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giggino pellL'unico modo per conoscere davvero i problemi è accostarsi a quanti vivono quei problemi e trarre da essi, da quello scambio, le conclusioni. Non è facile raccontare la vita di un emigrante se prima non viene sperimentata sulla propria pelle la sensazione di sentirsi sconosciuto in un Paese straniero. Conoscere bene le situazioni… i sentimenti, i problemi che possono nascere a chiunque abbia provato almeno una volta a trovarsi lontano da casa, non circondato dagli amici di sempre e dal proprio mondo.

Emigrare in Canada a venti anni un po' per curiosità ma soprattutto per mancanza di opportunità è stato un evento speciale e determinante. Non tutte le persone che ci circondano sono compatibili con ciò che siamo, con ciò che facciamo, con ciò che vogliamo fare. Proprio per questo bisogna impegnarsi per circondarsi delle migliori persone con cui vorremmo avere a che fare, sia lavorativamente che nella vita privata, a costo di cambiare ciò che si fa per attirare quel tipo di persone.

“Le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non importava, la strada è la vita.” Jack Kerouac.

Questo breve scritto è dedicato a tutti gli emigranti, ma anche a tutte le quelle persone che hanno sacrificato molto per cercare qualcosa di nuovo. A tutti coloro che si sono sentiti emigranti almeno una volta nella vita. Il destino di uno può essere il destino di tanti, come il dolore, anestetizzato dalla frenesia del momento della partenza, che si prova e che è sicuramente il sottofondo dell'esistenza.

Il dolore ti fa arrabbiare così tanto da farti decidere di essere felice a tutti i costi, cosa che implica l'essere in uno stato di guerra perenne con te stesso perché in quei momenti dell'abbandono ci si sente soli e deboli. Inutile armarsi contro quel dolore, perché è uno dei migliori modi per essere certi che tornerà e in fretta.

In situazioni cosi concitate come può essere l’addio in una stazione ferroviaria, il dolore appare all'improvviso, per caso. E non abbandonerà la preda prima di averla segnata a dovere. Sarà un marchio indelebile.

“Guardare ogni giorno

Se piove o c'è il sole

Per saper se domani

Si vive o si muore

E un bel giorno dire basta e andare via.” Luigi Tengo

Alcuni dicono che dal dolore della separazione si impara, e se ne ricavano lezioni positive. Il dolore è una sicurezza a cui ci si può affezionare e quanto più accadrà tanto più ci si troverà distante da tutti.

Infine, il dolore del distacco dai luoghi e dalle persone care è qualcosa che gli altri sentono, come un cattivo odore e li porta ad allontanarsi, a meno che non abbiano motivi per star vicino alla persona che emana quell'odore. E, a volte, i motivi possono essere perversi e tremendi.

Oggi tutto sembra ridursi a cifre lasciando, per altro verso, che la vita quotidiana in molte persone si tinga di precarietà e di insicurezza. Quante volte si è ascoltato qualcuno richiamare l'importanza del lavoro che dà dignità alle persone, condannando gli abusi verso i lavoratori precari. Forse la chiave di lettura utilizzata potrebbe essere valida, alla luce della nostra quotidianità, dove ci imbattiamo ogni giorno in questo tipo di problemi e dinamiche, i migranti e il loro sogno d’integrazione, le loro esigenze e le nostre leggi, la nostra troppo corta memoria delle cose e delle situazioni dovrebbero, invece aprirci una porta alla comprensione, renderci più masticabile la pillola amara, permetterci di capire.

Ho incontrato tanta gente infelice che tuttavia non assumeva nessun’iniziativa di cambiare la propria situazione. Lasciavo sul molo di Napoli, l'immobilismo, molto diffuso nel Mezzogiorno. Nel film “I Basilischi”del 1963, Lina Wurtemuller riesce, in maniera divertente ma efficace, a sottolineare un modo d’essere di noi meridionali. Bellissima la frase finale del film: "E così il suo trasferimento a Roma diventò solo uno dei tanti argomenti su cui chiacchierare, come anche il progetto della cooperativa per produrre i salamini. Perché è questo che si fa qui... si chiacchiera..."

Forse perché non riuscivo ad accettare passivamente la sicurezza, il conformismo, il tradizionalismo, tutte cose che sembravano assicurare la pace dello spirito, ma per l’animo irrequieto di un giovane uomo non esisteva nulla di più devastante di un futuro certo. Ero convinto, e in parte lo sono ancora, che la gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte costantemente mutevole.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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resa dei contiDoomsday è un gioco di sopravvivenza a tema zombie con competizione online multigiocatore ed elementi di strategia in tempo reale. Ambientato in un futuro prossimo in cui gli zombie hanno conquistato il mondo, i sopravvissuti devono lottare per le loro vite e per il futuro dell'umanità.

