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scuola sediebanchiGli alunni dell’Istituto Scientifico – Linguistico “Pitagora” di Rende dal 3 al 7 novembre u.s. hanno occupato la scuola ed ora dovranno pagare i danni provocati. Come? Si domanderà qualcuno. Semplice.

 

Dovranno raccogliere le mance di Natale di mamma, papà, nonni, zii e zie, per darle poi alla scuola se vogliono evitare le sanzioni previste e determinate dai consigli di classe: sei o sette in condotta, sospensione, divieto di partecipare alle gite scolastiche. Le multe, chiamiamole così, sono molto salate. Vanno da 70 a 450 euro. Una via di scopo, però, c’è. Gli studenti e le famiglie per non pagare dovrebbero mettersi al lavoro così potrebbero convertire le sanzioni disciplinari in lavori utili.

 

 

Questo quanto ha deciso la dirigente scolastica di quel plesso la Dott.ssa Elisa Policicchio.

La somma da versare tramite conto corrente postale per le classi dalla prima alla quarta dovranno pervenire entro il 28 febbraio, mentre per le classi quinta sono obbligati a farlo entro fine anno scolastico. Per gli studenti che dovranno versare 450 euro ci sarà un po’ di clemenza. Potranno effettuare i versamenti anche a rate. Secondo la Preside i soldi così ricavati “verranno impiegati interamente ed esclusivamente per risanare i gravissimi danni rilevati e implementare i materiali mancanti nelle aule e nei locali scolastici”.

Questo pugno duro adottato dal Dirigente Scolastico non è piaciuto agli studenti e ai loro genitori . Molti si rifiutano di versare le somme richieste dalla Preside. Nessuno, però, intende mollare. Dopo le vacanze natalizie, quando gli studenti ritorneranno a scuola, ne vedremo sicuramente delle belle.

Pubblicato in Cosenza

NataleCosì scriveva Ciardullo in una sua poesia natalizia. E’ vero. Il Santo Natale per i calabresi è la festa più importante dell’anno, è una festa familiare. Dice un antico proverbio: - A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi-. E anche se durante l’anno per motivo di lavoro si trovano lontano dalle loro case e dai loro affetti, a Natale ritornano nei loro paeselli natii. E quelli che non hanno la possibilità di ritornare sentono tanta nostalgia della loro terra e le festività natalizie accentuano i ricordi. “Na cosa oie desideru: la casicella mia!-

Non desiderano soltanto la loro casetta, ma pensano alla tavola apparecchiata, al fuoco acceso nel camino, al grande falò che si accendeva sul sagrato della chiesa, dove grandi e piccini, ricchi e poveri, si riscaldavano la sera della vigilia, intrecciando canti, balli e danze, aspettando il suono festoso delle campane che annunciavano la nascita di Gesù Bambino. Sognano ad occhi aperti tutta la famigliola “ricota” da ogni angolo della terra intorno al fuoco e alla tavola “parata”, alle fritture di una volta, agli zampognari scesi dai monti oscuri che allietavano la serata col suono dello loro ciannamelle.”Sona zampugna! Portame luntanu alli tiempi felici e quatraranza!”, sembrano dire i calabresi ovunque sparsi per il mondo, perché il suono festoso della zampogna gli fa ricordare la loro fanciullezza spensierata e la festa più bella dell’anno, la più sentita. Sono tristi gli emigranti calabresi se non ritornano per Natale nei vecchi paesi abbandonati, perché lì hanno lasciato i loro vecchi genitori che profondamente soffrono la loro lontananza e che aspettano trepidanti il giorno del loro ritorno, almeno per Natale:- Veniti, figlicieddri, a mi trovari; luntanu ‘i vui ‘sa vita è ‘nu muriri!- Il Natale, dunque, per i calabresi ovunque dispersi ha un posto particolare nei loro cuori. E il fuoco scoppiettante dei falò, e i canti natalizi nelle chiese, e tutti gli usi e i riti di una volta ( la novena la mattina presto nella chiesa da Chiazza e la Ninna cantata con devozione dai fedeli è uno degli appuntamenti più sentiti dagli amanteani, una tradizione che si ripete grazie all’impegno del caro amico Francesco Sposato), sono ancora impressi nelle loro menti, e l’odore dei cullurielli, dei turdilli, delle trizzille, dei ciccitielli, gli riportano nella loro memoria la Calabria di un tempo, che , ahimè, oramai è scomparsa per sempre, anche se quella Calabria che ancora ricordano con nostalgia non ha saputo dare loro un posto di lavoro e li ha costretti ad andare raminghi per il mondo. E ora che Natale si avvicina, l’emigrante calabrese, lontano dalla sua amata terra di Calabria, si appoggia ai vetri della finestra e guarda fuori e pensa e sogna ad occhi aperti. Sembra di ascoltare le voci dei ragazzi che si rincorrono per le vie e le piazze del suo paese natio; sembra vedere i giovanotti trascinare tronchi di albero che servono per alimentare il fuoco di mezzanotte; sembra vedere le fanciulle portare nelle grandi ceste il muschio che sono andate a raccogliere nei boschi e che servirà per preparare il presepe, e, tremante e piangente, sembra ripetere:- Su ianche già le vie:puddrulie! Quelli che sono rimasti in Calabria e che sono stati quindi i più fortunati, hanno dimenticato queste usanze e questi riti magici, queste tradizioni che si tramandavano da padre in figlio. Sono ormai un dolce ricordo dell’infanzia e i racconti degli animali che parlavano la notte di Natale, le piante che fiorivano e che davano frutta prelibata, le fontane che versavano latte e miele, sono soltanto una invenzione della nonna e si perdono nella realtà del presente.

