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braccio di ferroNel passato qualcuno (mio padre) voleva a tutti i costi farmi nascere, crescere e diventare capitano di lungo corso su un veliero sull’oceano Indiano, cercatore di pepite d’oro nei fiumi del Klondike e scrittore in Argentina, la terra di J. L. Borges. Sembrava così vero che a volte finivo per credere che fosse vero.

I sogni di quel qualcuno mi costrinsero a varcare l’Atlantico a bordo di una nave di crociera che si trovò a passare dal porto di Napoli il giorno del funerale di Totò nel mese di aprile del 1967. I risultati di quella costrizione mi resero libero. Di questo gliene sarò sempre grato.

Un sogno, che non faccio più da decenni, era la trasformazione del mondo in cui ero nato e la valorizzazione degli “umili” (questo termine certamente mutuato da Antonio Gramsci) che non poteva essere altro che il sabotare tutto ciò che veniva imposto. Come si doveva riuscire a concretizzare quella concezione di un mondo nuovo e senza lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo?

Bisognava, innanzitutto, organizzarsi usando un metodo per la trasformazione sociale che di per sé era già strumento di conoscenza. L’obiettivo era l’esaltazione del valore d’uso del lavoro contro i "regimi politico-sociali fondati sul sistema capitalistico di produzione, in cui la classe dirigente è espressione delle forze economiche sfruttatrici e dominanti." Concetti che sedussero Filippo in una calda giornata di agosto di un secolo fa.

A quelli che, per esempio, ben poco sapevano sull'operato in Africa da parte di noi occidentali, consiglierei vivamente la lettura di "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, un polacco che scriveva in inglese.

"Cuore di tenebra" è stato spesso interpretato sia come un atto di accusa al colonialismo occidentale sia come un percorso di introspezione psicologica nell’animo umano, alla ricerca delle radici del Male e delle sue motivazioni.

La scelta di Conrad è stata quella di fare di queste due dimensioni le parti del “Cuore di tenebra” che Marlow, partito come avventuriero al soldo di una compagnia commerciale, scoprirà poco a poco durante la risalita del fiume.

Il punto è che questa scoperta non è affatto neutrale e senza conseguenze. Da un lato, sul piano storico, è una severa denuncia degli orrori nascosti su cui si regge l’economia e il benessere del “mondo civilizzato”: Kurtz (e la Compagnia per suo tramite) si arricchiscono sfruttando ciecamente le risorse dell’Africa da una posizione di potere politico e militare; le norme di Kurtz sullo sterminio dei nativi sono il punto d’arrivo finale ed estremo di una logica perversa di dominio.

D’altro canto, la ricerca di Kurtz da parte di Marlow porta in superficie tutta l’ambiguità affascinante del lato oscuro dell’umanità occidentale; i contorni tra Bene e Male cominciano a sfumare a mano a mano che si procede verso la verità, tanto che la figura di Kurtz - centro gravitazionale del “Cuore di tenebra” romanzo - è ammantata da un’aura irresolubile di ambiguità, cui Marlow non riesce a sottrarsi.

Durante il ritorno, mentre anche Marlow s’ammala gravemente, Kurtz muore, consegnando al protagonista alcune carte e una fotografia, mormorando solo “L’orrore! L’orrore!”.

Dal capolavoro di Conrad, Francis Ford Coppola ne ha tratto un film. "ApocalypseNow". E' una discesa lungo un fiume che pare conduca agli inferi, e c’è Coppola che ci porta in una giungla abbandonata dal mondo eppure ricca di fascino misterioso («Il limitare di una giungla colossale, di un verde così scuro da sembrare quasi nero, orlato dal bianco della risacca, correva dritto, come tracciato con la riga, lontano, lontano lungo un mare azzurro il cui scintillio era offuscato da una foschia strisciante»); c'è Kurtz, un uomo notevole. “Lui aveva qualcosa da dire. E lo disse”.

Un magnifico oratore, un “genio universale”. “È l'emissario della pietà, della scienza, del progresso e il diavolo sa di quante altre cose”. Un estremista, uno al quale non si parla ma che sarebbe preferibile ascoltare; ci sono morte, follia e menzogna che si mescolano fino a diventare un'unica cosa

“Nella menzogna c'è un odore di morte, di corruzione della carne, che ricorda ciò che fa più orrore al mondo e che si cerca di dimenticare”.

