In questa nostrarealtà è il tempo della trasformazione del mondo a pura risorsa da sfruttare senza limite alcuno. In questo senso la nostra depressione rivela la verità sulla vita stessa del mondo occidentale di cui noi facciamo parte Ahinoi!
La vita è sfinita, spossata, afflitta da una stanchezza reattiva al richiamo dell’iper-edonismo che, è meglio ricordarlo, produce anche la precarietà sociale ed economica che è il vero volto del Mezzogiorno d’Italia sotto la maschera della sua giostra maniacale.
Qualche tempo fa ho trascorso qualche giorno con Pasc cacciando coi guerrieri di Sitting Bull, nelle foreste dell’Ovest canadese, ma pian piano la nostalgia di una vita movimentata ritorna nel cuore. Ci si lascia alle spalle la realtà e si entra in un altro mondo, come tanti astronauti che posano i primi passi su terre desolate che circondano la città di Amantea. Avevo sete e così mi misi a cercare una qualche sorgente d’acqua. Ne trovai una sola, fatta di pietre scure. L’acqua era buona efresca, così mi sembrò, anche perché avevo caldo e sete.
“Se desidero un'acqua d'Europa, è la pozzanghera
“Nera e gelida, quando, nell'ora del crepuscolo,
Un bimbo malinconico abbandona, in ginocchio,
Un battello leggero come farfalla a maggio.” Rimbaud
Cari concittadini vi sembrerà strano credere con quanta tenerezza camminavo fra questi sentieri, ricordandomi passo dopo passo, di tutte le storie antiche che hanno fatto di Amantea e del suo Mare un luogo pieno di Storia e onorabilità. Storia e onorabilità di cui fa parte anche una squadra di calcio, l’Amantea 1927” che fra pococompirà Cento anni. Un secolo pieno di onori e di uomini straordinari che hanno fatto la storia straordinaria di questa squadra grazie a uomini come i fratelli Greco, Antonio Caruso (Totonno i Minichella), Settimio Perna, Rocco Capanna, Armando Andreani, Mario Rositano, Tonino Morelli, Risaia, Vincenzo Ruotolo, Pippo Gilardo e tanti altri che riempirebbero un libro per elencarli tutti.
Alla sordità di una Amministrazione comunale, verso le preoccupazioni dei suoi cittadini e alle esigenze dei giovani si sono uniti la Lega Calabrese del calcio dilettantistico, prendendo a pesci in faccia la gloriosa Blucerchiata attraverso i suoi arbitri che umiliano i calciatori dell’Amantea con le loro decisioni( Basta e avanza quello che è successo domenica sul campo di un borgo chiamato Altomonte. In undici per parte l’Amantea vinceva 2-1. Nella ripresa con un uomo in meno, l‘Altomonte finiva per vincere in dieci per 6 a 3! Inoltre Amantea 1927 ha giocato le ultime 13 partite sempre fuori sede perché, questo dicono gli Sparaballe e la televisione locale, diretta magistralmente dal Capo supremo dell’Amministrazione comunale, il campo sportivo è, (Udite! Udite!) INAGIBILE. Per ultimo non ultimo le casse della società sportiva sono vuote. Niente incassi, allo stadio; affittare campi a destra e a manca. Tutto ciò sta provocando una forte emorragia di calciatori che scappano via per poter in qualche altra più solida società.
Eppure questa ultima grande crisi,che ci attanaglia, non avrà una fine, mostra tutti i segni della gravissima patologia che affligge tutta la Calabria, insieme alla stanchezza e la disillusione delle false promesse di contentezza da parte del potere economico e politico di questa bistrattata città di quasiventimila anime.
Qualcuno nel nostro recentissimo passato aveva già messo in luce come un megalomane avesse trasfigurato il principio freudiano di realtà nel principio di prestazione. Una nuova forma di alienazione si è rivelata non solo quella relativa allo sfruttamento della forza lavoro – secondo lo schema marxista –, ma quella di una nuova forma di oppressione della vita, costretta ad essere necessariamente produttiva, liberata dai vincoli conservatori della tradizione, ma asservita ad un nuovo padrone: la necessità dell’affermazione ad ogni costo della propria individualità.
A tale proposito mi torna in mente lo scrittore algerino Albert Camus, che rifiutava l’etichetta di filosofo esistenzialista e difendeva la libertà dell’uomo con l’espressione, unicamente finalizzata a narrare e ad analizzare con la massima sincerità la propria esperienza di uomo, che non si rassegnava né all’ipocrisia di chi fingeva e finge di ignorare i mali della vita, né alla disperazione di chi teorizzava la falsa soluzione dell’autodistruzione umana.