Nelle città, grandi e piccole, durante le feste natalizie si abbelliscono le vie cittadine con fantasmagoriche luminarie, si esibiscono cantanti famosissimi spendendo un sacco di soldi, si sparano fuochi d’artifizi al solo scopo di accrescere la popolarità dei politici locali, preoccupati soltanto di fare spettacolo e di far divertire i turisti occasionali e qualche visitatore alquanto distratto. Ma il Natale così concepito è privo di contenuti spirituali e religiosi, di sentimenti di affetto, di stima, di amicizia, di rispetto. E anche gli auguri che ci scambiamo in fretta sono privi del vero significato di una volta, di quell’affetto vero e sincero che esisteva tra amici e vicini di casa. La preparazione del presepe, la raccolta del muschio e della legna, la preparazione dei fritti natalizi, l’arrivo degli zampognari, la Messa di mezzanotte, la processione del Bambinello, il posto a tavola lasciato vuoto se un familiare mancava al pranzo di Natale, lo sparo dei “furgoli” e “tric trac”, le canzoncine, le recite, le “strine”, le letterine ai genitori nascoste sotto il piatto erano festosi appuntamenti, dei veri e propri riti, ai quali partecipavano tutti gli amici e i parenti, i vicini e i lontani, perché la gioia per essere vera, autentica, si doveva dividere con gli altri. E se in qualche casa di un amico o conoscente non si friggeva perché colpito da un lutto recente, era usanza mandargli i fritti natalizi in grande abbondanza. I fritti erano simbolo di festa e perciò non si friggeva nelle case colpite da lutti recenti e che un antico detto popolare definisce per tale motivo:” Amaro chilla casa can un si fria”.

Pubblicato in Calabria

Pur addolorato come ci ha scritto Francesco ( Ciccio) Gagliardi non manca di intervenire su quanto successo ieri l’altro a Berlino. Questo è il suo pensiero che pubblichiamo nel ridondante silenzio della politica e della cultura della nostra città:

“Ad una settimana del Santo Natale che è la festa più sentita e più grande per noi cristiani di solito ci siamo interessati di regali da fare agli amici e parenti, di panettoni e di pandori, di luminarie, di concerti che le Amministrazioni Comunali organizzano in,piazza, di cullurielli e di turdilli che le nostre mamme preparano in abbondanza.

Quest’anno, invece, ci dobbiamo interessare, e le pagine dei giornali sono piene di questo triste avvenimento, di un attentato terroristico avvenuto in Germania e precisamente in una via di Berlino dove si svolgeva il mercatino di Natale.

E’ vero che Berlino è molto distante dall’Italia, ma questi vili attentati contro gente inerme compiuti dai terroristi islamici in nome del loro Dio Allah, colpiscono anche le nostre coscienze.

Quello che è accaduto a Berlino potrebbe accadere anche nelle nostre città, sia grandi che piccole. Ancora una volta, a distanza di pochi mesi, un grosso camion è piombato sulla folla inerme che felice faceva shopping in un mercatino in una via di Berlino seminando distruzione e morte.

E pure questa volta anche una fanciulla italiana che si trovava a Berlino per lavoro é vittima di questo vile attentato terroristico.

Ancora una volta abbiamo vissuto l’incubo di Nizza, in Francia, quando 86 persone persero la vita falciate da un grosso Tir impazzito guidato da un terrorista islamico sulla Promenade des Anglais piena di gente, che assisteva ai fuochi d’artifizio in occasione della festa nazionale francese. A Berlino, per fortuna, i morti sono stati soltanto dodici.

I feriti una cinquantina, una ventina molto gravemente.

I giornali italiani oltre ad interessarsi delle crisi che affliggono le nostre banche, vedi il caso dei Monti di Paschi di Siena, del Governo Gentiloni che dovrà votare al più presto una nuova legge elettorale, della crisi dei vari partiti politici e delle lotte interne, della crisi dell’Azienda Mediaset sotto attacco da parte di una azienda francese, della crisi dell’Amministrazione Capitolina e del Sindaco di Milano costretto ad autosospendersi per un avviso di garanzia, si sono dovuti interessare, loro malgrado, di un vile attentato fatto in nome di un Dio e dell’uccisione dell’Ambasciatore Russo in Turchia ad opera sempre di un integralista islamico che ha voluto vendicare i bombardamenti Russi su Aleppo.

Tutti speravano stupidamente che almeno per il Santo Natale ci sarebbe stata una tregua, che non ci sarebbero stati attentati, uccisioni, lutti e rovine. Si sono sbagliati.

Anche a Natale si uccide.

Anche a Natale non c’è nessuna tregua.

E probabilmente si ucciderà ancora perché siamo in guerra, anche se molti fanno finta di non saperlo.

Questa guerra non finirà mai perché i terroristi islamici ci odiano, ci vogliono tutti morti. Anche noi li abbiamo nelle nostre città e forse anche nei nostri piccoli paesi dove ci sono centri di accoglienza. Essi vivono accanto a noi. Li vediamo tranquilli in fila al supermercato dietro di noi. Fanno finta di sorriderci, ma ci odiano.

Ci vogliano distruggerci perché siamo occidentali, europei e cristiani. Per sopravvivere dobbiamo tutti convertirci alla loro religione, rinnegare i nostri usi e costumi, le nostre tradizioni. Sono pronti ad ucciderci in nome del loro Dio Allah.

Non abbasseremo la guardia, chiese, monumenti, fiere e mercati sono presidiati dalle Forze dell’Ordine, siamo al sicuro dicono i nostri governanti. Balle.

Ci colpiscono quando vogliono e dove vogliono, negli stadi, nei mercati, nei supermarket, nelle piazze, nelle vie affollate, nelle chiese, nelle scuole, nelle discoteche, nei bar, ovunque. Ormai non siamo più al sicuro neppure nelle nostre case.

