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Roscigno-vecchia-4 1Roscigno vecchia è un piccolo e caratteristico borgo della Campania in provincia di Salerno, patrimonio dell’Unesco, abitato fino all’altro giorno da un solo abitante. La storia di questo antico borgo con le case disabitate, una grande piazza con la fontana e il lavatoio e la vita di un solo abitante, nonno Libero, barba bianca, folta, sempre con la cravatta e il cappello e la pipa sulle labbra che i turisti gli regalavano, mi ha affascinato e ve la voglio raccontare. Deliziosa e poetica l’origine del suo nome che deriva da usignolo, il cui canto sin ode ancora tra i tigli e i platani che svettano sulla grande piazza del paese. L’abitante si chiamava Giuseppe, ma da tutti era conosciuto come Libero. Il borgo era stato abbandonato dalla popolazione nel 1902 e 1908 a seguito di due ordinanze del genio civile per via delle continue frane. La maggioranza della popolazione emigrò in Svizzera e nelle lontane Americhe. La minoranza si spostò a valle e fondò un nuovo borgo che ora è abitato da circa 600 persone: Roscigno Nuovo. Hanno lasciato il borgo natio così come è ora e non sono più tornati. Non hanno voluto restaurare le case, non le hanno voluto vendere all’amministrazione comunale. Un solo uomo, però, non lo volle abbandonare. Dopo aver lavorato all’estero, fece ritorno al borgo natio e questi era Libero. Da poco aveva compiuto 76 anni. Si è spento a Salerno nell’ospedale “Raggi” lontano dal suo amato borgo natio. Libero era la memoria storica di questo borgo, il guardiano solitario e anche il cicerone. Infatti faceva da guida e illustrava le bellezze del borgo ai turisti che si avventuravano nel cuore degli Alburni, richiamati dal fascino spettrale di un borgo antico, dimenticato e abbandonato. Ha voluto vivere una vita tranquilla, modesta, indisturbata. La figlia lo ha voluto ricordare con un lungo posto sui social;. Giuseppe non è più tra noi. E’ stato davvero libero e speciale, ha vissuto come ha voluto, potuto e creduto. Così solitario ma sempre disponibile a regalare una foto e un sorriso ai bambini e agli estranei-. Nonno Libero non volle mai abbandonare il borgo. Non mi manca nulla diceva. Sono un uomo libero. Dormiva su un letto fatto di cartone in una delle tante case disabitate ed abbandonate. – Vino e peperoncino, poi bastano un paio di scarpe e non muori più-. Il Senatore Gasparri ha voluto ricordare nonno Libero perché in quell’antico borgo nacquero e vissero suo padre e il nonno:-Spagnolo ha raccontato la storia e la vita di Roscigno Vecchia e con lui abbiamo trascorso tanti momenti di incontro in convegni e momenti celebrativi-.

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thumbnailOggi, 18 gennaio 2024, Il Caffè di Massimo Gramellini sul giornale “Corriere della sera” ha per titolo: Presidi e padri. Nell’articolo il giornalista parla del rito triste e ripetitivo delle occupazioni scolastiche avvenute al Liceo Tasso di Roma, una scuola, la più famosa, la più conosciuta, la più importante della capitale, una scuola dell’alta borghesia romana. Da questa scuola sono usciti il fior fiore della gioventù romana che poi hanno fatto grande la città. Solo alcuni nomi di ex alunni che hanno frequentato questo Liceo: Vittorio Bachelet, Ettore Majorana, Paolo Mieli, Giulio Andreotti, Paolo Gentiloni, Antonio Tajani, Walter Veltroni. Attori famosi come Gasmann e Verdone.

