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banchiIn una vecchia scatola di latta che era custodita in un comodino della camera da letto di mia madre ho trovato un Certificato di studio datato 16 giugno 1942 Anno XX Era Fascista : L’alunno Gagliardi Francesco ha completato gli studi di grado inferiore. E una vecchia foto, ingiallita dagli anni. Indossavo la divisa di Balilla. Come tutti i ragazzi che frequentavano la scuola elementare anche io entrai nella organizzazione giovanile fascista. La classe Prima Sez.A mista nell’anno scolastico 1938-1939 era formata da 46 alunni. Moltissimi erano ripetenti. Durante l’anno gli alunni delle Contrade abbandonavano la scuola e si dedicavano ai lavori dei campi. Apertura Anno Scolastico: 16 settembre 1939. Chiusura: 31 maggio 1940. Gli scolari meno abbienti erano assistiti dal Patronato con libro e quaderni. Forniti dalla divisa del’O.N.B. 8 alunni. Tutti gli alunni erano iscritti all’organizzazione giovanile fascista, col nome di Figli della Lupa, Balilla e Piccole Italiane. La mia tessera recava il numero 512256. La maestra di prima elementare era la Signora Adele Mazziotti in Politano. L’aula scolastica era ubicata in Via Michele Bianchi. Ricordo e rivedo la mia aula scolastica dove ho imparato a leggere e a scrivere, i compagni di classe. Molti dei quali con la testa rapata a zero non solo per paura dei pidocchi ma anche per risparmiare il taglio dei capelli. Quanti sogni, quante speranze, quanta innocenza! Da grande sono ritornato in quell’aula stretta, fredda e buia. Quanti ricordi. Se chiudo gli occhi rivedo i miei compagni di allora: Vitaliano, Giacomino, Delfino, Silvio, Natuzzo, Turillo, Emilio, Fiorello, Giovanni, Mario, Tristano. Quasi tutti emigrati poi all’estero alla fine della guerra. Tutti morti. Quanti dolci e tristi ricordi! E’ entrata nella nostra aula la mamma di una nostra compagna ammalata.E’ venuta a giustificare l’assenza della figlia. La maestra Politano la fa accomodare e ascolta con affettuoso interesse ciò che le dice. La maestra la rincuora e le dà qualche consiglio utile. Intanto, incuranti della presenza di un adulto in classe, parliamo fra noi. La maestra ci osserva con la coda dell’occhio. C’è chi fa il topo col fazzoletto, chi fa i versacci a un compagno lontano, chi tira pezzetti di carta e chi fa la guerra con le righe da disegno. Le vie del paese, sempre silenziose, una mattina di dicembre del 1939, sono state allietate dal canto gioioso dei ragazzi della scuola elementare che cantando a squarciagola si recavano in Piazza IV Novembre davanti al Monumento ai Caduti in Guerra. “Le nostre voci, calde e limpide, come questo cielo ridente, sono salite leggere lassù, dove i nostri gloriosi Caduti forse vedranno da vicino il piccolo e modesto tintoretto (Da cronaca della scuola). Il Balilla G.B. ha recitato una poesia e poi ha ricevuto dal Segretario Politico un premio dopo aver letto la motivazione. La maestra si commuove. Il Balilla lo scorso anno è stato suo alunno. “Quando un ragazzo è passato sui miei banchi, me lo sento un po’ figlio, anche dopo. E sono contenta se vedo i frutti del mio buon seme, mentre soffro se invece questi deviadalla diretta strada. E nel segreto del mio intimo me ne fo’ quasi una colpa, se quella ragazza non è diventata la dolce e virtuosa donna utile alla Patria e cara a Dio”. Un giorno fummo interrotti da alcune alunne di quartaclasse che vennero a salutare la maestra dello scorso anno. Ancora oggi, a distanza di 85 anni, ricordo i miei cari compagni di scuola e di giochi. Vitaliano che mi faceva giocare allu “Strumbulu”. Delfino che mi dava qualche passaggio in “carrozza”, Tristano che mi faceva le boccacce, Marcello che mi faceva guardare la raccolta dei francobolli, Salvatore e Luigi e Marioche abitavano in campagna e quando d’inverno faceva molto freddo avevano le mani e i piedi pieni di geloni. E Giovanni che con la fionda che teneva nascosta nella cartella di legno un giorno tirò un colpo contro la carta geografica e fece un buco sulla Calabria. E poi Pierino, Gregorio, Ciccio che dentro le tasche dei pantaloni portavano ogni giorno a scuola fischietti di canna, bulloni, chiodi, scatole di cromatina vuote, temperini, pane e fichi secchi. E tutti d’inverno quando faceva davvero freddo e la stanza non era riscaldata, con il fiato tentavamo di scaldare le punte delle dita ed eravamo costretti a stare col cappotto e con la sciarpa al collo.