Ancora una volta nella storia umana, il futuro è affidato alle decisioni e scelte di un gruppo ristretto di “persone”. L'umanità è quasi arrivata alla cosiddetta "ora zero", durante la quale dovrà trovare le soluzioni alle serie minacce che si stanno manifestando nel mondo e nella vita delle singole persone.

In particolare nella vita delle generazioni future. I mutamenti climatici, il crollo dell'economia, una crescente carenza di cibo e di acqua potabile, l'aumento dei livelli di povertà, dovuta alla non indispensabilità della persona umana. Non ultima, la sempre più probabile minaccia di una guerra globale, sono crisi che interessano l'intera umanità nell'immediato e le cui soluzioni si fondano sul modo in cui l'uomo concepisce e concepirà la propria presenza nel mondo.

Un fatto è certo, un nuovo mondo sta affiorando. Dalle crisi globali del terrorismo, dal crollo, voluto dai potenti, dei sistemi economici e della guerra, alle credenze profondamente personali che circondano l'aborto, i rapporti e la famiglia, i temi che dividono rappresentano un chiaro riflesso del modo in cui gli uomini concepiscono loro stessi e di conseguenza il mondo nel quale vivono.

L’irrefrenabile natura delle divisioni di classi è anche un chiaro segno che necessita un rinnovamento della loro concezione. Alcune nuove scoperte concernenti le origini dell'uomo, il proprio passato e le convinzioni più radicate sulla esistenza umana inducono l’uomo moderno a ripensare le credenze tradizionali che definiscono il mondo e la propria vita, credenze che provengono dalle false ipotesi di una scienza incompleta e obsoleta.

Così facendo, le soluzioni alle sfide della vita diventano ovvie, e le scelte si fanno evidenti. Per esempio, la situazione statunitense. Le 400 famiglie più ricche degli Stati Uniti possiedono la stessa ricchezza del 50 percento più povero della popolazione. Soli i sei eredi di WalMart, (La Walmart Stores Inc, è una multinazionale statunitense, proprietaria dell'omonima catena di negozi al dettaglio Walmart, fondata da Sam Walton nel 1962) "valgono" più del 30 percento della ricchezza degli americani.

Il 50 percento più povero degli americani possiede solo il 2.5 percento della ricchezza del paese. L’uno percento più ricco della popolazione degli Stati Uniti ha aumentato la sua quota del reddito nazionale dal 17.6 percento nel 1978 ad un sorprendente 37.1 percento nel 2011. Negli ultimi 30 anni, la forbice fra i redditi dei ricchi e quelli dei poveri è andata costantemente allargandosi in un buco nero.

Nell’occidente industrializzato il reddito medio del 10 percento più ricco della popolazione è circa nove volte quello del dieci percento più povero. É una differenza enorme. Le cifre pubblicate dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) mostrano che le differenze sociali, iniziate negli Stati Uniti e nel Regno Unito si sono allargate a paesi come la Danimarca, la Germania e la Svezia, che tradizionalmente hanno un basso livello di disuguaglianza.

L'inaccettabile ricchezza dei banchieri è ora di dominio pubblico. Ma questo fenomeno non è confinato solo al settore finanziario. In molti casi, i managers delle grandi aziende guadagnano 200 volte di più dei loro lavoratori meno pagati. Questa differenza eccessiva ha già provocato un crescente risentimento, che si sta trasformando in furia che inevitabilmente si riverserà nelle strade di tutto il mondo. La tensione crescente si rifletterà in scioperi, scioperi generali, dimostrazioni e rivolte.

Si riflette già nelle elezioni liberal-democratiche dei paesi occidentali attraverso il non voto di protesta contro i governi e tutti i partiti esistenti, come si è visto di recente nelle elezioni nazionali italiane. Tutto questo, però, non sembra sortire nessun cambiamento sostanziale. Una violenta ribellione sembra imminente e come tutte le rivoluzioni sarà come il parto: dolorosa, sanguinosa, ma necessaria.

Il Mondo ha le doglie e sta per partorire grandi trasformazioni. Nel mondo occidentale c’è e ci sarà sempre meno lavoro, forse bisognerà ripensare al fatto che solo il lavoro salariato sia alienante, forse è il lavoro per quanto necessario ma in quanto tale, ad esser una alienazione dal sé umano.

Perché dopo Marx non è venuto Aprile ma Dicembre e poi di nuovo novembre ancora aspettiamo un nuovo Marx. Le contraddizioni causate dal dominio capitalistico ancora una volta stanno producendo crisi economica, rafforzamento della competizione tra le grandi potenze, aggressioni dirette ed indirette ai popoli dei Paesi più deboli e rafforzamento del militarismo. Ancora una volta si sono create le condizioni per un conflitto mondiale che tutte le classi dominanti dicono di non volere ma che rafforzano ogni giorno di più con le loro scelte economiche, politiche e militari.