Ebbene, la stanchezza che affligge questa nostra amata città, oggi non mostra forse il limite di questo mito antropologico? Non mostra la corda del sogno narcisistico di qualcuno di adularsi in un lurido specchio , a prescindere degli interessi altrui? Facciamo due soli esempi. Il primo è quello del disagio giovanile che non si caratterizza più per il conflitto vitale tra le generazioni, ma per uno spegnimento del sentimento della vita. Al centro non è più il disagio tra la giovinezza che avanza le sue esigenze di trasformazione del mondo e l’ordine granitico dell’esistente, ma il disagio di una vita spenta, stanca, lontana dal desiderio.
I sintomi attuali degli adolescenti che si rivolgono sempre più spesso al Centro di salute mentale, (violenza, alcoolismo, tossicomanie, dipendenza dall’oggetto tecnologico, anoressia, bulimia, isolamento, ecc.) hanno questa radice in comune: non scaturiscono più dalla dissonanza tra il desiderio e la realtà, ma da una specie di affaticamento del desiderio stesso.
L’affaticamento mostra il filo conduttore del sogno narcisistico di diventare padroni di noi stessi, di realizzare la nostra persona. Un sogno che si è infranto su di uno specchio, il giorno che siamo stati svegliati da un virus che ci ha costretti a vedere una realtà che falsamente abbiamo realizzato per conto terzi e che dobbiamo provare a leggere nel tentativo di non esserne annientati.
È pressoché impossibile disegnare uno scenario futuro univoco. Tante, troppe, sono le variabili culturali e sociali capaci di incidere su uno sviluppo di cui la tecnologia rappresenta solo la dorsale più appariscente. Una rondine non fa primavera, né un sol giorno: così un sol giorno o poco tempo non fanno nessuno beato o felice. Bisogna, dunque, sforzarsi di tener dietro a ciascun tipo di principio in conformità con la sua natura, e impegnarsi a definirlo adeguatamente. I principi, infatti, hanno un gran peso sugli sviluppi successivi: si ammette comunemente che il principio costituisce più che la metà del tutto, cioè che per suo mezzo diventano chiare molte delle cose che si vanno cercando di realizzare.
A noi resterà solo il sogno di una notte di mezz’estate, lungo una vita.
Agli altri nostri concittadini religiosi, e sono la stragrande maggioranza, resterà sempre la “Speranza”:
“Zefiro torna, e'l bel tempo rimena,
Ei fiori e l'erbe, sua dolce famiglia
E garrir Progne, e pianger Filomena,
E primavera candida e vermiglia.
Ridono i prati e'l ciel si rasserena;
Giove s'allegra di mirar sua figlia;
L'aria e l'acqua, e la terra e d'amor piena;
Ogni animal d'amar si riconsiglia.” Claudio Monteverdi
Questa volta sarò solo Gigino A Pellegrini
L’altra sera ho assistito a qualcosa che neanche uno come Bruno Vespa avrebbe mai sognato di attuare all’interno di un programma televisivo Rai. L’evento di cui mi accingo a parlare è il “programma” di una TV locale,“Zippa 29” di Amantea, in Calabria. Chi scrive ha lavorato in Rai a Roma per oltre 30 anni nel ruolo di ideatore, scrittore, regista e giornalista.
Dopo circa un’ora, ho pensato di aver assistito ad un format rivoluzionario rispetto agli standard nazionali.
Il format non contemplava più lo scontro one to one tra esponenti che avevano versioni diverse dell’ accaduto. Il politico, il Sindaco di Amantea,è stato la grande star, solista issato sulla scena televisiva, libero di dire qualsiasi cosa senza più l'incombenza di dover dimostrare a tutti i costi l'attendibilità delle proprie fandonie.La trasmissioneera ridotta a uno show in cui il conduttore e il politico erano la stessa personache ha sciorinatoun suo lungo monologo senza contraddittorio.
La telecamera, seguendo le indicazioni verbali del Conducator, mostrava un parterre de rois, composto da eminenze grigie a sostegno (senza emettere un suono proveniente dalle loro bocche), di ciò, a cui stava per dara la stura il nostro eroe!Addio al contraddittorio!
Quello che è emerso da questo monologo è un fenomeno reale e che da qui a poco potrebbe diventare molto diffuso. La “Zippa 29” potrebbe rivendicarne la primogenitura. Progressivamente andràscomparendo la trasmissione incentrata sul confronto, per fare spazio ad un vero e proprio monologo,come quello dell’altra sera con un unico attore.C'era una volta il contraddittorio in tv, ma ora non c'è più. Lontani, lontanissimi i tempi del Berlusconi vs Occhetto, che facevano presagire la nascita di un bipolarismo all'americana. Ma persino lo scontro Prodi-Berlusconi del 2006 sembra una prassi perduta nel tempo, pura preistoria televisiva.
