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Il ROMITORIO DI AMANTEA (di Ferruccio Policicchio)

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Tra i luoghi culturali tenuti in poco conto ad Amantea figura quell’antica Chiesetta che chiamiamo di S. Giuseppe e sappiamo che si trova, guardando dal mare l’antica città, sul lato nord della stessa, con la prospettiva rivolta a sud (cosa non di poco conto), dominante e quasi custode dell’antico porto in un paesaggio suggestivo e pregno di significati storico-antropologici.

Non a caso si è detto “quella antica Chiesetta che oggi chiamiamo di S. Giuseppe”.

Essa, verosimilmente, nasce come grotta, ossia eremo – essendo la Chiesa in punto di difficile accesso – perché nella tradizione di molteplici religioni, la grotta era il luogo dove, di preferenza, l’uomo si ritirava e diventava eremita ed in genere, dopo la frequentazione di un personaggio ritenuto “santo” o “illuminato”, l’ipogeo si tramutava in luogo di culto dove potevano edificarsi anche particolari strutture.

Sappiamo che l’insediamento eremitico spesso nasceva per iniziativa di un singolo anacoreta (è il caso, in tempi postumi, di Francesco da Paola) che poi attirava il modus vivendi cenobitico potendosi presentare una iniziativa comunitaria di un gruppo di monaci osservanti di una stessa regola religiosa che sceglieva uno specifico punto per l’isolamento ascetico.

Ed è il caso dell’insediamento, nel rione Catocastro, dei basiliani che, in linea di diretto collegamento tra l’abitato e la grotta (oggi Chiesetta), avevano individuato in essa il punto di riferimento dell’esperienza monastica di isolamento dove i monaci potevano condurre vita anacoretica in solitudine, penitenza e preghiera per un certo periodo recuperando l’ispirazione religiosa originaria, dalla quale lo stesso monachesimo era sorto.

La conferma di quanto asserito viene offerta da un atto di morte, quello di tale Giuseppe Launi, figlio di Gennaro e di Antonia Bonavita, deceduto ad Amantea il 9 gennaio 1848, all’età di anni 70, «in contrada S. Giuseppe» di professione «romito».

Purtroppo il monachesimo orientale e la civiltà bizantina, ad Amantea, è stata relativamente studiata a fondo, anche se sappiamo – oltre ciò che ci è dato cogliere attraverso toponimi ed il culto di alcuni santi che venne a insediarsi nella città – che in conseguenza della lotta iconoclastica fu eletta sede di emirato e, ancor prima, sede vescovile.

L’Eremo è oggi, ancora, meta di pellegrinaggio ogni 19 di marzo, giorno in cui i devoti amanteoti, affollano la processione con fervida devozione.

Buon onomastico, quindi, a tutti i Giuseppe, con particolare riguardo a coloro che parteciperanno alla imminente processione in partenza da «quella antica Chiesetta che oggi chiamiamo di S. Giuseppe».

Redazione TirrenoNews

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