Non usano più bombe a mano, granate, pistole, mitragliatrici. Usano i mezzi di trasporto, camion di grossa cilindrata, perché più sicuri e senza controllo.

Uccidono e poi spariscono.

Poi, improvvisamente (ri)compaiono e uccidono ancora al grido di:”Allah è grande”.

Non hanno paura di morire anzi si offrono al martirio perché sono convinti che Allah ha preparato per loro il Paradiso e che ad attenderli ci saranno centinaia di vergini.”

Pubblicato in Basso Tirreno

Riceviamo e pubblichiamo la seguente nota inviataci con estrema tempestività da Francesco Gagliardi.

 

Francesco che ama fortemente la tradizione non si è lasciato sfuggire quanto successo a Pontevico dove la dirigente ed i docenti del locale Istituto comprensivo hanno cancellato dal testo della canzone Merry Christmas-Buon Natale che gli alunni della scuola stanno imparando per andare in scena durante i tradizionali spettacoli natalizi a base di bambini recalcitranti e nasi che colano i riferimenti a Gesù.

 

Nella canzone, che è tutto tranne che una canzone tradizionale di Natale, il verso «canta perché è nato Gesù» è stato sostituito con «canta perché è festa per te».

Scelta fatta per venire incontro a quelle famiglie che non sono cattoliche e per favore un percorso di integrazione multiculturale che però non è piaciuto ad alcuni genitori che, come riferisce il Giornale di Brescia, hanno commentato dicendo che così «sarà solamente il surrogato di uno spettacolo natalizio». Nemmeno i sacerdoti locali, monsignor Antonio Tomasoni e don Antonio Forti, approvano la decisione, tanto più che la scuola ha presenterà lo spettacolo all’interno del teatro dell’oratorio parrocchiale, come i due tengono a ricordare: «La canzone deve essere interpretata nella forma originale.

 

Ecco la nota: Il nome di Gesù fa paura, tanto da essere bandito persino dalle canzoni di Natale.

Questa volta è accaduto a Pontevico, piccolo comune in provincia di Brescia, dove la dirigente scolastica Paola Bellini ha pensato bene di sostituire le parole della famosa canzone “Merry Christmas, Buon Natale”. Anziché “canta perché è nato Gesù”, nelle fotocopie distribuite ai bambini della scuola elementare, per le prove di canto, si legge: “canta perché è festa per te”. Subito è scattata la polemica. La città è in subbuglio. I genitori, indignati, non ci stanno e protestano. A difesa dell’identità cristiana, culturale e occidentale. Italiana, soprattutto! Ma la dirigente scolastica si giustifica. Contattata da noi al telefono dichiara: “Non è una festa di Natale, ma una festa per la pace.”

Anche se nel repertorio sono previste canzoni natalizie e lo spettacolo viene messo in scena il 19 dicembre, nella settimana di Natale, la dirigente è categorica: “I bambini canteranno brani che richiamano temi universali come la pace e la solidarietà. Il 30% dei nostri alunni non è cattolico ed è un concerto aperto a tutti.

Non è uno spettacolo fatto solo per i cristiani.

E’ una questione di rispetto.” Ma quando le domandiamo: non crede di avere esagerato? Risponde con un secco no. “Nelle nostre classi abbiamo tanti Crocifissi e quadri che raffigurano la Madonna ma, accanto a questi simboli, devono coesistere pacificamente anche degli altri, o delle altre attenzioni nei confronti dei valori dell’Intercultura.”

Poi, aggiunge, adirata: “Gli adulti stanno strumentalizzando uno spettacolo di bambini. Hanno sporcato il lavoro dei miei insegnanti. Stanno diffamando quello che doveva essere un canto di gioia.” Il nome di Gesù non dovrebbe portare divisione. Ma unione. Cristo predica l’amore, la fratellanza e la gioia. Dunque, questi valori, come potrebbero urtare la “sensibilità” dei musulmani? Se, effettivamente, l’Islam è una religione moderata e pacifica come molti affermano, non dovrebbe fare altro che rispettare l’identità e le tradizioni del Paese che li ospita.

Sul piede di guerra anche il parroco di Pontevico. “Chiedere all'oratorio la concessione del teatro con questo spirito non va bene. Gli stranieri sono contenti di conoscere la nostra cultura, che noi non dobbiamo assolutamente rinnegare perché non offende nessuno.”

 

Secondo Paola Bellini, l’istituzione scolastica nasce multiculturale.

“Sono altre le istituzioni che devono propagandare i valori della religione cattolica. Papa Francesco predica l’apertura. Questi cattolici integralisti mi stupiscono. Se non ci daranno più l’oratorio per lo spettacolo lo faremo nella nostra scuola.”

Conclude la dirigente. Ebbene si, Gesù Nazzareno, a ventuno secoli dalla nascita nella piccola e fredda grotta di Betlemme, fa ancora paura.

Fortunatamente, non a tutti.

NdR. Ma c’è di peggio

La foto iniziale mostra la statua di San Francesco con un berretto di lana in “quasi a voler coprire l’aureola del Santo”.

Insomma siamo in Italia , in una scuola dove il 70% dei ragazzi sono credenti ma si coprono i simboli e le parole della nostra religione per non offendere gli altri.

In sostanza c'è chi vuole toglerci la Costituzione e chi vuole toglierci la tadizione cristiana.

Pubblicato in Basso Tirreno

Natale è alle porte. Non ce lo dice soltanto il calendario appeso in cucina, ma ce lo dicono le cataste dei panettoni nei supermarket e le sfavillanti luci multicolori dei negozi e delle strade.

  

E come ogni anno, puntualmente, arriva la querelle:-Il presepe o l’albero di Natale?

In alcuni supermarket del Nord non si trovano più i pastori di un tempo.

 

Non si trova più la Madonna e San Giuseppe, e la capanna col bue e l’asinello.

