Passeggiando l’altro giorno per le vie di Corso Mazzini a Cosenza fui attratto da una locandina appesa al muro nelle vicinanze di una edicola:- Scandalo di Serra d’Aiello, chiesti 120 milioni di euro alla Diocesi-. Leggendo la notizia mi è tornato alla memoria l’antico romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga e un suo integerrimo aforisma: Ad albero caduto, accetta, accetta. La famiglia di padron ‘Ntoni aveva perso tutto, il figlio Bastianazzo, la nuora Maruzza detta La Longa, la barca “La Provvidenza”, il carico dei lupini, la casa del “Nespolo”, il disonoree tutti hanno infierito su chi era caduto in disgrazia. Sono stato colpito da questo detto. E’ facile, facilissimo ora attaccare chi è caduto in disgrazia. Dopo tanti anni, ce ne eravamo quasi del tutto dimenticati, è venuto alla luce lo scandalo dell’Istituto di Serra d’Aiello “Papa Giovanni XXIII°”, istituto ardentemente voluto, fondato e diretto con tanto amore e dedizione dal defunto sacerdote Don Giulio Sesti Osseo, originario di Belmonte Calabro. Io l’ho conosciuto questo sacerdote, ero un Aspirante dell’Azione Cattolica, quando venne a San Pietro in Amantea la prima volta a celebrare una Santa Messa nella Chiesa della Madonna delle Grazie dopo la sua ordinazione sacerdotale. Era molto amico del parroco Don Giovanni Posa e la famiglia Sesti Osseo aveva parenti anche in paese. E quando venne per la seconda volta, dopo l’allontanamento dalla struttura da lui fondata, ad inaugurare sempre a San Pietro in Amantea, una piccola struttura denominata “Il Resto” che accoglieva pazienti provenienti dalla struttura di Serra d’Aiello. Si fermò in paese alcuni giorni e celebrò le Sante Messe nella parrocchia di San Bartolomeo Apostolo in attesa che venisse nominato parroco. Non solo non venne nominato parroco, ma questa struttura dopo alcuni anni, morto don Giulio, subì la stessa sorte del Papa Giovanni. Chiusa e abbandonata. L’Istituto di Serra d’Aiello fondato da don Giulio fu chiuso e poi venne dichiarato fallito nel lontano 2009. Sono passati diversi anni. Molti pazienti furono ospitati in altre strutture regionali e provinciali, i dipendenti, tanti, tanti, furono licenziati. Alcuni si sono riciclati ed hanno trovato lavoro nelle varie cliniche private e negli ospedali. La maggior parte fu costretta ad emigrare. Ora, dopo 15 anni, è ritornato lo scandalo, il debito milionario e l’inchiesta giudiziaria che portò all’arresto e alla condanna Don Alfredo Luberto, amministratore della struttura per conto della Archidiocesi di Cosenza-Bisignano. Chiuso l’Istituto, allontanati i malati e i ricoverati, licenziati i dipendenti, sono rimasti solo i debiti accumulati che vennero messi all’asta nel 2019, cinque anni fa. Nel 2020 sono stati acquistati da una società italo belga con sede a Roma e adesso il suo avvocato ha chiesto all’Archidiocesi di Cosenza-Bisignano il pagamento di 120 milioni di euro. Il Papa Giovanni non solo è fallito, non solo ha dovuto chiudere i battenti, non solo ha dovuto allontanare i suoi tanti dipendenti che avevano finanche costruito le loro case nelle vicinanze della struttura, ora dovrà pure pagare i debiti accumulati durante la dissennata gestione di don Luberto. Allora è vero come disse Verga: Ad albero caduto, accetta, accetta.
“Colombina la messaggera cerca, cerca la Primavera
la più bella che ci sia me la voglio portare via.
Ecco qui che l’ha trovata, tutta bella incipriata
con le scarpe di cioccolata, Colombina vuol ballar.
E’ la sera di Carnevale, Colombina vuol ballare
e si fece accompagnare da un vecchio Barbablù
che saresti proprio tu.”
In uno dei suoi Dialoghi, Luciano di Samosata immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi e che uno scrupoloso acquirente interroghi ad uno ad uno i sapienti delle diverse scuole, per saggiare l'opportunità dell'acquisto. E così, dopo aver interrogato Pitagora e Diogene, l’estroso compratore si trova di fronte ad uno spettacolo che lo colpisce: i due filosofi che Giove e Mercurio magnificano per la loro saggezza gli appaiono uniti da un singolare contrasto poiché l'uno continuamente ride, l'altro invece piange.
Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e, risibili, debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo cerca di insegnare agli umani.
Al riso del filosofo cui la ragione consiglia di prendere commiato dalle passioni del mondo fa da contrasto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire umano che non riesce a scostare gli occhi dalla fugacità degli eventi, e che nel tempo, travolge tutte le cose, avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel differenziato da colori e schiamazzi.
Il Carnevale! La soluzione a tutti i mali. Il toccasana dei poveracci. Il Santo di tutti i santi! Inoltre. il carnevale è considerata la festa dell'allegria per eccellenza. Uomini e donne di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po' di felicità.
Lo scherzo "vale" ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati, da chi può, vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire. Prima però si celebra il rito della Estrema Unzione del Carnevale alla vigilia del Martedì grasso, ultimo giorno di festa, e preannuncia l’avvento di astinenza e penitenza della Quaresima a cui ci si sottopone.
Una volta, per l’occasione, si metteva in scena una singolare mascherata: una banda di finti sacerdoti sfilava per le vie della città e impartiva una bizzarra benedizione, recitando in vernacolo la vita del morente Carnevale. La processione, dalle prime ore della sera fino a notte fonda, vagava per piazze e locali. E si arrivava così al Funerale del Carnevale, cioè al Martedì grasso segnando la fine delle licenze carnevalesche.
I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio di cartapesta, oggi tanto caro al Konducator della festa, che rappresenta allo stesso tempo sia il Potere di un auspicato e mai pago mondo di "cuccagna", sia il capro espiatorio dei mali dell'anno passato.
La fine violenta del fantoccio porrà fine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e malefatte. Tutti gli Amanteani andranno a dormire a notte fonda quel Martedì e il mercoledì ci si sveglierà e Amantea come l’araba Fenicia, un po' acciaccata, risorgerà dalle ceneri . L'araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione, si dice infatti "come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri".
Dopo aver vissuto 500 anni, con i ramoscelli di una quercia, si costruiva un nido sulla sommità di una palma, ci accumulava cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandonava sopra, si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme. Chiaramente, oggi, l’ultima parte è stata rimossa. La Fenice nell’antichità annunciava il ritorno di ricchezza e fertilità dopo che la forza dell’acqua del Nilo invadendo la terraferma, offriva nuovo vigore e perciò nuovi raccolti per sfamare ed arricchire i ricchi.
Amantea come l’Araba Fenice, imparerà dalle sconfitte ed “errori” per diventare vincente, anche senza il Nilo? Qualcuno mi ha raccontato che alla fine della sfilata dei “Carri” i sudditi incontreranno il Konducator che, con voce solenne, dovrebbe rassicurali nel far risorgere la Città come la Fenice. Un lungo applauso concluderà la serata con l’abbuffata di frittate, rape e salsicce, il tutto bagnato con il nuovo vinello.
Gigino A Pellegrini & G el Tarik
Continua senza sosta l’attività di controllo e prevenzione da parte degli uomini e delle donne della Guardia Costiera di Vibo Valentia su tutta la filiera ittica.
Nel corso del fine settimana, nell'ambito delle attività di monitoraggio degli specchi acquei e dei controlli sulla filiera della pesca, il personale della Capitaneria di porto ha sanzionato un venditore ambulante nel Comune di Gizzeria per detenzione di circa 25 kg di prodotto ittico non tracciato e quindi derivante da un’attività di pesca irregolare, contraria alle normative di settore. Il prodotto, una volta constatato da parte del personale sanitario il buono stato di conservazione, è stato devoluto in beneficienza.
Nella stessa giornata, nel golfo di Lamezia, i mezzi navali della Guardia Costiera hanno sanzionato i conduttori di due barche da diporto per detenzione illecita di reti da pesca. Gli attrezzi irregolari sono stati sequestrati ed ai trasgressori è stata irrogata una sanzione amministrativa.
Per tutti gli illeciti accertati, oltre ai sequestri, sono state elevate nel complesso plurime sanzioni amministrative per un ammontare complessivo di € 3.500.
Le attività di controllo da parte della Guardia Costiera continueranno nei prossimi giorni, sia via terra che via mare, al fine di garantire la sicurezza della navigazione ed il contrasto della pesca illegale.