Non è d’accordo col Preside Pedullà che ha punito i ragazzi con un cinque in condotta e con dieci giorni di sospensione dalle lezioni. Bastava far pagare gli eventuali danni combinati. Ma i danni li avrebbero davvero pagati? I padri si sarebbero ribellati e avrebbero bollato il Preside come un reazionario fascista. Sei un dittatore. E’ d’accordo col Preside, però, quando dice :-I figli smettano una buona volta di essere protetti dai padri-. E sì, oggi i figli, qualunque cosa facciano a scuola, bella o brutta che sia, vengono protetti dai padri. Quando io frequentavo la scuola e mi fossi lamentato con mio padre per un torto subito a scuola da parte degli insegnanti mi avrebbe dato un bel ceffone e mi avrebbe mandato a letto senza mangiare. Oggi, invece, si presentano a scuola e minacciano e prendono a schiaffi e pugni i professori. Danno sempre ragione ai propri figli, qualsiasi cosa facciano. E così assistiamo spesso alle aggressioni che i Presidi e gli insegnanti subiscono da parte dei genitori di quegli alunni se per caso subiscono un quattro in italiano o un cinque in latino. Come si è permesso il professore di dare un voto così basso a mio figlio che è uno studente preparato? Perché lo ha rimproverato? E’ un figlio molto educato ed ubbidiente. Come si è permesso? Non sa chi sono io! Cosa ha fatto di così grave da meritare un cinque in condotta? Ha occupato la scuola? Ha avuto delle buone ragioni. I termosifoni non funzionano e mio figlio non può stare al freddo dell’aula scolastica. Ha imbrattato i muri e le pareti? E’ una protesta contro il Presidente del Consiglio e contro il Ministro della Pubblica Istruzione. Un cinque in condotta ad un figlio di una famiglia benestante e shick della capitale è un disonore per tutta la famiglia, quindi, per difendere l’onore, si scagliano contro il Preside e contro gli insegnanti. Quale messaggio trasmette un genitore al proprio figlio se si comporta in questo modo?:- La scuola non vale nulla. Fai quello che ti pare-. L’ultima aggressione in ordine di tempo si è verificata, purtroppo, nella nostra città di Cosenza, al Liceo “Scorza”. Un genitore di una alunna, per una questione banale, ha dato un bel ceffone al Preside del Liceo Aldo Trecroci. Al dirigente scolastico hanno espresso vicinanza e solidarietà tutte le istituzioni. Il Ministro dell’Istruzione Valditara ha così commentato l’accaduto:- Vogliamo che si sappia che da ora in poi i docenti, i dirigenti scolastici e tutto il personale delle scuole non saranno più lasciati soli. E’ ora di finirla con queste aggressioni-.

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gigginoIl futuro dell'occidente sembra essere segnato dal problema della compatibilità dello sviluppo: in particolare è segnato dal dominio della tecnica e dal conseguente problema della omologazione derivante dalla globalizzazione; per converso si fanno sempre più acuti e gravi i rischi di scontro tra le civiltà anticipate anche dai nuovi flussi migratori sud/nord.

Nel frattempo fa il proprio ingresso dirompente quella ingegneria genetica dal cui grembo possono uscire soluzioni anche devastanti ma comunque rivoluzionarie per il nuovo secolo che si è aperto. Accanto a questi megatrend, esiste una quotidianità di accoglienza e di costruzione di una società più solidale, che interessa un numero crescente di persone – soprattutto giovani.

Nonostante il tentativo di conformare la realtà alle parole, essa, la realtà, è e rimane a disposizione di quanti intendano incontrarla, interrogarla, modificarla, rappresentarla senza la pretesa di esaurirla ma anche senza la tentazione di ridurla alla propria categoria e alla propria rappresentazione. Il problema di cosa sia la realtà è l'altra faccia del problema della verità.

Domandarsi se esista la verità equivale a domandarsi se esista la realtà. Così come nessuna persona minimamente ragionevole concluderebbe che la realtà non esiste solo perché essa è difficilmente interpretabile e catalogabile, altrettanto dovrebbe essere detto e fatto a proposito della verità, la quale non cessa di esistere per il solo fatto di essere difficilmente conseguibile.

Un grande pensatore diceva: "La verità è un'isola, circondata da un ampio e tempestoso oceano. L'oceano è la sede della parvenza, dove vari banchi e masse di ghiaccio che decisi si fondono simulando la presenza di nuove terre.”

Quest’isola sembrerebbe essere il territorio della verità, in corso di liquefazione, creando a ogni istante l’illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di nuove scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre.

Si è portati a pensare al “folle volo” di Ulisse. Anche per Kant l’uomo non può fermarsi a Itaca e limitarsi all’uso empirico delle categorie: tende in modo irresistibile ad avventurarsi nell’oceano “ampio e tempestoso”, seducente e ingannevole, dell’uso trascendente delle categorie. Viene anche da pensare ai miti platonici della caverna e della biga alata.

Per tenerci lontani dalle manipolazioni degli altri e dalla nostra stessa capacità di manipolazione occorre tornare ad esercitare la riflessione, ovvero osservare ciò che ci sta succedendo lasciando che attraverso il continuo paragone con essa si formi quel senso critico che è il bene più prezioso dell’uomo.

Il senso critico nasce nella persona innanzitutto come paragone tra le esigenze della propria ragione e del proprio cuore di oggi, con i suggerimenti e le proposte che gli vengono da una tradizione che lo precede.

