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cocluenzaQuando il potere è comodamente stabile e sereno nelle sue convinzioni; quando la sua coscienza crea la nebbia necessaria ad avvolgere gli uomini oppressi e convincerli di essere creature inferiori, orgogliosi della loro condizione servile, in quel momento entrano in campo gli intellettuali, usignoli dei moderni re, a loro agio con sé stessi, essendo i loro maestri scrittori-ombra dei loro indifendibili discorsi politici.

Ascolterò il cambio

dei marosi e sarà

come la Morte

ingannata dall'uomo.

L’imposizione del coronavirus sembrava una sofferenza difficile da sopportare. Questo avveniva mentre l’uomo si ritrovava nella condizione in cui tutta l’umana modernità, la potestà tecnologica, la globalizzazione, il mercato, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trovava improvvisamente alle prese con la “semplicità dell’esistenza”, come direbbe banalmente un credente.

Questo, mentre contavo i passi del mio terrazzo a Beaumont sur Mer durante la quarantena, e mentre riaffioravano alla mente immagini un po’ sbiadite, del sottoscala del dipartimento di lingue Romanze presso l’Università dell’Alberta in Canada e il fraterno amico Emilio alias Zapata si mise a raccontare la strana avventura dell’uomo che osò sfidare gli dèi, che osò sfidare la morte. Il suo nome era Sisifo.

Seduto al lungo tavolo di fronte a me notai lo sguardo perplesso del caro amico Peter Cole. Interruppi di contare i passi e rientrai alla ricerca di Sisifo nei libri sugli scaffali. In una delle tante leggende si racconta che Sisifo, Re di Corinto, fosse figlio di Prometeo (il titano che aveva donato il fuoco agli uomini) e che un giorno avesse visto Zeus violentare una bella ninfa, figlia del dio fluviale Asopo. Interrogato da Asopo su chi avesse rapito la figlia, Sisifo gli rivelò quel che aveva visto. Zeus per punizione gettò Sisifo nell’Ade.

Sisifo (che già una volta si era preso gioco della morte facendola ubriacare) aveva avvisato la moglie di non seppellire il suo corpo qualora fosse morto; così, non avendo ricevuto gli onori funebri, la sua anima era costretta a vagare alle soglie dell’aldilà, motivo per cui, furbamente, riuscì a persuadere Persefone (la sposa del dio degli Inferi) a farlo tornare sulla terra per tre giorni, affinché potesse convincere la moglie a dargli degna sepoltura.

La dea acconsentì ma ovviamente Sisifo non aveva alcuna intenzione di tornare e quindi rimase sulla terra. Tuttavia gli dèi lo catturarono nuovamente e, quando tornò nell’Ade per la seconda volta, la sua punizione fu durissima: la “fatica” che abbiamo descritto sopra, che l’ha reso celebre e proverbiale presso la posterità. Ebbene, per gli antichi quello di Sisifo è un altro classico esempio di empietà punita: chi sfida gli dèi viene sempre punito!

Ricordo ancora che lo sguardo di Peter Cole coincideva con le mie perplessità dovute in parte a ciò che scriveva lo scrittore Albert Camus, secondo il quale Sisifo rappresenta l’umanità, quell’umanità che è sempre in «cammino» nonostante i suoi limiti, nonostante «il macigno rotola ancora», quel macigno che ognuno di noi, tra le mille avversità della vita, continua malgrado tutto a spingere, contro tutto e tutti (anche contro gli stessi dèi).

Oggi l’espressione “fatica di Sisifo” è usata per indicare un lavoro inutile che, per l’appunto, richiede grande fatica senza raggiungere risultati. Eh già, perché la pena alla quale Sisifo era stato condannato negli Inferi era quella di spingere per l’eternità un enorme masso su per il pendio di un monte, ma una volta arrivato in cima lo stesso masso rotolava giù e costringeva Sisifo a ricominciare daccapo senza fine. Per l’uomo non è importante essere un genio: Ha già problemi a sufficienza nel cercare di essere solo un uomo.

Ritornato sul terrazzo, guardai il mare di Ulisse e dimenticai di contare i passi, mentre le parole di Camus mi rimbombavano nelle orecchie: “La lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo”. Ecco, a me non piace guardare a Sisifo così, come l’essere umano, che lotta contro il suo apparente destino, perché è il lottare che esalta l’uomo, è l’incessante forza che mette nella lotta che lo rende ‘divino’ più della divinità stessa.

Camus pensava di aver individuato in Sisifo l'icona dell'assurdo, notando che “il suo disprezzo per gli dèi, il suo odio per la morte e la sua passione per la vita gli valsero quella pena indicibile in cui tutto l'essere è proteso verso il non realizzare nulla….La grandezza dell'uomo è nella decisione di essere più forte della sua condizione"

Gigino A Pellegrini & G elTarik

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scuseL’amicizia non è una conoscenza fatta di sabbia che alla prima mareggiata la vedi scomparire. Spesso le persone gridano, quando sono adirate, solamente perché i loro cuori si allontanano molto. E devono coprire questa distanza, in qualche modo, prima di potersi ascoltare di nuovo.