Ci sono anche il volto imbrattato di Martin Sheen che esce dalle acque paludose e quello di Marlon Brando che lentamente buca l'oscurità, Coppola e Storaro che fanno una fugace comparsata (come membri di una troupe televisiva), Robert Duvall che imperturbabile vuole praticare il surf in mezzo ai bombardamenti, il fotoreporter Dennis Hopper che riconosce la potenza visionaria di Kurtz :“La sua mente è lucidissima, ma la sua anima è matta”, Harrison Ford in una piccola parte e un giovanissimo Laurence Fishburne (sarà Morpheus nella saga di Matrix); c'è Jim Morrison con la canzone "The end".

Geniale cominciare il film con quella canzone) e la “Cavalcata delle valchirie” di Wagner, a sottolineare la notissima scena dei bombardamenti, con la musica “sparata” ad alto volume dagli amplificatori montati sugli elicotteri da guerra. E poi ancora Kurtz, “ombra più tenebrosa dell'ombra della notte”, e l'insieme di dubbi e ripensamenti che lascia in chi lo ha incontrato. “Marlow tacque e rimase seduto in disparte, indistinto e silenzioso, nella posa di un Budda in meditazione”. Infine l'orrore, ancora lui che ritorna. “L'orrore”!

Sulla lapide di mio padre, presso il cimitero di Amantea, OGGI si legge: “Arriverà la Primavera col profumo dei fiori e il volo delle rondini”.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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Istituto-Papa-GiovanniPasseggiando l’altro giorno per le vie di Corso Mazzini a Cosenza fui attratto da una locandina appesa al muro nelle vicinanze di una edicola:- Scandalo di Serra d’Aiello, chiesti 120 milioni di euro alla Diocesi-. Leggendo la notizia mi è tornato alla memoria l’antico romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga e un suo integerrimo aforisma: Ad albero caduto, accetta, accetta. La famiglia di padron ‘Ntoni aveva perso tutto, il figlio Bastianazzo, la nuora Maruzza detta La Longa, la barca “La Provvidenza”, il carico dei lupini, la casa del “Nespolo”, il disonoree tutti hanno infierito su chi era caduto in disgrazia. Sono stato colpito da questo detto. E’ facile, facilissimo ora attaccare chi è caduto in disgrazia. Dopo tanti anni, ce ne eravamo quasi del tutto dimenticati, è venuto alla luce lo scandalo dell’Istituto di Serra d’Aiello “Papa Giovanni XXIII°”, istituto ardentemente voluto, fondato e diretto con tanto amore e dedizione dal defunto sacerdote Don Giulio Sesti Osseo, originario di Belmonte Calabro. Io l’ho conosciuto questo sacerdote, ero un Aspirante dell’Azione Cattolica, quando venne a San Pietro in Amantea la prima volta a celebrare una Santa Messa nella Chiesa della Madonna delle Grazie dopo la sua ordinazione sacerdotale. Era molto amico del parroco Don Giovanni Posa e la famiglia Sesti Osseo aveva parenti anche in paese. E quando venne per la seconda volta, dopo l’allontanamento dalla struttura da lui fondata, ad inaugurare sempre a San Pietro in Amantea, una piccola struttura denominata “Il Resto” che accoglieva pazienti provenienti dalla struttura di Serra d’Aiello. Si fermò in paese alcuni giorni e celebrò le Sante Messe nella parrocchia di San Bartolomeo Apostolo in attesa che venisse nominato parroco. Non solo non venne nominato parroco, ma questa struttura dopo alcuni anni, morto don Giulio, subì la stessa sorte del Papa Giovanni. Chiusa e abbandonata. L’Istituto di Serra d’Aiello fondato da don Giulio fu chiuso e poi venne dichiarato fallito nel lontano 2009. Sono passati diversi anni. Molti pazienti furono ospitati in altre strutture regionali e provinciali, i dipendenti, tanti, tanti, furono licenziati. Alcuni si sono riciclati ed hanno trovato lavoro nelle varie cliniche private e negli ospedali. La maggior parte fu costretta ad emigrare. Ora, dopo 15 anni, è ritornato lo scandalo, il debito milionario e l’inchiesta giudiziaria che portò all’arresto e alla condanna Don Alfredo Luberto, amministratore della struttura per conto della Archidiocesi di Cosenza-Bisignano. Chiuso l’Istituto, allontanati i malati e i ricoverati, licenziati i dipendenti, sono rimasti solo i debiti accumulati che vennero messi all’asta nel 2019, cinque anni fa. Nel 2020 sono stati acquistati da una società italo belga con sede a Roma e adesso il suo avvocato ha chiesto all’Archidiocesi di Cosenza-Bisignano il pagamento di 120 milioni di euro. Il Papa Giovanni non solo è fallito, non solo ha dovuto chiudere i battenti, non solo ha dovuto allontanare i suoi tanti dipendenti che avevano finanche costruito le loro case nelle vicinanze della struttura, ora dovrà pure pagare i debiti accumulati durante la dissennata gestione di don Luberto. Allora è vero come disse Verga: Ad albero caduto, accetta, accetta.