Il senso critico quindi non può nascere dal nulla, ma dentro un paragone serio con quanto l’individuo riceve dalla tradizione da cui proviene (famiglia, comunità, nazione, religione, arte, ma anche partito o movimento…). Un uomo senza tradizione e senza la verifica di essa nel presente non ha cultura: al massimo ha una buona adattabilità alle mode, una educata passività a ciò che passa il convento più forte del momento. Si sta facendo sempre più strada un sentimento di scoramento anche nei più entusiasti delle finalità dello Stato.

Tutto questo, a mio parere, ha creato in noi una stanchezza della mente, dello sguardo e del cuore: un affievolimento della fiducia nella ragione, nella sua capacità di creare la realtà , di rappresentarla secondo giustizia ( cioè anche nella sua valenza drammatica) trovando la somma estetica affinché il sapere ed il conoscere diventino una declinazione del bello. Noi tutti ci ritroviamo ad operare in una epoca che ha fatto dell'estetica la fabbrica delle paillettes e della verità l'anticamera della convenienza.

Non rinuncio tuttavia a credere che sia possibile, sulla base di una comune passione per l'umana avventura, riformulare un'idea di comunicazione e di informazione che si riappropri della funzione di introdurre al bello e di valorizzare ciò che è giusto.

Uno dei modi con cui potremmo definire il giusto, con il linguaggio moderno della comunicazione, è l'utilità sociale. Quando decidiamo di che cosa occuparci, abbiamo sempre, esplicitamente o implicitamente, una idea di utilità. L' utilità può essere rappresentata dall'indice di gradimento. Dal profitto. Dal clamore. Dal potere. Dal successo. Può essere anche rappresentata dalla crescita di una comunità solidale.

Rimane il non indifferente problema delle appartenenze, che spesso dalle nostre parti è stato e viene visto come appartenenza al carro del potere politico. Così capita anche che qualche cretino patentato ricopra ruoli di grande importanza perché ben visto dal principe, o perché utile ad una serie di scambio di favori.

La realtà, se si è in una posizione umanamente autentica, azzera ogni pre-idea su di essa. E ti fa magari scoprire qualcosa di nuovo, come la ballata ‘Destra – Sinistra’ di Giorgio Gaber:

"Tutti noi ce la prendiamo con la storia/

ma io dico che la colpa è nostra/

è evidente che la gente è poco seria/

quando parla di sinistra o destra"....

"L'ideologia, l'ideologia/

malgrado tutto credo ancora che ci sia/

è il continuare ad affermare/

un pensiero e il suo perché/

con la scusa di un contrasto che non c'é/

se c'è chissa dov'è, se c'è chissa dov'è").

Oltre alla realtà c’è la memoria, la voglia di capire il passato senza sbarazzarsene, la consapevolezza di venire da un posto, da un popolo, da una lingua, da una tradizione (anche se la si mette in discussione). Inevitabilmente genera appartenenza in chi la vive, crea unità, rompe il pregiudizio ideologico.

Ancora Gaber ne la Canzone dell'appartenenza:

"L'appartenenza/

è assai più della salvezza personale/

è la speranza di ogni uomo che sta male/

e non gli basta esser civile./

E' quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa/

che in sé travolge ogni egoismo personale/

con quell'aria più vitale/

che è davvero contagiosa".

Il prezzo da pagare nell'escludere realtà e memoria dal proprio orizzonte, è quello del conformismo, dell'assenza di ogni identità.

Gaber mi perdonerà se lo saccheggio così, ma la sintonia è assai forte con quello che canta ne Il conformista:

"Il conformista è un uomo a tutto tondo/

che si muove senza consistenza/

Il conformista s'allena a scivolare/

dentro il mare della maggioranza/

è un animale assai comune/

che vive di parole da conversazione/

di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori/

il giorno esplode la sua festa/che è stare in pace col mondo e farsi largo galleggiando.”

Due parole di conclusione, queste sì di carattere politico, ma intendendo la politica con la P maiuscola, come la intendevano i Greci che la chiamavano “politikètekne”, l’arte di vivere insieme nella Polis.

Fra pochi mesi ci saranno le elezioni, c’è chi si attende grandi cambiamenti e chi no.

Io vorrei uscire da questa logica e ricordare a futura memoria, che non c’è salvezza per la bellezza della nostra terra, del nostro mare, ecc., se chiunque vinca promuoverà semplicemente un cambiamento di segno (o il mantenimento del segno precedente).

Quello di cui abbiamo è un disperato, profondo cambiamento di “senso”, non di segno: intendendo con questo il recupero della più originale e più forte e più grande tradizione che ci appartiene, che appartiene a tutte quelle terre che si affacciano sul grande lago di Ulisse.

Gigino A Pellegrini & G el Tarik

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