L'importante è che si misurino con le parole, altrimenti arriverà un giorno in cui la distanza fra i due cuori sarà tale da non farli incontrare mai più."Parceque c'était lui, parce que c'étaitmoi" (È stata colpa sua, è stata colpa mia). Queste poche parole di Montaigne risuonano come un'ode all’amicizia .

In LesEssais, il celebre autore ritrae un rapporto di amicizia simbiotico, stabile e completo. Perdere un amico o una persona in cui si crede, o comunque di qualcuno che per noi ha un grande valore lascia in genere un grande vuoto. Questo è quello che appare.

La sensazione che proviamo la descriviamo come “vuoto” poiché si tratta di una sensazione nuova o non comune in cui ci sentiamo assolutamente impotenti e vulnerabili. All’apparenza sembra che improvvisamente qualcosa manchi, che si sia liberato un posto che nessun altro possa occupare, poiché, certamente, chi perdiamo è e resta, per la sua essenza, insostituibile.

L'amicizia è quasi un amore ragionato e ragionevole, basato su fedeltà, fiducia e intimità, che non conosce timore. Si rivela dunque un rapporto più rassicurante di una relazione amorosa. Consideriamo l'altro come un nostro doppio ed è per questo che perdere l’amicizia di una persona può essere associata alla perdita di una parte di noi stessi.

Risultato: la fine di un’amicizia può essere estremamente dolorosa. Per rassegnarsi di fronte alla perdita di una amicizia, è necessario innanzitutto conoscere le dinamiche di questo tipo di rapporto, spesso a noi estranee. A ben pensare la perdita di un amico “particolare”, in realtà rappresenta per il nostro io un vero e proprio scossone, che richiama una tale serie di sentimenti sensazioni, paure, dolori, sensi di inadeguatezza, che la nostra mente non sa altro che chiamare “vuoto”.

Alcune amicizie diventano nocive, ma è difficile rendersene conto o ammetterlo. Tendiamo, giustamente io credo, a proiettare sugli amici i nostri sentimenti perché consideriamo l'altro un riflesso di noi stessi. Così come noi non faremmo mai del male ai nostri amici. Una rottura sembra inevitabile quando un'amicizia, diventa distruttiva.

A volte coltiviamo rapporti talmente esigenti da mettere in pericolo la nostra autonomia e la nostra libertà. Invece di nobilitarci e di confortarci, questa amicizia diventa all’improvviso una vera e propria minaccia. “L'amicizia è una virtù o s'accompagna alla virtù; inoltre essa è cosa necessarissima per la vita. Infatti nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni…… L'amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici stessi sono gli autentici amici (infatti essi sono tali di per se stessi e non accidentalmente); quindi la loro amicizia dura finché essi sono buoni, e la virtù è qualcosa di stabile; e ciascuno è buono sia in senso assoluto sia per l'amico.” Aristotele (Etica Nicomachea).

Gigino Adriano Pellegrini & G elTarik

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NikSpatari-Sono un drugo, rockettaro, solitario che vive appartato in una casetta sul mare di Ulisse. Un uomo che scrive dei pezzi ogni tanto per non annoiarsi. Non ho gran voglia di frequentare il mondo esterno. Solo lo stretto necessario. La fama, il successo, mi sembra apatico e noiosamente superfluo nel mio piccolo mondo fatto di sogni e contraddizioni. Shell, al contrario, bella come il sole di Agosto, aveva molti progetti, gran parte dei quali condivisibili. Una quasi hippie anche lei, moderna, intelligente, con sogni e opinioni esistenziali notevoli.

Forse sarebbe da aggiungere, a ciò che dice la mia compagna di viaggio Shell, che il mio pensiero abbatte i confini che delimitano la realtà in cui vivo. Da sempre il mio essere è stato improntato dal desiderio di evadere dai luoghi comuni, dall’attrazione verso ogni forma di creatività e dalla necessità di soddisfare l’insaziabile curiosità. Il temperamento un po’ “hippie”, come piace definirmi G. Shell che non appartiene a quella generazione, mi porta ad incontrare la persona che riecheggia la mia stessa coscienza di libertà. Lui, l’amico Nik Spatari!

Il nostro legame lo considero un tesoro unico da custodire in una realtà circoscritta. La nostra esistenza tripudia nella volontà di intraprendere viaggi che ci condurranno ad esplorare la bellezza dei luoghi e, reciprocamente, la bellezza che dimora nell’animo di entrambi.