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“Colombina la messaggera cerca, cerca la Primaverafrittata2

la più bella che ci sia me la voglio portare via.

Ecco qui che l’ha trovata, tutta bella incipriata

con le scarpe di cioccolata, Colombina vuol ballar.

E’ la sera di Carnevale, Colombina vuol ballare

e si fece accompagnare da un vecchio Barbablù

che saresti proprio tu.”

In uno dei suoi Dialoghi, Luciano di Samosata immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi e che uno scrupoloso acquirente interroghi ad uno ad uno i sapienti delle diverse scuole, per saggiare l'opportunità dell'acquisto. E così, dopo aver interrogato Pitagora e Diogene, l’estroso compratore si trova di fronte ad uno spettacolo che lo colpisce: i due filosofi che Giove e Mercurio magnificano per la loro saggezza gli appaiono uniti da un singolare contrasto poiché l'uno continuamente ride, l'altro invece piange.

Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e, risibili, debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo cerca di insegnare agli umani.

Al riso del filosofo cui la ragione consiglia di prendere commiato dalle passioni del mondo fa da contrasto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire umano che non riesce a scostare gli occhi dalla fugacità degli eventi, e che nel tempo, travolge tutte le cose, avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel differenziato da colori e schiamazzi.

Il Carnevale! La soluzione a tutti i mali. Il toccasana dei poveracci. Il Santo di tutti i santi! Inoltre. il carnevale è considerata la festa dell'allegria per eccellenza. Uomini e donne di ogni ceto sociale si recano a balli in maschera e sfilate variopinte, cercando di liberare la fantasia e di catturare un po' di felicità.

Lo scherzo "vale" ed il commercio che vi è connesso raggiunge il suo apice; vengono acquistati, da chi può, vestiti da indossare solo per qualche giorno, poi, come ogni anno, rimangono soltanto piazze e strade da ripulire. Prima però si celebra il rito della Estrema Unzione del Carnevale alla vigilia del Martedì grasso, ultimo giorno di festa, e preannuncia l’avvento di astinenza e penitenza della Quaresima a cui ci si sottopone.

Una volta, per l’occasione, si metteva in scena una singolare mascherata: una banda di finti sacerdoti sfilava per le vie della città e impartiva una bizzarra benedizione, recitando in vernacolo la vita del morente Carnevale. La processione, dalle prime ore della sera fino a notte fonda, vagava per piazze e locali. E si arrivava così al Funerale del Carnevale, cioè al Martedì grasso segnando la fine delle licenze carnevalesche.

I festeggiamenti culminavano solitamente con il processo, la condanna, la lettura del testamento, la morte e il funerale di un fantoccio di cartapesta, oggi tanto caro al Konducator della festa, che rappresenta allo stesso tempo sia il Potere di un auspicato e mai pago mondo di "cuccagna", sia il capro espiatorio dei mali dell'anno passato.

La fine violenta del fantoccio porrà fine al periodo degli sfrenati festeggiamenti e malefatte. Tutti gli Amanteani andranno a dormire a notte fonda quel Martedì e il mercoledì ci si sveglierà e Amantea come l’araba Fenicia, un po' acciaccata, risorgerà dalle ceneri . L'araba fenice è divenuto il simbolo della morte e risurrezione, si dice infatti "come l'araba fenice che risorge dalle proprie ceneri".

Dopo aver vissuto 500 anni, con i ramoscelli di una quercia, si costruiva un nido sulla sommità di una palma, ci accumulava cannella, spigonardo e mirra, e ci s’abbandonava sopra, si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme. Chiaramente, oggi, l’ultima parte è stata rimossa. La Fenice nell’antichità annunciava il ritorno di ricchezza e fertilità dopo che la forza dell’acqua del Nilo invadendo la terraferma, offriva nuovo vigore e perciò nuovi raccolti per sfamare ed arricchire i ricchi.

Amantea come l’Araba Fenice, imparerà dalle sconfitte ed “errori” per diventare vincente, anche senza il Nilo? Qualcuno mi ha raccontato che alla fine della sfilata dei “Carri” i sudditi incontreranno il Konducator che, con voce solenne, dovrebbe rassicurali nel far risorgere la Città come la Fenice. Un lungo applauso concluderà la serata con l’abbuffata di frittate, rape e salsicce, il tutto bagnato con il nuovo vinello.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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