“Non ci sarò più. E cosa ci sarà? Non ci sarà niente. E dove sarò, quando non ci sarò più? Davvero la morte? No, non voglio?”. Lev Tolstoj

Gigino A Pellegrini & G elTarik

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vecchioEra il 1976 e dall’anno successivo una legge stabilì che l’inizio delle lezioni veniva anticipato a settembre. Ma c’era una volta la scuola che cominciava lo stesso giorno per tutti gli studenti italiani, appunto il primo di ottobre. Ora che la scuola è incominciata in Calabria il 14 settembre le voglio parlare di molte cose, caro direttore, e anche ai tanti lettori calabresi sparsi nel mondo che giornalmente leggono il suo giornale. Forse le avete dimenticate. Ve le siete scordate? Non fa niente. Io vi aiuterò a ricordarle, Ma quali cose? Sono così importanti ed interessanti? Sì, lo sono. Così scrisse Giovanni Mosca:- Di quelle cose perdute che voi ora ritroverete nei vostri figli e vorreste, tanto sono belle, che non le perdessero mai -.

La scuola elementare di una volta, quella che io ho frequentato e nella quale ho insegnato per 40 anni, aveva questo gravissimo compito: Insegnare agli scolari a scrivere, leggere e far di conto. Si acquisivano, anche se alla buona, i primi rudimentali strumenti del sapere e le prime competenze strumentali indispensabili per la vita di allora. Bisogna rendere omaggio a quella scuola perché da essa sono uscite diverse generazioni di alunni che poi hanno fatto grande l’Italia.

Nostalgia, rimpianto di quei tempi lontani? Tantissimo. Non mi vergogno davvero nel confermarlo. Non credo che qualcuno voglia farmi sentire in colpa se ricordo ancora con tanto affetto la mia prima aula scolastica, la mia maestra di prima elementare, il suo sguardo materno, il suo dolce sorriso, i cari, i vecchi compagni di classe, molti dei quali avevano la testa rapata a zero non solo per paura dei pidocchi ma anche per risparmiare il taglio dei capelli. Impossibile non pensare a loro. Se chiudo gli occhi li rivedo uno per uno. E rivedo il tavolo dove era seduta la mia maestra, i ritratti del Re e del Duce appesi al muro e l’immancabile bacchetta di legno ben levigata. Ahi, ahi, la bacchetta di infelice memoria. Io, da maestro non l’ho mai usata. Adesso non si usa più, i tempi sono cambiati ed i metodi di correzione sono completamenti diversi da quelli di una volta. Se nella deprecabile ipotesi rispondevi alla domanda della maestra che il poliedro era un asinello allora le bacchettate erano parecchie. Altri tempi, altra scuola, altri ragazzi, altri metodi. Se qualche volta capita a qualcuno di visitare una scuola e trovare una bacchetta sulla cattedra, non si deve allarmare, serve per individuare sulla carta geografica i fiumi, i laghi, i monti e i mari della nostra Italia. E se a qualche viandante distratto e occasionale passando sotto le finestre di una scuola capita di sentire tra le voci dei ragazzi un bel colpo sulla cattedra non si deve preoccupare. Non è scoppiata nessuna rivoluzione in classe. E’ stata la bacchetta. Che fine ingloriosa ha fatto! Povera, infelice, odiata bacchetta. Da simbolo dell’autorità magistrale e strumento di pedagogica correzione a mazza di tamburo.

Ho frequentato le scuole elementari e ho insegnato per tantissimi anni in locali improvvisati, privi di servizi igienici, di luce naturale e di luce artificiale. E non mi sono mai lamentato e non ho mai protestato. Insegnavo, portavo lo stipendio a casa, accumulavo punteggi che nel Concorso magistrale del 1974 mi servirono per raggiungere le scuole di Cosenza- Centro. Per un anno ho insegnato in una scuola ubicata in una vecchia stalla abbandonata con assoluta povertà di sussidi didattici e di suppellettili: un tavolo sgangherato, una lavagna, quattro banchi di legno e una carta geografica rattoppata. Anche l’armamentario degli scolari era povero: un libro di lettura, un sussidiario, una matita, una gomma, un quaderno a righe ed un altro a quadretti, un calamaio. Il tutto racchiuso in una cartella di legno o di stoffa. Ah, il calamaio! L’inchiostro sempre fuoriusciva e gli scolari avevamo sempre le mani impiastricciate di nero. E d’inverno per il riscaldamento? Con i miei scolari raccoglievamo nel bosco rami secchi e accendevamo in un angolo della stalla un focherello per riscaldarci un po’.

Questi difficili avvenimenti scolastici non li ho dimenticati, sono restati sempre vivi nella mia memoria.

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