Secondo la mia modesta opinione andrebbe verificato se esistono regole che pongono un argine ai soliloqui televisivi. Una prima indicazione, per così dire “di principio” si trova nella legge n. 28 del 2000, quella sulla par condicio, da cui si ricava in più passaggi come i politici non debbano essere i “signori dello schermo”.
Di conseguenza non può spettare a loro la scelta del “format” a cui partecipare. Allora, bisogna chiedersi se esiste una sorta di “obbligo al confronto” Forse un obbligo no, ma una forte raccomandazione sì. La legge assicura parità di condizioni “nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nelle presentazioni in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione”. Si può notare come la maggior parte delle modalità preveda appunto un confronto diretto.
Una conferma in questo senso si trova nella sentenza che qualche anno fa ha rigettato i dubbi di incostituzionalità di tale normativa. Per la Corte Costituzionale, la logica della legge sta nel diritto dei cittadini di essere informati nel modo più completo e obiettivo. Tale diritto è connesso “al corretto svolgimento del confronto politico su cui in permanenza si fonda, il sistema democratico”.
La Corte in quest’ottica ha sottolineato come nelle trasmissioni politiche “deve essere rigorosamente osservato il criterio della partecipazione in contraddittorio e del confronto dialettico tra i soggetti intervenienti, secondo il canone della pari opportunità”.
Del resto, è nella quotidianità che si può ricostruire quella normale dialettica politica quando le classi dirigenti si confrontano a viso aperto, secondo quell’insuperato modello di dialettica democratica che è il ‘QuestionTime’ a Westminster, dove ogni mercoledì il primo ministro e il leader dell’opposizione duellano uno di fronte all’altro sui grandi temi politici del Regno Unito.
Gigino A Pellegrini & G elTarik
In virtù del modo di dire “beata ignoranza”, suppongo che la curiosità faccia parte di molti di noi ma spesso viene associata ad un piccolo o grande sacrificio, cioè l’azione necessaria a togliersi quel dubbio. È molto più facile e meno stressante essere ignoranti in determinati contesti, poi dobbiamo anche considerare il contesto familiare e sociale in cui una persona cresce, se l’ambiente che ti circonda non ti da i giusti stimoli non ti viene proprio da approfondire alcun argomento, stai bene come stai, da lì “beata ignoranza”
Etimologicamente proviene dal latino “cura”, e già questo è molto indicativo: significa la partecipazione, l’attenzione, l’interessamento, la sollecitudine, riconducibile nel senso più ampio al coltivare la vita e all’amore.
“Non essere troppo curioso!“, mia madre di solito mi diceva, o “La curiosità uccide il gatto” sono frasi molto usate nel Meridione, come una specie di ammonimento, un “consiglio d’amico” o addirittura una regola educativa, che presumono una sorta di pericolo nella curiosità.
Fin da ragazzino ho sempre voluto sapere tutto o nulla. Niente compromessi. A questa mia rigida posizione passionale, la ragione è sempre stata impotente nel cercare di rispondere. Questa mia richiesta è forse all’origine della mia meridionale “malinconia”, che cerca e non trova.
La mia, di curiosità, è sempre un desiderio urgente che sento di volerne sapere di più su qualcosa. Se trovo un diario in un bar, la curiosità mi fa venir voglia di guardarci dentro, sebbene il rispetto della privacy mi spinga a non farlo.
La curiosità è lo stato dell'essere curioso: in cerca di informazioni, interessato, pronto a tutto pur di capire e conoscere qualcosa. L'etimologia della parola ha a che fare con la parola latina "cura", sollecitudine, ad indicare proprio la voglia e l'urgenza di sapere qualcosa. Se anche tu sei un essere curioso, ti invito a metterti alla prova.
Il mondo di oggi è purtroppo lo specchio dei mediocri a capo dell’irrazionale che lo “dirigono”, probabilmente verso il nulla. Se i “creativi” che, attraverso il loro “fare” da una parte, pensano di contestare la realtà, sanno, (è auspicabile) che dall’altra, ad essa si sottopongono. Meglio abbandonarmi all’oblio come fa Robert De Niro in una scena indimenticabile di “C’era una volta l’America” di Sergio Leone.
De Niro che entra in una sala di fumatori d’oppio e si toglie con grande dignità quel suo cappotto sgualcito e quel cappello sfoderato, prima di sdraiarsi e perdersi nell’oblio. In quel momento lui è la rinuncia a scoprire, a sapere. Ciò che mi rimane addosso è l’odore di quel tessuto e del vissuto che i suoi occhi socchiusi e il suo incredibile sorriso mi hanno trasmesso. Null’altro.
Gigino A Pellegrini & G elTarik