Il loro posto è stato preso dall’albero di Natale. E’ più di moda.

Con i suoi addobbi, con le stelle filanti, con le luci colorate, con la natività di Nostro Signore non c’entra un tubo. Ma dato che è di moda l’albero di Natale, anche quest’anno i pastori, la capanna, le casette, gli zampognari, Gesù Bambino sono stati dimenticati nel più angolo remoto della soffitta.

Io, però, a scanso di equivoci preferisco il presepe. A me u presepe me piace assai.

Perché mi ricorda tempi lontani quando si era felici anche se nella miseria. Il presepe che ho impresso nella mente e che porto nel mio cuore è quello costruito con scatole di cartone, con tronchi di sughero, con carta di imballaggio per le montagne, con l’ovatta per la neve, con gli specchietti di vetro delle donne per i laghetti, con il muschio che andavo a raccogliere nei boschi, con i pastori di creta comprati ad Amantea da Giorgio u capillaru che abitava alle Rote o nelle bancarelle di Cosenza in Via Rivocati.

Era bello il mio presepe anche se i risultati a volte erano goffi e commoventi. I pastori spesse volte erano più grandi delle casette.

Gli odierni presepi che si vendono nei negozi o nelle bancarelle allestite in piazza in un unico blocco, invece sono perfetti e anche bellissimi, ma non danno nessuna soddisfazione a chi li compra.

 

Dov’è finita l’attesa, la preparazione del tavolo e dei cartoni, la gioia nello srotolare i pastori avvolti nella carta di giornali, la messa in opera delle casette, la raccolta del muschio, il posizionamento dei pastori.

La costruzione del presepe era un gioco bellissimo ed impegnativo, occupava parecchio tempo e serviva ad unire tra loro le persone, anche se avevano età, sesso, usi e costumi diversi: insegnanti ed alunni, nonni e nipotini, uomini e donne, ricchi e poveri, eruditi ed analfabeti.

Esso descriveva e descrive tuttora un evento storico inconfutabile: La venuta di Gesù sulla terra. In ogni vero presepe, sia piccolo o grande, semplice o sfarzoso, fatto con cartapesta o con sughero, con pastori di creta fatti a mano o comprati a Napoli a San Gregorio Armeno, ci riconosciamo un poco di noi stessi.

E’ triste dover constatare che anche quest’anno nelle case e nelle scuole i genitori e le maestre preferiscono allestire l’albero di Natale invece del presepe..

Cosa c’entra ( un politico direbbe cosa ci azzecca) l’albero di Natale con la venuta di Cristo sulla terra?

Cristo è venuto al mondo in una capanna riscaldato, secondo la tradizione cristiana, dal bue e dall’asinello, e questo noi cattolici vogliamo ricordare con la costruzione del presepe. Davanti alla capanna cantiamo oggi come ieri “Tu scendi dalle stelle”, perché questo canto ci ricorda Gesù Bambino nato nella mangiatoia e riscaldato dal bue e dall’asinello, perché per lui non c’era posto nelle locande e negli alberghi.

Non ci ricorda le bombe, i razzi, le granate, le sventagliate di mitraglie che oggi come ieri seminano lutti e rovine nei vari teatri di guerra in Asia e Africa.

Il presepe, sia piccolo che grande, bello o goffo, ci ricorda la dolcezza della nostra infanzia spensierata, ci ricorda la nostra cara mamma che con le vicine di casa friggeva “turdilli e cullurielli” nelle grandi cucine piene di fumo e di fuliggine, ci ricorda la nonna, la cara nonna, che cullava il suo nipotino e le raccontava le rumanze, ci ricorda tutta la famiglia riunita per Natale intorno ad una lunga tavola apparecchiata con tredici pietanze e poi la processione del Bambinello allo scoccare della mezzanotte con tutti i commensali in fila a cantare le lodi al Signore.

Lasciamo, dunque, la preparazione dell’albero di Natale agli abitanti del Nord. Noi del Sud preferiamo il presepe perché non solo i nostri gusti personali e le nostre preferenze sono diverse, ma sono diversi la visione della vita, della casa, della famiglia, dell’amore, della gioia, dello stare insieme, di essere almeno a Natale un cuore ed un’anima sola. Dice un antico e saggio proverbio:- A Natale con i tuoi, a Pasqua con chi vuoi -. Noi del Sud sin da piccoli abbiamo costruito il presepe e quindi siamo cresciuti con esso. Lasciamo a quelli del Nord l’albero. A noi piace di più il presepe. Punto.

Pubblicato in Comunicati

vafTe c’hanno mai mannato a quel paese? Sapessi quanta gente che ce sta…. E va e va non puoi sape’ er piacere che me fa.

 

 

Canterei questa bellissima e spiritosa canzone del grande Alberto Sordi a tutti quelli che non mi garbano, ma soprattutto mi prenderei la soddisfazione di mandare a quel paese quei personaggi che si credono insostituibili e a ogni elezione politica dicono che lasciano l’Italia, che se ne vanno a vivere altrove perché quel determinato uomo politico gli fa schifo.

 

Cammilleri non ama Berlusconi, lo odia a tal punto che disse prima delle ultime elezioni politiche che se dovesse vincere ancora una volta il Signor Berlusconi lascerebbe l’Italia.

Così scrisse al suo amico Manolo:- Sono venuto due o tre volte a Barcellona e ogni volta mi è piaciuta sempre di più. Potresti trovarmi un quartino? Una casuccia, di due stanze bagno e cucina?

Per cinque anni, la durata di una legislatura, con la possibilità di rescindere il contratto prima -. Una casuccia per soli cinque anni, quanto avrebbe dovuto durare la legislatura in Italia e Berlusconi Primo Ministro, con la possibilità anche di rescindere il contratto in anticipo se Berlusconi dovesse essere fatto fuori con un colpo di stato come nelle legislature precedenti.