Senza dissentire con ciò che diceva Shell, sento il bisogno di rimarcare il nostro appartenere ad una minoranza che determina anche il nostro vedere le cose in maniera un po’ diversa dagli altri. Abbiamo attraversato secoli di storia e cultura e penso che ciò che ci lega, sia, una passione inesauribile da parte mia ed una affinità elettiva da parte Sua.

Proprio questa “affinità elettiva”, mi riportava a pensare che la bellezza interiore sia la chiave di lettura di alcuni luoghi i quali non a caso sono pregni di seduzione e magia. Guardiani di una cultura ormai fuori moda, a noi due non resta che un continuo abbandonarsi a progetti. Entrambi figure inusuali in un mondo bacchettone, moralista e con pochi ed effimeri interessi.

A noi tutti non resta che l’evasione, un tantino illusoria, da una certa realtà impegnata ad omologare le nostre vite. Un bel giorno di autunno abbiamo deciso di visitare un luogo che fino a pochi giorni prima avevo pensato di esplorare da solo. Con la macchina ci siamo diretti a Sud Est della Magna Grecia. Un paesino dal forte richiamo floreale: Mammola. “ Oviolae…vossemperamabo”, sospirava nel Quattrocento il poeta Poliziano colpito dalla bellezza di questo fiore, la violetta, o viola mammola, con le sue foglie a forma di cuore, o odorosa, che tutti amano rivedere, agli inizi della primavera, e talvolta anche prima delle ultime nevi, spuntare lungo le siepi, le scarpate, fra l’erba ancora gialla.

Accanto a questo Fiore, a metà strada fra Rosarno e Gioiosa Ionica, incontriamo il Parco Museo Mu.Sa.Ba., un’oasi di pace dove il tempo sembra fermarsi e ci sentiamo catapultati in una dimensione quasi surreale con il Bianco Coniglio a sussurrarci qualcosa.

A darci il benvenuto è il mosaico di una gigantesca lucertola multicolore, portavoce degli altri giganti del Parco. Proseguendo scorgiamo maschere sovradimensionate, un altro grande mosaico raffigurante un corpo femminile sdraiato sul proprio ventre, una farfalla geometrica alta 3m circa, una figura umana stilizzata che, con i suoi 15 m di altezza, svetta verso il cielo, semisfere massicce che sembrano quasi galleggiare, ali a ventaglio pronte a spiccare il volo, il dio degli dei che, a braccia elevate, trattiene un fulmine; la Piramide che sembra elevarsi all'infinito con i suoi raggi colorati.

L’autore di questa parentesi spaziale dissimile dal resto è stato lo stesso artista che ha riutilizzato i residui del complesso di Santa Barbara come luogo dove lasciar germogliare la propria libertà.

Il mio ritorno in Calabria è stato segnato da due momenti. L’incontro con Shell e la voglia di rivedere con lei una persona straordinaria conosciuta quaranta anni prima a Roma e poi a Saint Paul de Vince, vicino Nizza . Un uomo segnato dal prezzo pagato per la sua libertà. Dotato di una immensa fantasia.

Il mio incontro con Nik risale al 1974, quando insieme a Monique e Marc Chagall stavamo visitando il Maeght di Saint Paul de Vence. Davanti ai mosaici di Chagall, ecco apparire un uomo imponente con due diamanti al posto degli occhi come a volte si notano sul viso di un ragazzino pieno di curiosità: Nick Spatari. Artista, pittore, scultore, architetto e artigiano. Straordinario e multiforme artista che ha lavorato e frequentato gli studi di alcuni dei più grandi artisti e architetti del ventesimo secolo. Personaggi come Charles Edoard Jeanneret-Gris meglio conosciuto come Le Corbusier, il drammaturgo Jean Cocteau, Max Ernst, Pablo Picasso, Jean Paul Sartre, Eugenio Montale, Giulio Carlo Argan, Renato Guttuso, Andy Warhol.

Nik (Nicodemo alla nascita), è tornato a vivere nel paese che lo ha visto nascere nel 29, per dare sfogo alla sua creatività all’interno del suo Parco Museo, creato lungo le rive del Torbido, una fiumara che nasce in Aspromonte e sfocia nel mare che vide arrivare in Calabria i greci. Lo Ionio.

Era il 1970 quando Nik Spatari, tornò in Calabria, insieme ad Hiske Maas, artista anticonformista e manager olandese che, prima di diventare una gallerista a Milano, aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti ad Amsterdam, Londra, Losanne, Parigi e New York. Questa donna di grande carattere , ha sfidato e affrontato per trent'anni la burocrazia italiana e le angherie locali per poter acquistare, insieme a Nik Spatari, l’ex complesso monastico Santa Barbara, l’ex stazione Calabro Lucana e, metro dopo metro, i terreni che oggi sono diventati MuSaBa: un museo-laboratorio d'arte contemporanea su di una superficie di sette ettari di rovi e sterpi di cui non vi è più traccia.

Gigino A Pellegrini & G elTarik.

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