può guardarlo, accarezzarlo, coccolarlo, baciarlo, allattarlo.

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