 

Ma era davvero questo il suo pensiero? Scappare? Non posso crederci. Non voglio crederci. Fabrizio Corona disse che si vergognava di essere italiano.- Non ho fiducia nella legge Viviamo in un paese di merda.

Lascio l’Italia. Me ne vado perché in questo paese non ci voglio più vivere.

Corona non lasciò l’Italia. Andò a finire in carcere. Ce lo dobbiamo tenere a malincuore ancora per diversi anni tra di noi e lo Stato Italiano, cioè noi, a garantirgli vitto e alloggio.

E Bottura, il grande chef, proprietario di un ristorante disse prima dell’ultimo referendum costituzionale del 4 dicembre scorso:

- Se vince il No, vado all’estero.

Ma Bottura è ancora in Italia, anche ora che ha vinto il No.

Lo chef non pare intenzionato a mantenere la parola. Prima delle elezioni aveva minacciato non solo di lasciare l’Italia ma addirittura di chiudere il suo ristorante. Disse.- Mi viene voglia di mollare tutto e andare all’estero, lontano da un paese in cui molti giovani si arrendono prima di combattere-. Lo chef, come gli altri, non ha mantenuto la parola. E’ rimasto in Italia e l’altro giorno si è recato a Modena per selezionare i vincitori degli Istituti Alberghieri in gara al “Concorso nazionale cotechini e zampone”.

Umberto Eco, pace all’anima sua, fu molto chiaro: - Diventerò francese-.

E pure Nanni Moretti, Franco Bottiato hanno avuto in passato tanta voglia di scappare dall’Italia, però nessuno di loro abbandonò l’Italia e si tolsero dai piedi. Eco scrisse altri bellissimi libri, Nanni Moretti produsse bellissimi film e Battiato tante bellissime canzoni.

 

Porca miseria, anche Milva, la cantante, aveva minacciato che se ne sarebbe andata a vivere all’estero. Se lo avesse fatto davvero le cose in Italia avrebbero incominciato ad assumere contorni e dimensioni molto inquietanti.

Nessuno di loro ha lasciato l’Italia. Nessuno di loro ha cercato di fare fortuna all’estero. Se i loro desideri fossero stati davvero sinceri avremmo potuto, noi poveri cittadini italiani che abbiamo votato No al referendum o votato Silvio Berlusconi, che ci vantiamo di essere onesti e veri italiani, contribuire all’acquisto dei biglietti aerei, di sola andata però.

 

Pubblicato in Italia

presepioIl calendario di dicembre è pieno di Santi famosi. Dopo Santa Barbara, San Nicola, Sant’Ambrogio, l’Immacolata Concezione, ecco Santa Lucia, vergine e martire.

 

La sua festa liturgica viene celebrata dalla chiesa il 13 dicembre. Ancora non siamo entrati nell’inverno meteorologico vero e proprio. Infatti questa prima decade di dicembre ci ha regalato alcune giornate molto tiepide inondate di sole.

 

Santa Lucia era nata a Siracusa in Sicilia e, secondo la tradizione, era una fanciulla molto bella.

Era pagana, poi si convertì al cristianesimo. Questa conversione le procurò il martirio e per questo venne innalzata agli oneri degli altari e il suo culto si propagò in breve in tutto il mondo. La sua bellezza fece innamorare finanche l’imperatore del tempo, Lucia, però, non ne volle sapere e rifiutò la sua proposta. L’imperatore per vendicarsi dell’offesa ricevuta le fece cavare gli occhi e poi decapitare. Secondo la tradizione popolare, però, si racconta che fu Santa Lucia stessa a strapparsi gli occhi e depositarli in un vassoio. Per questo motivo divenne la protettrice degli occhi.

 

Il suo corpo è conservato in Venezia in una chiesa a Lei dedicata.

Anche in Cosenza c’è una chiesetta a Lei dedicata e che si trova nel centro storico in una via che porta il suo nome, via molto famosa fino al 1958 perché frequentata da donne di male affare. I cosentini sono molto devoti a Santa Lucia, infatti il giorno della sua festa Piazza Valdesi e Via Santa Lucia sono invase da una grande moltitudine di fedeli che fanno visita a questa Santa per chiederle protezione per la vista. Anche in San Pietro in Amantea, mio paese natale, una volta si festeggiava Santa Lucia con la celebrazione di una Santa Messa solenne, con la processione della statua per le vie principali seguita dalla banda musicale o dagli zampognari e poi in piazza con spari di fuochi d’artifizio. Questa usanza è andata perduta, anche perché il Vescovo di Cosenza ha vietato tantissime feste e le processioni. Sono rimaste le feste del Santo Patrono, del Corpus Domini e della Madonna delle Grazie e nelle contrade di Sant’Elia la festa del profeta Elia e a Gallo la festa di San Michele.

Bellissima era la canzoncina che le popolane intonavano in chiesa, nella quale si poteva notare quanto l’imperatore fosse innamorato di Lei e dei suoi occhi azzurri. Così cantavano:- Santa Lucia, gloriosa e bella / facie orazione intra na cella./ Passa lu Re e le disse quanta è bella / Lucia ti vulisse a lu miu cumandu/…. – Lucia non accetta le proposte dell’Imperatore e prima che ancora il boia le strappasse quegli occhi belli, lei stessa se li strappò e li depose in una bacinella.

 

In alcune città italiane Santa Lucia viene ricordata come la santa che porta i doni ai bambini buoni. A Siracusa e a Bergamo i doni di Natale arrivano in anticipo rispetto alle altre città italiane.