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amantea mareeeIn questo rovente Agosto, mi tornano alla mente frammenti di pensieri, stelle cadenti. E poi, e poi…la nascita del padre degli Dei. Il Pargolo, per volere della madre Rea, fu nascosto in una ‘Grotta’ per sfuggire alla fame divoratrice del padre Cronos.

Nella Grotta protetta da piante di banano, Zeus venne nutrito con latte caprino e miele, dalla Ninfa Amantea e dalla Ninfa Melissa. Crono è stato anche il precursore di una terribile malattia la "sindrome di Crono", la patologia psichica di un padre che desidera, o addirittura esegue, l'omicidio di un proprio figlio. Così come suo padreUrano, infatti, anche Crono voleva uccidere i suoi figli. Un oracolo gli aveva predetto che uno dei suoi neonati, una volta cresciuto, lo avrebbe prima o poi spodestato. Per impedire questo, essendo anch'essi degli immortali e non potendo semplicemente ucciderli, appena nati li ingoiava.

Un giorno però sua moglieRea, incinta di Zeus, decide di partorire di nascosto, consegnando a Crono una pietra che quest'ultimo divorerà pensando che sia il proprio ultimo figlio. Sarà proprio Zeus, una volta cresciuto, a spodestare Crono, divenendo il re dell'Olimpo.

Diventato adulto, il Dio dell’Olimpo, decise di premiare le sue meravigliose nutrici, trasformando la prima in Capra la seconda in Ape. Lo stesso si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi cinesi.

Dopo l’istante magico, di un lontano 28 agosto, in cui i miei occhi si aprirono per la prima volta sul mare di Ulisse grazie alla respirazione bocca a bocca della nordica “Mammana”, non mi è stato più possibile vedere, pensare, vivere come in quello spazio ristretto del ventre di mia madre.

Tu, grande Mare sei diventato la mia musica, e simile alle Tue fattezze, dove contieni e susciti tutti i sogni della mia anima. Questo mio cuore è molto simile alle tue tempeste, le tue maree; e nelle Tue profondità vi si trova anche qualche piccola perla che in passato emerse prepotentemente, 'Nimpha quasi per arenamcurrens': Amantea.

All’interno del borgo antico di Amantea, questo è il nome della Perla, si diramano piccole stradine che trasportano all’interno i sapori e i profumi del mare, seguite da ripide scalinate che terminano direttamente sul mare di Ulisse. Il tutto, attorniato da alti caseggiati suggestivi e pieni di colore. La città è sormontata, in cima alla vetta di un promontorio, dall’antica chiesa di San Francesco e dall’imponente castello Normanno, i quali, permettono una veduta mozzafiato del paesaggio sottostante.

Impossibile non lasciarsi cullare dal suono delle onde che si infrangono sugli scogli di Coreca, creando un ambiente di riflessione e di tranquillità.

Ad esserne affascinato fu anche il famoso scrittore anglo-tedesco Norman Douglas , conosciuto dal grande pubblico semplicemente con il nome del suo inno d’amore “Vecchia Calabria”. Vorrei tanto che qualcuno dedicasse la via dove sono nato a quest’uomo che amò tanto questa terra di Calabria, da percorrerla a piedi ben due volte subito prima della Grande guerra.