Nei paesi pre-silani per la festa di Santa Lucia si prepara ancora un piatto prelibatissimo che richiede molto tempo e tanta pazienza: la” cuccia”. Ma noi adulti, del basso tirreno cosentino, ricordiamo questo 13 dicembre anche per un altro motivo: dalle cantine, dalle soffitte, dai mezzanini tiravamo fuori le scatole di scarpe nelle quali il giorno del due febbraio, giorno della Candelora,avevamo conservato con la massima cura tutto l’armamentario del presepe dell’anno precedente. I pastori, le pecorelle, gli zampognari, i Re Magi, San Giuseppe, La Madonna e il Bambinello venivano srotolati con la massima cura dalla carta di giornale con cui erano stati impacchettati, perché non venissero rovinati dalla umidità e dalla polvere. Malgrado ciò, il più delle volte, trovavamo i pastori rotti e inservibili, perché erano fatti a mano e di creta.

 

Tornavano così a rivedere la luce le casette, la cometa d’argento, l’ovatta e gli specchietti di vetro, i venditori di frutta e verdura, il falegname, l’arrotino, il fabbro, le contadine con in testa ceste colme di doni per il piccolo Gesù.

E poi, dopo aver pranzato, via ai preparativi per la costruzione del nuovo presepe. Carta d’imballaggio, carta di sacchi di farina, qualche pezzo di legno e poi sughero, sughero in abbondanza, perché la costruzione di un vero presepe che si rispetti abbondava di questo morbido elemento che, una volta quando i boschi non subivano incendi durante la torrida estate, si trovava facilmente nei boschi del mio paese.

Riceviamo e pubblichiamo il seguente articolo di Francesco Gagliardi: “La torre che ci accingiamo a descrivere si trova in Contrada Conocchia del Comune di San Pietro in Amantea e non nel Comune di Amantea come qualcuno erroneamente ha scritto.

 

E' una torre a pianta quadrata, di altezza molto rilevante, tenendo conto delle "turre" circostanti molto ma molto più basse, costruita in posizione strategica e una volta isolata in aperta campagna.

 

E' stata costruita certamente intorno al XVII secolo quasi esclusivamente con scopi strategici e di avvistamento.

Col passare dei secoli perse di importanza e perse in parte il suo carattere eminentemente militare e divenne una casa rurale abitata dai contadini della contrada, i quali, in relazione al mutare dei tempi, in parte la modificarono.

 

La torre della Contrada Conocchia si erge vigile, severa e maestosa in posizione dominante sulle altre Contrade di Giardini, Froffa, Gallo, Muschicella, S.Elia, Scala e Tuvolo.

Fu certamente edificata da qualche feudatario del luogo in un periodo buio e triste della nostra martoriata Calabria quando la popolazione calabrese era terribilmente minacciata dalle scorribande dei pirati, dei corsari, dei musulmani, dei barbari.

Il compito della Torre era certamente quello di permettere agli uomini di guardia di segnalare agli abitanti sparsi nelle vicine campagne col fuoco, col fumo e col suono del corno l'avvistamento dei pirati e dei corsari che minacciosamente si avvicinavano verso il centro abitato.

 

Nella Torre c'era certamente un torriere coadiuvato di giorno e di notte da altro personale adibito all'accensione dei fuochi.

A questi uomini si affiancavano certamente altri uomini che con i cavalli, in caso di pericolo imminente, andavano in giro per le contrade e nei paesi vicini, ad avvisare la gente a mettersi in salvo. Non c'era nessuna cinta muraria, non c'era nessuna guarnigione.

L'unica occasione di difesa, in attesa di eventuali soccorsi, era quella di rinchiudersi nella Torre al piano superiore.

 

Effettivamente, quando la torre venne costruita, il suo chiaro intento era di avvistamento e non di difesa.

Dall'alto della torre si domina l'ampia vallata ricca di ficheti, uliveti e vigneti e una volta era molto popolata (c'erano le scuole elementari e materne ed anche un bellissimo edificio scolastico ora venduto ad un privato) quando la terra dava i suo buoni frutti e la gente del posto, senza grilli per la testa, viveva esclusivamente di agricoltura e pastorizia.

 

Dal lato Sud si scorge il fiume Oliva che una volta serviva per raggiungere le zone interne, ora raggiungibili da una ampia strada asfaltata che collega Campora San Giovanni con Aiello Calabro costeggiando il fiume e passando per la Contrada Gallo di San Pietro in Amantea.

L'alveo del fiume Oliva una volta era molto ampio e forse anche navigabile, così i pirati con le galee potevano penetrare all'interno e raggiungere le contrade di Amantea e San Pietro in Amantea e tutti gli agglomerati rurali sparsi nelle vallate e sulle colline.

La Torre, è divisa in tre piani e all'altezza del terzo piano si notano due mensoloni di pietra su cui evidentemente poggiavano le caditoie.

Cosa erano queste caditoie?

Erano delle aperture praticate negli sporti delle fortificazioni per gettare proiettili sugli assalitori. C'è ancora una unica porta di ingresso collocata ad una certa altezza dal suolo alla quale si accede attraverso una scala esterna.

Forse una volta, originariamente, c'era anche un ponte levatoio.

Per salire dal primo al secondo piano bisognava usare una strettissima scala ricavata negli spessissimi muri in pietra.

La comunicazione tra il secondo e terzo piano era assicurata da una scala in legno mobile che, all'occasione, poteva essere rimossa.

Il terzo piano diventava così irraggiungibile dal basso e gli abitanti che vi si erano rifugiati potevano stare tranquilli e sicuri..

Il solaio è in parte in legno e in parte in muratura.

Nella Torre, forse, ci dovevano essere delle larghe e rettangolari feritoie, ora sostituite da ampie finestre, che consentivano di tenere sotto tiro gli eventuali nemici invasori.

La Torre della Conocchia, malgrado siano passati molti secoli dalla costruzione iniziale, è in un discreto stato di conservazione.