Oggi, l'Omerico mare, che bagna Amantea, oltre che una risorsa per i residenti, per i quali sarebbe assurdo andarsene in vacanza in altre località marine, lo è anche per una città, come la nostra, che vuol fare del turismo il settore trainante delle propria economia. La cittadinanza e gli addetti al settore commerciale, artigianale, alberghiero e balneare dovrebbero indignarsi e ribellarsi sul come è stata maltrattata e continua ad esserlo, questa ‘Perla’. Dai propri figli dovrebbe nascere un’azione finalizzata a scuotere questa “Amministrazione” e gli organi deputati al controllo del territorio. In modo duro e risoluto, i cittadini dovrebbero ribellarsi a questa “classe dirigente” che continua a mandare in giro “Sparaballe” a divulgare il verbo del tutto OK! : “ Si tratta di stupide leggende metropolitane. Non si può parlare per sentito dire. Non possiamo più tollerare interventi di un folle che parla di cose che non sa. 

Gigino A Pellegrini

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gigino pelTristemente in questi lunghi mesi di post-pandemia ho scoperto che un considerevole numero di Amanteani fa parte, anche senza saperlo, della fabbrica degli ignoranti, cioè di quell'insieme di persone che ha tutto l'interesse a tenere per sé stessi le nozioni apprese nel corso degli anni, e a far apprendere agli altri esattamente l'opposto di quello che si ritiene utile per sé stessi.

E' la tecnica della bugia, dell'imbroglio, della truffa, dell'inganno. Il che mi porta a dire che in questi tempi di menzogna universale, dire la verità può diventare un atto rivoluzionario e dunque pericoloso per il sistema.

Ho una gran voglia di chiedere ai bugiardi e ai loro seguaci ignoranti, cosa pensano della verità. La potenza della menzogna è evidente e andrebbe semplicemente riconosciuta. Spesso invece noi ci aggrappiamo alla menzogna della “forza della verità” e ci rifiutiamo di ammettere la verità della “forza della menzogna”.

La forza della menzogna risiede nel suo potere di ricreare la realtà, di plasmarla a piacimento, di manipolare altre persone inducendole a credere e a fare ciò che noi vogliamo in base alle nostre menzogne. L’uomo sente il proprio potere molto più mentendo che dicendo la verità, che attenendosi alla faticosa e opaca adesione e corrispondenza tra le parole e i fatti. Grazie ai bugiardi che hanno sparso la notizia in tutto il mondo attraverso i media, Amantea è diventata “razzista” e “mafiosa”.

Per allontanarmi da questa dura realtà in Calabria, ho fatto un breve viaggio a Salerno dove proiettavano un piccolo grande film americano dal titolo: Leave No Trace “Senza lasciare traccia” della 55enne regista americana Debra Granik. Il film si sviluppa in una foresta dell’Oregon.  Nel bosco, ben attenti a non farsi infastidire, vivono tranquilli Will e Tom: lui è un ex militare statunitense affetto da stress post-traumatico, rimasto vedovo; lei, nonostante il nome che suona maschile, è la figlia adolescente, cresciuta in quella che gli americani chiamano “wilderness”, ma abbastanza colta per la sua età.

Padre e figlia vivono in autarchia nella foresta.  Due persone intrecciate e profondamente agganciate l’una all’altra fino a fondersi e a volte confondere le loro posizioni relazionali esplorando al massimo il concetto di autosufficienza. Dal vivere in città si riconoscono alcuni oggetti ma utili, coltelli, sacchi a pelo, una tenda a ridosso di una piccola grotta per ripararsi, pentole, un fornello a gas, anche una doccia artigianale. Ogni tanto scendono in città per rifornirsi di cibo, Will vende ad altri reduci gli psicofarmaci che gli passa il governo, e se ne tornano tra gli alberi. Finché non vengono scoperti, un po’ per caso.

Limitando il più possibile i loro contatti con il mondo moderno, padre e figlia formano una famiglia atipica e molto unita. Quando vengono costretti ad abbandonare il loro rifugio, ai due vengono offerti una casa, una scuola e un lavoro. Tuttavia, mentre il padre fa fatica ad adattarsi, Tom scopre con curiosità la nuova vita. È forse giunto per lei il tempo di scegliere tra l'amore filiale e questo nuovo mondo che la sta chiamando.

La “traccia” il film l’ha lasciata nel mio animo mentre me ne tornavo pensieroso verso la Calabria. A far capolino nella mia ormai poca memoria servì l’aiuto di un forte temporale sulla Salerno- Reggio Calabria che sollecitò ciò che Shakespeare scrisse nella sua “Tempesta”: "Vuoto è l'Inferno" Tutti i demoni sono qui!"

Gigino A Pellegrini

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