Urgono però dei restauri.

E' ora abbandonata, non ci abita più nessuno.

L'ultimo che l'ha abitata è stato il Sig. Domenico Sicoli.

Peccato, perché come scrisse il caro Enzo Fera " Un patrimonio di cultura architettonica e artistica europea s'è sedimentato nei secoli e che occorre compiere ogni sforzo per salvaguardarlo, tutelarlo e divulgarlo, perché in questi preziosi libri di pietra è contenuta la nostra vera identità storico-culturale".

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Riceviamo e pubblichiamo:

I volontari del servizio civile dal Papa: siete una forza preziosa

Papa Francesco ha detto ai 7mila volontari in Servizio Civile che hanno partecipato sabato 26 novembre all'udienza in Aula Paolo VI

 

-«Voi siete una forza preziosa e dinamica del Paese, il vostro apporto è indispensabile per realizzare il bene della società, tenendo conto specialmente dei soggetti più deboli».

Il Pontefice ha chiesto di esercitare una funzione di "critica" rispetto alla logica mondana.

I giovani ed i meno giovani provenienti da tutta Italia hanno accolto le parole del Santo Padre con scroscianti applausi che ha ricordato quanto sia prezioso il loro dono alla società civile..

«Il progetto di una società solidale costituisce il traguardo di ogni comunità civile che voglia essere egualitaria e fraterna», ha ricordato infatti, sottolineando che tale progetto «è tradito ogni volta che si assiste passivamente al crescere della disuguaglianza tra le diverse parti sociali o tra le nazioni del mondo; quando si riduce l'assistenza alle fasce più deboli senza che siano garantite altre forme di protezione; quando si accettano pericolose logiche di riarmo e si investono preziose risorse per l'acquisto di armamenti; o ancora quando il povero diventaun'insidia e invece che tendergli la mano lo si relega nella sua miseria».

All’incontro era anche presente il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Poletti e il sottosegretario Bobba.

Il Santo Padre ha poi ringraziato l’Italia per quello che fa in favore dei migranti.

«Un ambito di azione che deve starci particolarmente a cuore riguarda l'aiuto ai rifugiati e ai migranti, i quali chiedono di essere soccorsi e integrati nel tessuto sociale>> -.

L'Italia è lodevolmente impegnata in questa opera, è un esempio.

Nell'esprimere apprezzamento per tutto ciò,<<esorto a proseguire con coraggio sia sul piano dell'accoglienza concreta sia su quello della sensibilizzazione e di una vera integrazione».

Nell'aula Paolo VI c'erano 7mila volontaried ex volontari, in rappresentanza dell'impegno degli oltre 350mila ragazzi che, dal 2001 a oggi, hanno scelto di svolgere il servizio civile in Italia.

Il giornalista RAI Franco Di Mare ha condotto la manifestazione facendo testimoniare alcuni ragazzi del Servizio civile.

Luca Abete, inviato di Striscia la notizia, ha parlato del suo impegno e di quello che ha fatto quando nel suo paese natale faceva parte come volontario del servizio civile.

All’incontro col Santo Padre c’ero anch’io insieme ai quattro giovani che prestano servizio civile presso il Centro Socio Culturale”Vittorio Bachelet”.

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vascheLe vasche pubbliche quando ancora nelle nostre case l’acqua non era arrivata e le lavatrici non erano ancora state inventate, erano molto frequentate. Furono costruite in località Pantani e che noi chiamiamo Quattrocanali nell’anno 1898 ed una lapide ne ricorda anche l’anno di costruzione. Erano tante le donne di San Pietro in Amantea che al mattino giungevano ai Quattrocanali con il loro grande cesto in testa pieno di panni da lavare. Dopo averli insaponati e lavati per bene, li risciacquavano e poi li strizzavano per poter togliere più acqua possibile. Poi con le loro ceste sulla testa ritornavano nelle loro abitazioni e spandevano il bucato. Il lavatoio comunale, simbolo del lavoro femminile e della cultura di una intera comunità, è stato restituito di recente a nuovo splendore, grazie ad un intervento di manutenzione straordinaria eseguita dall’Amministrazione Comunale. E’ stata costruita una tettoia in legno. Il lavatoio presenta tre vasche di contenimento dell’acqua, due più grandi per il lavaggio dei panni e una molto più piccola per il risciacquo. L’ampiezza delle vasche consentiva il lavoro contemporaneo di più donne, però durante l’inverno, non essendo coperte, non offrivano riparo dal freddo e dalle intemperie. Le vasche sono alimentate da 5 fontane che sia d’inverno che d’estate permettevano alla popolazione locale non solo di lavare i panni, ma anche attingere acqua potabile molto fresca. Lo scolo dell’acqua serviva poi per irrigare i terreni circostanti. Il lavatoio, specialmente durante i mesi estivi, era frequentatissimo. Era un luogo di aggregazione sociale soprattutto per le donne, dove le ragazze da marito si scambiavano opinioni e pettegolezzi. Gli uomini non frequentavano il lavatoio. Erano addetti ai lavori dei campi. In alcune regioni d’Italia era proibito agli uomini avvicinarsi ai lavatoi quando c’erano le donne. (Vedi foto scattata a Tivoli). Esso, ormai, ha perso la sua funzione originaria di “lavanderia all’aperto”, di approviggionamento di acqua potabile, di eventuale abbeveratoio per gli animali. I panni ora si lavano con la lavatrice e non più a mano. Non c’è più bisogno di andare con i barili e i cannatielli a rifornirsi di acqua potabile. L’acqua l’abbiamo in casa. L’abbeveratoio non serve più, perché non ci sono più animali domestici che vengono allevati nel nostro territorio. Asinelli, mucche, capre, pecore, animali completamente scomparsi. Le mandrie di Felice e don Micu e di Peppino Rende sono solo ricordi del passato. Ora l’acqua potabile, sin dal 1970, raggiunge tutte le case del nostro paesello e negli ultimi tempi anche quelle delle nostre contrade. Le lavatrici elettriche hanno trasformato le nostre abitudini. I panni si lavano in casa e le donne possono dedicarsi ad altre occupazioni meno gravose. Così i lavatoi comunali sono diventati ormai solo luoghi di storia e di memorie. Non hanno più nessuna funzione e quindi sono stati abbandonati alla loro sorte. Oggi ai Quattrocanali non ci va più nessuno, nei lavatoi non si sente più il vivace chiacchierio delle donne intente al lavoro. Vi regnano sovrane la quiete e il dolce mormorio delle acque.

Tantissimi anni fa per lavare i panni venivano utilizzate anche le “cibbie”. E nel nostro paese ce ne stavano parecchie, specialmente nelle contrade. Le acque delle cibbie venivano usate principalmente per irrigare i terreni. Certe volte, però, i proprietari permettevano alle donne di fare uso delle acque anche dietro un piccolo compenso o scambio di favore. L’acqua potabile nel nostro paese è arrivata nel 1900. Prima di allora le donne o andavano ad approviggionarsi ai Quattrocanali o nelle fontanelle di campagna. L’acqua è stata incanalata tramite una condotta idrica dalla sorgente di Piè dei Timpi ed alimentava soltanto tre pubbliche fontane. Venne costruita una grande fontana in Piazza IV Novembre, una volta non si chiamava così, avente anche un abbeveratoio per gli animali. C’era il divieto assoluto di usare la fontana per altri usi e di usare l’abbeveratoio per lavarvi i panni e la verdura. Coloro che venivano sorpresi a lavare nella vasca erano puniti severamente. La Guardia Municipale don Nicola Coscarella, molto ligia al proprio lavoro, elevò la prima contravvenzione alla propria consorte Rosalia Presta. Le acque superflue, poiché le fontane erano sempre aperte giorno e notte, venivano convogliate attraverso canaloni nelle cibbie di Terramarina. Nelle altre due piazze del paese c’erano altre due fontane, molto più piccole e non caratteristiche come quelle di Nmienzu u Largu.Una in Piazza Municipio, ora Piazza Pietro Mancini e un’altra Nmienzu u Puritu, Piazzetta Margherita. Le acque di Nmienzu u Puritu venivano convogliate nella cibbia di donna Irene Luciani, quella di Piazza Municipio conosciuta anche come Nmienzu a Chiazza nella cibbia di don Lisandro. La cibbia di don Lisandro, molto capiente,non esiste più. E’ stata demolita per consentire la costruzione della strada comunale che va da Piazza Madonna delle Grazie a Piazzetta Margherita. Quella di donna Irene esiste ancora, però senza più acqua. E’ completamente abbandonata. Le acque reflue vanno a finire nella fognatura comunale costruita nel 1948 dall’Amministrazione democristiana, Sindaco l’Ins. Carratelli Nervi Ines, una delle prime donne ad occupare incarichi istituzionali in Italia. La domestica di donna Irene, Teresa Marano, non voleva che le donne del paese, specie quelle a lei invise, andassero a lavare i panni sporchi nella cibbia di Terramarina. Infatti, diverse volte, attraverso bandi pubblici, invitava la gente a non andare a lavare i panni nella cibbia altrimenti avrebbe preso severi provvedimenti. Un bando pubblico che mi è rimasto in mente recitava così:- Nessuno jisse a lavare i panni alla cibbia e Terramarina e donna Irene. U primu che ci piscu u puortu alla Pretura da Mantia. E nun c’è riguardu ppe nessunu-. Donna Irene, però, che era davvero una gran signora, permetteva a tutti di andare a lavare i panni nella sua cibbia. Bastava soltanto farglielo sapere in anticipo. Non ha detto mai di no a nessuno.

Il 23 agosto 1901, mentre in San Pietro in Amantea si svolgeva l’annuale fiera di merci e bestiame di San Bartolomeo Apostolo, in Piazza IV Novembre viene inaugurata con una certa solennità la pubblica fontana monumentale, quella fontana che oggi si trova ubicata al lato della strada provinciale vicino le abitazioni di Emilio Lupi e Francesco Lucchesi. Luogo, per me, non adatto. E poi l’abbeveratoio non esiste più. Quella fontana da noi oggi viene ricordata come la fontana Du zu Tittu. Forse perché l’acqua scorge da un orciuolo tenuto da un personaggio famoso che assomiglia a Mastru Titta. “ Il dottore Michele Ianne la ideò, suo figlio Roberto la realizzò dopo 25 anni”. Questa era la frase che doveva essere scritta nella lapide ricordo posta dietro la fontana sopra l’abbeveratoio, però beghe personali, odi, rancori degli amministratori comunali del tempo, dimenticarono l’operato dei Sindaci Ianne che tanto bene avevano fatto al paese e non posero mai la lapide. Avevano portato per la prima volta l’acqua nelle tre pubbliche fontane del paese. E in quei tempi era già tanto. L’acqua apparteneva alle famiglie più influenti del paese. Ma i sampietresi, riconoscenti, intitolarono poi, dopo diversi anni, una via all’ex Sindaco Michele Ianne, via che va da via Michele Bianchi ora Via del Popolo a Piazza Municipio ora Piazza Pietro Mancini. La conduttura dell’acqua potabile portò allora finanche l’acqua nel cortile dell’abitazione della famiglia di don Lisandro Sesti. Era l’unica abitazione che aveva l’acqua in casa, forse per un diritto acquisito o forse perché la sorgente dell’acqua di Sangineto ricadeva nel terreno di sua proprietà.

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